Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 23 Martedì calendario

LE PASSEGGIATE DELLA POLITICA ITALIANA CON GLI UOMINI DEL "PARTITO DI DIO"

La foto di D’Alema sottobraccio al deputato di Hezbollah è rimasta nella storia della cronaca politica italiana. Finì sulle prime pagine dei giornali della destra italiana, ma anche nei commenti della sinistra più vicina a Israele: un diluvio di accuse contro l’uomo che “sposava” gli sciiti che avevano appena interrotto la guerra con Israele. E’ il 14 agosto del 2006: il ministro degli Esteri del governo di Romano Prodi passeggia con l’uomo di Hezbollah nei quartieri di Beirut bombardati dall’aviazione israeliana. Sono passate poche ore dal cessate-il-fuoco che sospende gli scontri scatenati dal rapimento di 2 soldati israeliani. “Sottobraccio ai terroristi”, attaccò la destra. «Per aiutare la pace bisogna parlare con chi ha fatto la guerra», si difese D’Alema, che era a Beirut per garantire che dopo la tregua nessuno avrebbe attaccato i soldati di Unifil che si schieravano come forza di interposizione.
Rivista oggi, quella foto con l’hezbollah è perfino premonitrice: l’uomo che abbrancò il “leader maximo” della politica estera italiana era Hussein Haji Hassan, un deputato di Hezbollah, docente di bio-chimica con laurea
presa a Parigi. Quindi un uomo dell’ala politica, a meno che quella laurea in biochimica non lo aiutasse a preparare pozioni velenose o esplosive da passare poi all’ala militare. Hassan oggi non sarebbe sotto embargo, con lui la Ue potrebbe continuare tranquillamente a parlare, anche perché se continua così finirà come in Afghanistan, dove sono i Taliban a non voler parlare con l’Occidente.
C’erano allora come sempre due sinistre. Una sostenne D’Alema: Rifondazione comunista di Fausto Bertinotti, l’ala filo-palestinese dei Ds, come si chiamava allora il Pd. Non Prodi, capo del governo, impegnato nei contatti con Hezbollah e con l’Iran, ma non fino al punto da rivendicarlo pubblicamente. E non l’ala “equivicina” del centrosinistra, quella dei Fassino e dei Rutelli, vicini agli arabi e ai palestinesi, ma vicinissimi anche a Israele e alla comunità ebraica italiana. Meno che mai sostenne D’Alema l’ala dichiaratamente filo-israeliana, rappresentata fra gli altri da Furio Colombo, che definì quella del ministro «una passeggiata sottobraccio in stile democristiano nelle strade di Beirut, ma in cattiva compagnia».
L’evoluzione della politica italiana ha allontanato il dibattito sulle parentele di Hezbollah, palestinesi o Israele con le varie famiglie della sinistra e in generale della politica italiana. E oggi che la politica nazionale è molto più impegnata sulla sua crisi, dibattiti o scontri come quelli che accompagnarono la visita di D’Alema sembrano fuori luogo, se non surreali. La “realpolitik” sembra vincere su tutto, se per esempio la stessa ministra degli Esteri Emma Bonino, militante radicale da sempre vicina a Israele, da settimane andava dicendo che questo inserimento dei militari di Hezbollah nella lista nera non era proprio una priorità. Furio Colombo rimane della sua idea, «anzi abbiamo perso tempo: certo che Hezbollah è anche partito politico, è anche un network di assistenza sociale. Ma la sua impronta di terrorismo è tutta lì, ed è triste che l’Europa se ne sia accorta solo oggi».