Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 20 Sabato calendario

I TEDESCHI MATTI PER DONNA LEON

Arrivano a Venezia non per seguire le orme di Byron o di Casanova, o di Thomas Mann. Da tempo, migliaia di tedeschi giungono sulla Laguna per scoprire i luoghi del commissario Guido Brunetti, l’eroe poco eroico dei gialli dell’americana Donna Leon, che sono sempre bestseller in Germania. C’è una guida, Venedig mit Brunetti, e agenzie che offrono visite guidate sulle tracce dei romanzi.
Un week-end con l’esperto letterario costa 150 euro, ma ormai si è giunti al 21esimo caso, e di fatto bisogna correre per tutta Venezia, senza dimenticare Mestre.
Eppure gli italiani non hanno mai potuto leggere una della sue storie. Donna Leon, 71 anni il prossimo settembre, nata negli Stati Uniti, ha studiato a Perugia e a Pisa, e infine da vent’anni si è ritirata in un dorato esilio sulla Laguna. I tedeschi sono convinti che non voglia far tradurre i suoi libri in Italia perché ha paura della mafia, e lei lo lascia credere. Non rilascia neanche interviste ai nostri giornalisti.
Un proverbio mafioso afferma: «Le parole non fanno pirtusi», non fanno buchi come le pallottole. All’onorata società non interessano le avventure del commissario Brunetti, piuttosto improbabili per la verità, i buoni da una parte, i cattivi dall’altra, malavitosi, politici corrotti all’italiana. L’autrice sa mescolare con eleganza i luoghi comuni, per accontentare i suoi fan. Ed è intelligente. Sa che gli italiani non si lascerebbero incantare come i tedeschi.
Niente di male, in fondo. Abbiamo amato i western, quelli made in Usa e gli spaghetti western di Sergio Leone, pur sapendo che la realtà fosse ben diversa. I seguitissimi telefilm tratti dai romanzi di Brunetti si svolgono in una Venezia di cartapesta, non c’è un solo attore italiano, perfino i gondolieri sono tedeschi. Non c’è realtà più vera di quella che ci inventiamo.
Ma l’ultimo libro ha come protagonista un compositore del XVII secolo, realmente vissuto, Agostino Steffani, nato a Castelfranco Veneto nel 1655. Una lapide lo ricorda nel duomo di Francoforte, dove morì nel 1728. Famoso in vita, è finito nell’oblio da un paio di secoli. Cecilia Bartoli l’ha riscoperto e canta le sue arie in un cd abbinato al romanzo dell’amica Leon, Himmlische Juwelen, gioielli paradisiaci (Diogenes Verlag, 23 euro). «Cecilia mi aveva chiesto di scrivere qualcosa», racconta, «e pensavo alla copertina del cd, invece lei voleva un libro, ed eccolo qui». Una musicologa è assunta per studiare i documenti raccolti in un paio di scatole polverose. Ma qualcuno non è d’accordo. Forse, la chiesa?
Una vita romanzesca, appunto, quella di Agostino. Bambino prodigio, il principe bavarese Ferdinand lo scopre a Padova, a cinque anni lo porta a Monaco, il ragazzo studia teologia, diventa prete, e su incarico del Vaticano viaggia per l’Europa, come una sorta di agente segreto in tonaca. E continua a comporre e a suonare. A Parigi si esibisce al cembalo davanti a Luigi XIV, il Re Sole. Tra intrighi e bel canto, Steffani sarebbe stato coinvolto in un delitto e in un intrigo amoroso alla corte di Hannover. Una trama più adatta a Dumas che a Donna Leon. «Gran parte dei documenti sono conservati negli archivi del Vaticano. Ma Cecilia non li ha potuti esaminare. A Roma è persona non grata».
Questa non è un’intervista, ma un semplice scambio di battute, durante una presentazione del romanzo. Parole rubate? In fondo, non le faccio dire niente di male. La scrittrice è abile quanto il suo protagonista.
«Signora, questo libro almeno uscirà in italiano?». «Mai». «E perché? La mafia non si interessa di musica, almeno non credo, di certo non si appassiona all’opera barocca. E, se legge, legge le cronache sportive». «Non penso alla mafia». «E allora?». «Voglio vivere tranquilla. Non voglio diventare famosa in Italia. Mi piace vivere a Venezia, passeggiare senza che nessuno mi disturbi».
Una pace più importante dei diritti d’autore. I veneziani magari potrebbero chiederle come può un commissario vivere con moglie e due figli in un appartamento con terrazza sul Canal Grande. Per la verità, il suocero è un nobile, ricco, e con affari un po’ ambigui, come ogni italiano che si rispetti. Ma lo stipendio dell’orgoglioso Guido Brunetti, e quello della moglie Livia, professoressa di inglese, non basterebbero neanche a pagare il riscaldamento.