Notizie tratte da: Giuseppe Salvaggiulo # Il Peggiore. Ascesa e Caduta di Massimo D’Alema e della sinistra italiana # Chiarelettere Milano 2013 # 13,90 euro., 22 luglio 2013
Notizie tratte da: Giuseppe Salvaggiulo, Il Peggiore. Ascesa e Caduta di Massimo D’Alema e della sinistra italiana, Chiarelettere Milano 2013, 13,90 euro
Notizie tratte da: Giuseppe Salvaggiulo, Il Peggiore. Ascesa e Caduta di Massimo D’Alema e della sinistra italiana, Chiarelettere Milano 2013, 13,90 euro.
(vedi anche biblioteca in scheda 2244233
e libro in gocce in scheda 2247528)
«Ci sono tre luoghi comuni: è intelligente, ha i baffi, ha la barca» (Roberto Benigni su Massimo D’Alema).
Baffino o Baffetto o Baffino d’acciaio (variante di Giampaolo Pansa), Lìder Màximo, Volpe del Tavoliere (Luigi Pintor), il Migliorino, Minimo (Tango), Togliattino (Corrado Stajano), Spiegone (Achille Occhetto), Dalemix, Dalemone, Sarcasmo da Rotterdam (Giuliano Ferrara) ecc.
CRITICA
«È competitivo su tutto, e con chiunque. Se prende un caffè al bar, deve spiegare al barista come si fa un buon caffè, e al suo commensale quanti cucchiaini di zucchero servono» (Peppino Caldarola).
«La testa più pensante della sinistra, e anche della destra» (Roberto Gervaso).
«Nessuno come D’Alema riesce a rendersi antipatico in pubblico come simpatico in privato» (Gianni Agnelli).
«Lo immagino sprofondato nel giro tragico delle serate romane, di corvée nei salotti che infestano la sinistra capitolina, a concionare sui massimi sistemi. È un povero dio, mi fa tenerezza. Ma è un buono, il più buono di tutti, un ingenuo» (Claudio Velardi, ex consigliere politico di D’Alema).
«Buonasera, posso disturbarla un minuto? Sto scrivendo un libro su di lei…».
«Auguri»
(colloquio tra Salvaggiulo e D’Alema alla Camera dei deputati il 21 dicembre 2012).
GIORNALISTI
D’Alema, iscritto all’Albo dei giornalisti dal 13 marzo 1991.
«I giornali scrivono un mucchio di fesserie soprattutto perché le scrivono i giornalisti».
«Vada a farsi fottere! Lei è un bugiardo, un mascalzone, un provocatore a libro paga di Berlusconi, la pagano per fare questo. Io capisco che lei si deve guadagnare il pane dicendo mascalzonate, le daranno un premio per questo numero, le manderanno qualche signorina, ma io non la faccio più parlare, è finita la sua serata» (al direttore del Giornale Alessandro Sallusti, a Ballarò del 4 maggio 2010, dopo che il giornalista aveva paragona l’affitto ad equo canone in un appartamento dell’Inpdap di D’Alema alla casa “pagata a sua insaputa di Scajola).
«D’Alema, nel Transatlantico di Montecitorio, palpebre spalancate, tono indignato, mi giarda fisso e dice: “Voi del Fatto siete tecnicamente fascisti…”. Che cosa succede perché il lìder màximo sia così indispettito? Mentre glielo chiedo fa un gesto plateale. Si toglie gli occhiali da presbite, li infila nel taschino con un gesto ampio del braccio, mi dice con tono di sfida: “Sa, quando ero ragazzo, di solito, dopo che facevo questo gesto, l’interlocutore che si trovava al posto dove lei è ora, poco dopo si ritrovava col naso sanguinante”. Meraviglioso D’Alema quando ti parla così e non ti rendi conto se ci creda sul serio, o se stia giocando alla parodia del bullo, così per inscenare una prova di forza con l’interlocutore: “Lei forse non sa, ma vorrei ricordarglielo che ho fatto a botte tante volte. E sono più quelle in cui le ho date che quelle in cui le ho prese» (Luca Telese).
«Perché comprare i giornali? È un segno di civiltà lasciarli in edicola» (intervista a Prima Comunicazione, 1995).
INGLESE
Da quindici anni prova a imparare l’inglese. La prima insegnante gliela trovò Claudio Velardi, due lezioni private a settimana a Botteghe Oscure.
«Abbiamo due slogan pronti. Se vinciamo, yes we can. Se perdiamo, yes weekend, avremo un sacco di tempo a disposizione (nel 2008, parlando di Veltroni).
«Bye bye Condy (il saluto al segretario di Stato americano Condoleeza Rice nel 2006, in una memorabile telefonata dalla barca ormeggiata a largo di Marettimo).
GRILLO
«Io non conosco questa cosa, questa politica che viene fatta dai cittadini e non dalla politica» (discorso del 9 maggio 1997 al seminario dell’Ulivo nel Castello di Gargonza).
«Mi sono sottoposto al sacrificio di sentire su Internet un pezzo del comizio di Beppe Grillo. Badate, è impressionante perché in definitiva non c’è nulla di nuovo, diciamo, è un impasto del primo Bossi e del Gabibbo» (il 16 aprile durante un comizio a Palermo).
RENZI
Renzi, che il 17 febbraio 2009, dopo il sorprendente successo alle primarie a Firenze, spiega di aver vinto «perché avevo contro i big del partito» e di aver deciso di correre dopo una provocazione di D’Alema: «Alla festa del Pd disse: “Abbiamo le sale d’attesa piene di trentenni che chiedono un posto, nessuno che abbia il coraggio di venire allo scoperto”. Ecco, io sono uscito allo scoperto».
Nel 2010 Renzi lancia la campagna di «rottamazione senza incentivi per liberarci di un’intera generazione del mio partito» (intervista a Umberto Rosso, la Repubblica 29 agosto 2010). D’Alema replica il 2 settembre 2010 alla festa del Pd di Torino: «Se vogliono rottamarmi devono inseguirmi in giro per il mondo perché oltre al fatto che non ho cariche di partito, ho impegni internazionali». Poi, il 16 settembre a Bologna: «È sufficiente che un giovanotto dica di volermi cacciare a calci in culo, che subito gli vengono concesse paginate e interviste».
Il 23 giugno, alla convention Big Bang a Firenze, Renzi fa ascoltare L’estate sta finendo dei Righeira e dice: «L’Italia si può servire senza necessariamente stare appiccicati a una poltrona. L’estate sta finendo, il loro mandato no. Senza fare nomi: cari D’Alema, Veltroni, Rosy, Marini, in questi anni avete fatto tanto per il paese, ma adesso anche basta».
«Renzi appartiene alla nomenclatura sin da piccolo. Lui ha detto che vuole allearsi con il popolo, sono frasi non nuove… Se vince lui non c’è più il centrosinistra» (a Otto e mezzo il 24 settembre 2012).
«Se vinco io non finisce il centrosinistra. Al massimo finisce la carriera parlamentare di D’Alema» (newsletter di Matteo Renzi, 26 settembre 2012).
«Avevo detto a Bersani di valutare assieme l’ipotesi che io non mi ricandidi al Parlamento. Ma ora no, poi naturalmente parlerà il partito. Renzi ha sbagliato e continua a sbagliare. Si farà del male» (a Federico Geremicca, La Stampa 10 ottobre 2012).
«Ha detto che mi farò del male. È un linguaggio intimidatorio che non mi piace e non mi aspettavo dal presidente del Copasir» (a Repubblica tv, 10 ottobre 2012).
Il 14 ottobre 2012 Walter Veltroni annuncia in tv a Che tempo che fa l’intenzione di non ricandidarsi. Renzi su Facebook commenta: «Bene, sono sicuro che non sarà l’unico a fare questo passo». Il 15 ottobre l’Unità pubblica un manifesto con settecento firme raccolte nelle regioni del Sud a sostegno della candidatura di D’Alema, che dice: «Mi candido solo se me lo chiede il partito». Ma i big del Pd si defilano. Addirittura Antonio Placido, sindaco di Rionero in Vulture, piccolo comune lucano, nega pubblicamente di aver firmato l’appello. Altre smentite seguono.
Il 15 ottobre Bersani dichiara a Repubblica tv: «Non chiederò a D’Alema di ricandidarsi». Il 16 ottobre D’Alema risponde con un’intervista a Massimo Giannini di Repubblica: «Avevo già deciso di non ricandidarmi due mesi e mezzo fa, si figuri se aspetto Renzi! Quello che mi sta a cuore ora è difendere la mia storia, la nostra storia. Se c’è qualcuno che pensa che ormai io sia un cane morto, be’, credo proprio che in termini di consensi reali, nel partito e nel paese, si stia sbagliando, e se ne accorgerà».
BERLUSCONI
Il 12 marzo 1996, in piena campagna elettorale, intervistato da Minoli a Mixer: «Berlusconi ha il pregio di avere una carica umana e di essere simpatico e il difetto di non dire sempre la verità. Io invece mi ritengo sincero e spesso sono sgradevolmente sincero». Nel settembre 1998, dopo il fallimento della Bicamerale: «Berlusconi è un uomo amabile e simpatico». E ancora nel 2000, di nuovo in campagna elettorale: «È veramente un uomo di straordinaria simpatia».
Il primo incontro con Berlusconi, alla fine del 1989, con il Cavaliere che offre D’Alema, allora direttore dell’Unità, un posto di lavoro nelle sue reti: «Lei perché non fa un talk show con noi? Sa, con noi in tv lavorano tanti bravi giornalisti, come Ferrara…». Molti anni dopo D’Alema commenterà: «In quell’occasione Berlusconi ha dimostrato una delle sua migliori doti: la capacità di chiedere senza chiedere, anzi offendo soldi. Perché la regola principale di Berlusconi è pagare».
D’Alema e Berlusconi si danno ancora del lei.
«Durante l’elezione per il capo dello Stato, il presidente Berlusconi ha avuto la cortesia di chiamarmi al telefono per spiegarmi le ragioni per le quali non riteneva possibile la convergenza sul mio nome. “La maggior parte dei nostri elettori non capirebbe, perché la considerano uno dei nostri avversari più pericolosi”. “La ringrazio”, ho risposto, “Se volesse fare un’intervista per spiegare questo concetto anche a qualche elettore di sinistra…”» (a Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 1 maggio 2013).
PCI-PDS-DS
«Vedi, questa è la prima legge generale del socialismo reale: i dirigenti mentono, sempre, anche quando non sarebbe necessario. La seconda è che l’agricoltura non funziona. Mai, in nessuno di questi paesi. La terza, facci caso, è che le caramelle hanno sempre la carta attaccata» (Enrico Berlinguer a D’Alema, nel 1984, durante il viaggio a Mosca per i funerali di Jurij Andropov).
Nel 1984 dopo i funerali di Enrico Berlinguer, nell’auto che torna a Botteghe Oscure D’Alema sancisce con Achille Occhetto il «patto del garage» per pilotare la successione alla guida del Pci: viene bloccato Giorgio Napolitano e richiamato il vecchio Alessandro Natta, che promuove una segreteria di giovani, tra cui gli stessi Occhetto e D’Alema. L’accordo è: breve segreteria-ponte di Natta, poi potere a Occhetto. Ma Natta non se ne va.
Il 30 aprile 1988, quando Natta è colto da malore mentre sta per salire sul palco di Gubbio, D’Alema rilascia un’intervista a Italia Radio: «Il rinnovamento è necessario». Racconterà Adele Morelli, vedova di Natta: «Alessandro è in ospedale, accendiamo la radio, il Gr annuncia: la direzione del ci avrà sul tavolo le dimissioni di Natta. Mio marito impallidì. Per poco non gli preso un secondo coccolone. Non aveva scritto nessuna lettera». (ad Antonello Caporale, la Repubblica 14 giugno 2001).
Il 10 marzo 1990 a Bologna, al XIX Congresso straordinario del Pci, quello della svolta, D’Alema piange. Scrive Giampaolo Pansa su Repubblica: «Piange per prima Liva Turco, però qui siamo nella più storica normalità. Piange per secondo, indovinate chi? Ma sì, nientemeno che Massimo D’Alema, proprio lui che abbiamo sempre dipinto come un glaciale freezer. D’Alema si stropiccia gli occhi. Natta gli sussurra qualche sfottitura paterna. Massimo il sottozero tenta di negare. Indica il soffitto del Palasport, quasi a incolpare le luci dei riflettori».
«“D’Alema ha pianto”. “Allora la linea è piangere”» (vignetta di Ellekappa).
«Io non sono affatto freddo. Amministro le mie passioni» (a Giovanni Minoli, Mixer 12 marzo 1996).
Il 4 febbraio 1991 al Congresso di Rimini Occhetto manca clamorosamente il quorum per l’elezione a segretario. Se ne va furibondo a Capalbio. Tutti sospettano di D’Alema che, come ha raccontato Claudio Velardi, nel viaggio di ritorno verso Roma «era carico di adrenalina e ogni tanto ripeteva ad alta voce “È morto, è morto, è morto”. “Chi?” gli chiedo. E lui: “Ma come chi? Il papero”» (da Luca Telese, Qualcuno era comunista, Sperling & Kupfer 2009). I vecchi del partito offrono a D’Alema la segreteria, ma lui rifiuta: «Occhetto è troppo amato, adesso la base non capirebbe». Corre a Capalbio e lo convince a tornare.
Tra il 1992 e il 1994, quando Occhetto spedisce D’Alema alla Camera, questo chiama Velardi come capo ufficio stampa, «con la missione di distruggere Occhetto. Ogni giorno alle nove di mattina raccontavo ai giornalisti le cazzate che faceva».
Il 13 marzo 1999 al congresso dei Verdi, a proposito del futuro Partito Democratico: «Mettiamo un po’ di ambientalismo, perché va di moda. Poi siamo un po’ di sinistra, ma come Tony Blair, che è sufficientemente lontano, diciamo… poi siamo anche un po’ eredi del cattolicesimo democratico. Poi ci mettiamo un po’ di giustizialismo che va di moda… e abbiamo fatto un nuovo partito, lo chiamiamo in un modo che non dispiace a nessuno, perché Verdi è duro, sinistra suona male, democratici siamo tutti, ed è fatta. E chi può essere contro un prodotto così straordinariamente perfetto? C’è tutto. Auguri. Io però non ci credo».
VIZI
La love story della cagnetta Lulù, un labrador, con il cane di Alfio Marchini.
Libro preferito: L’arte della guerra di Sun Tzu.
Le camice cifrate M. d’A., con la d minuscola a evocare un’inesistente ascendenza aristocratica.
L’onorificenza vaticana Nobiluomo, ottenuta ed esibita sul petto il 20 novembre 2006 da ministro degli Esteri, con lo stellone di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano.
Il famoso risotto. Una sera a cena a casa di Nicola Latorre, a Testaccio. Una dozzina di persone, tra cui Claudio Velardi Fabrizio Rondolino e signore. D’Alema ai fornelli con grembiule nero su camicia azzurra, cucina un riso “carnaroli acquerello” arriva dalla tenuta nel vercellese del fratello di Rondolino. Simona Ercolani riprende tutta con la telecamerina. Rondolino poi decide di passare il filmato a Bruno Vespa, che ne trasmette due minuti durante la puntata di Porta a Porta del 13 ottobre 1997. Poi il conduttore fa entrare Gianfranco Vissani con un fornello portatile montato su un carrello per una dimostrazione in tempo reale con D’Alema.
Ricorda Rondolino: «Tutto si svolse in tarda serata, con un’audience bassa, circa mezzo milione di telespettatori, ma a distanza di vent’anni ancora se ne parla».
Un giorno arriva a Saxa Rubra nello studio di Porta a Porta e, scrutando Bruno Vespa con sufficienza sentenzia: «Ti starebbe meglio un finto tre bottoni». Ricorda il conduttore nel libro La svolta: «Ricambiai confuso facendogli i complimenti per le scarpe. E lui: “Sono cucite a mano da un’azienda calabrese” mi gelò, quasi a dire che mai avrei potuto elevarmi a tanto».
Poi su Repubblica il 29 giugno 2000 Conchita De Gregorio rivelò: «Dopo che Velardi lo aveva portato dal suo sarto napoletano per togliergli le giacche Upim, D’Alema ha imparato ad apprezzare autentiche schiccherie come le scarpe fatte a mano. Non molto tempo fa, in una cena a casa dell’amico Alfredo Reichlin, ne sfoggiava un paio costate un milione e mezzo. Incredulità degli astanti: “Ma sono fatte a mano”. Ah, ecco».
L’inizio di un’intercista di Luca Telese su Panorama Economy: «Massimo D’Alema pianta gli occhi in faccia al cronista, e poi li abbassa verso i suoi piedi: “Le vede? Be’, sono queste. Proprio queste qui!». Dopo un accurato esame visivo, si può notare questo: il modello è in color cuoio chiaro, in ottime condizioni, tomaie ben rifinite, con cuciture laterali e in punta. Hanno ormai tre anni di vita e il presidente dei Ds non ha ancora dimenticato: “Glielo confesso. Mi sono pentito di non aver querelato. Avrei dovuto davvero. Tutto per un paio di scarpe fatte da un grande artigiano, che oggi purtroppo non c’è più. Costavano poco più di 300.000 lire, e ne ho prese diverse paia. Tutto qui”».
I DALEMIANI
«Questo fatto dei dalemiani mi ha sempre dato fastidio. Io non ho mai voluto fare una corrente» (Massimo D’Alema).
Peppino Caldarola: «Come ogni religione, il dalemismo è un culto con le sue teorie, i suoi riti, i suoi discepoli, i suoi apostoli e le sue complesse liturgie, attraverso le quali i fedeli tentano di esprimere il proprio personalissimo rapporto con la loro divinità».
Lo staff di D’Alema si rivelò nel 1999 con un bigliettino d’auguri firmato, appunto, “lo staff”. «In quei giorni almeno tre dei fotografi più à la page della politica italiana – Roberto Koch, Augusto Casasoli, Antonio Scattolon – iniziarono a portare sulle scrivanie delle redazioni delle foto posate, informali, curiose. Solitamente in mezzo c’era D’Alema: intorno, in posa conviviale, a metà fra un ipotetico brain storming e il cazzeggio, c’erano loro: i Lothar, in omaggio al Lothar di Mandrake, perché tutti rasati a zero» (Luca Telese, il Fatto Quotidiano 31 dicembre 2009).
L’immagine dei Lothar, utilizzata per la prima volta da Maria Laura Rodotà sulla Stampa.
Claudio Velardi. Napoletano di famiglia antifascista, già dirigente della Fgci, del Pci (segretario regionale in Basilicata dal 1986 al ’90), ora è imprenditore, lobbista, consulente per campagne di comunicazione. Con D’Alema è stato prima capo ufficio stampa tra il 1992 e il 1994, poi è passato a Palazzo Chigi a tessere rapporti riservati e qualificati con leader politici e potenti. Nel Pds non piaceva molto. Ricorda Mussi: «Un vero uomo di potere. D’Alema lo aveva chiamato per una certa sua spregiudicatezza di vedute. Una volta mi lamentai con D’Alema perché Velardi trafficava, promuoveva campagne contro i nostri dirigenti. Lui mi disse: “Eh sì, è corsaro, un po’ pirata, ma anche la regina Elisabetta aveva il suo sir Drake”. Io gli risposi: “Secondo me Velardi non è sir Drake, ma di certo tu non sei la regina Elisabetta”». Con D’Alema ha interrotto i rapporti anni fa. L’11 ottobre 2012 ha detto a Fabrizio D’Esposito del Fatto Quotidiano: «D’Alema non ha più nulla di politico, lo dico con affetto antico che sconfina nella tenerezza e nella pena. Ha imboccato una deriva triste e biliosa. Ormai siamo nella psicologia. Non è in pace con se stesso».
Fabrizio Rondolino. Torinese Di buona famiglia, laureato in filosofia teoretica, giornalista e scrittore, dirigente della Fgci ma non del Pci. All’Unità, con D’Alema direttore, era «resocontista ufficiale del segretario del partito» Occhetto, tanto da essere soprannominato «aedo occhettiano». D’Alema, che si annoiava terribilmente a fare il direttore, passava le giornate al suo computer a giocare ai videogiochi (Tetris e un altro di guerra). Se ne appassionava a tal punto che talvolta Rondolino, rientrato in redazione, doveva attendere la conclusione della partita per poter cominciare a scrivere il pezzo. Rondolino segue D’Alema come portavoce prima a Botteghe Oscure poi a Palazzo Chigi, dove resta poco, travolto dalle polemiche per «una quindicina di pagine di delirio erotico» (definizione dello stesso Rondolino) contenute nel suo romanzo Secondo avviso. Si dimette il 20 febbraio 1999. Con D’Alema ci parla ancora, anche se raramente.
Marco Minniti. Calabrese, laureato in filosofia, carriera nel partito, passato alla storia per aver fornito a D’Alema le scarpe da un milione di lire, gli è stato vicino prima a Botteghe Oscure (segretario organizzativo dei Ds), poi a Palazzo Chigi (sottosegretario alla presidenza). Nel 2007 si è scoperto veltroniano: «Con Massimo abbiamo condiviso un’esperienza politica per certi versi straordinaria. Raggiunti gli scopi, ognuno ha preso la sua strada» (intervista a Marco Sarti, Linkiesta 9/1/2012).
Nicola Latorre. Salentino di famiglia socialista. Infanzia cattolica, adolescenza maoista, fondatore e tesoriere della Fgci a Fasano, dove è stato impiegato nella cassa di risparmio, consigliere comunale comunista, assessore (alleato con la Dc) e sindaco (alleato con il Psi). Amicizia con D’Alema dai tempi della Fgci. Diventato segretario del Pds, D’Alema se lo porta a Roma e nel 1996 lo piazza a capo della segreteria del sottosegretario ai lavori pubblici Antonio Bargone, altro salentino dalemiano. Dice di lui Rondolino: «Calmo, sempre tranquillo, una specie di Buddha, un muro di gomma. Uno che di fronte all’annuncio del Vajont avrebbe detto: “Le faremo sapere”». Latorre segue D’Alema come un’ombra: alla Bicamerale, al partito, a Palazzo Chigi, all’Associazione Futura, alla Fondazione Italiani Europei. Nel 2005 entra in Senato, nel 2008 diventa vice capogruppo. Unico a poter vantare la dedica «A Nicola, che tiene le fila del nostro lavoro nella buona e nella cattiva sorte» sul libro di D’Alema Oltre la paura. Nel 2001 è cominciato un allontanamento. «È vero abbiamo avuto delle divergenze, ma sono stato il più fedele» ha ammesso.
Gianni Cuperlo. Triestino, intellettuale, secchione, algido, ultimo segretario della Fgci (che sciolse dopo la caduta del Muro di Berlino). Aveva la funzione di ghost writer e studioso di sondaggi. Nel 1995 ha formato con D’Alema e Velardi il libro-manifesto Un paese normale. Rondolino: «D’Alema parlava, Cuperlo scriveva, Velardi stracciava».
D’ALEMA E I SOLDI
«La vera differenza tra Berlusconi e D’Alema è il denaro: Berlusconi lo possiede, lo maneggia, lo fa girare vorticosamente; D’Alema lo esorcizza, lo teme, lo nasconde nella metafora del potere» (Giuliano Ferrara, Epoca giugno 1995).
Cominciamo dall’inizio: i primo soldi che ha visto in vita sua?
«Sa che non saprei dirle? Non ho mai avuto un rapporto viscerale con il denaro e forse questa ne è la migliore prova: non ricordo soldi, da bambino» (a Luca Telese, Panorama Economy luglio 2003).
Famiglia della piccola borghesia meridionale trapiantata al Nord («eravamo abbastanza spartani»), il nonno era direttore scolastico e fu trasferito.
Il padre Pino era dirigente del Pci, la madre Fabiola impiegata in un ente pubblico. Lei guadagnava più di lui. Viaggio di nozze a Cervia, ospiti di un compagno. Quando Massimo ha dieci mesi, Pino D’Alema è trasferito a Venezia, a fare il vicesegretario regionale. Vivono in appartamento al piano terra alla giudecca che quando c’è alta marea si allaga. Tre anni in Veneto, poi in Emilia Romagna. Nel 1956 il partito chiama Pino a Roma. Eletto in Parlamento nel 1963, ci resterà fino al 1983.
Massimo va a studiare alla Normale di Pisa e conosce Fabio Mussi. D’Alema sarà testimone di Mussi al suo matrimonio nel 1970.
Il 21 luglio 1995, alla festa di Cuore, D’Alema racconta di aver tirato una molotov durante la manifestazione del 31 dicembre 1968 davanti alla Bussola di Viareggio «contro gli sprechi dei padroni».
Il 19 aprile 1973 sposa Gioia Maestro. Viaggio di nozze in costiera amalfitana, con i genitori di lui. Appartamento messo a disposizione dai genitori di lei. Nello stesso anno il primo stipendio dal Pci. È parametrato a quello di metalmeccanico di quinto livello senza straordinari né premio di produzione.
Resterà il suo reddito fino al 1985, quando viene eletto consigliere regionale pugliese (due anni dopo entra in Parlamento.
LA BARCA E IL VINO
«D’Alema ha una barca a vela, ma è una barca di sinistra perché si può solo cazzare… E tu, Massimo, hai cazzato tantissimo» (Maurizio Crozza, il 25 febbario 2006 al Palalottomatica, presente D’Alema tra la platea).
Attribuisce allo zio Gastone modesti, «che era il più benestante della famiglia, la responsabilità capitale di avermi trasmesso la passione per le barche. Lui aveva un 11 metri».
Con Mussi poi impara ad andare in barca a vela: «Io gli ho insegnato, da ragazzo andavo con le derive del circolo velico».
La prima barca di D’Alema, un Comet 12 metri amaranto, costruito in un cantiere di Cervia, una barca media. Battezzata Margherita in onore della nonna materna acquistata con due cugini. Scrive il Corriere della Sera: «Un cabinato per comode crociere, con tre cabine doppie, una a prua e una a poppa, altri tre posti letto nel quadrato, due bagni». Margherita sarà rottamata dopo l’estate 1996.
La seconda barca di D’Alema è un Baltic. Barca svedese costruita nel 1982, scafo bianco, albero nero, 31 tonnellate di stazza, 15 metri di lunghezza, 5 di larghezza, 160 metri quadrati di superficie velica. La acquista il 14 novembre 1997 per l’equivalente di 154.937 euro.
Il 20 luglio 1997 al Maurizio Costanzo Show: «La barca è una passione che mi coinvolge molto. È una forma di rapporto con il mare e con la natura. Tu sai che non puoi andare controvento, ma sai pure che piegandoti 30 gradi puoi risalire il vento. Questo è un insegnamento per la vita: se non ti curvi non vinci».
Nel 2002 Panorama rivela che D’Alema ha commissionato la costruzione di una nuova barca. La Ikarus II sarà un esemplare unico di sloop di 18,31 metri in mogano lamellare con albero di carbonio, 4,90 metri di larghezza e 40 tonnellate di stazza, 218 metri quadri di superficie velica e un motore di 145 cavalli. Doppio pozzetto, tre marinai di equipaggio, quattro cabine, tre bagni più dinette e zona studio, dieci posti letto. Il prezzo di listino è 1,2 milioni di euro, ma per D’Alema e soci si arriva a 430 mila euro escluse vele e strumentazioni. Parte della cifra, 250 mila euro, proviene dalla vendita del primo Ikarus a un acquirente svedese.
Nel settembre 2011, nel fondo di pagina 282 del mensile Nautica compare un annuncio: «Vendesi Ikarus, pluripremiata imbarcazione per lunghe crociere veloci». Spiega Alberto Gentili sul Messaggero: «La decisione l’ha presa prima dell’estate a causa del pressing della moglie Linda Giuva. Una sorta di aut aut: non ci possiamo permettere la barca e l’azienda agricola. Devi scegliere tra l’una e l’altra».
L’azienda agricola si chiama La Madeleine, 15 ettari di terreno tra Otricoli e Narni, in Umbria, acquistati nel 2009 e intestati ai figli. Ingaggia l’enologo Riccardo Cotarella (già consulente di George Clooney e Silvio Berlusconi). Vitigni impiantati nel 2010: Cabernet Franc, Pinot Nero, Marselan, Tannat. Lavori di ristrutturazione per costruire la cantina. Prima vendemmia nel 2012, «ma per avere un prodotto di qualità ci vorranno anni» ha ammesso D’Alema.