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 2013  luglio 20 Sabato calendario

Si diceva di lei che fosse la più bella ragazza di Vienna. Capelli folti, occhi azzurri, forme generose

Si diceva di lei che fosse la più bella ragazza di Vienna. Capelli folti, occhi azzurri, forme generose. Si diceva che avesse spirito, eleganza e un vero talento per le arti. Ancor più per gli artisti. Che Alma Schindler sapeva riconoscere in modo infallibile, al primo sguardo. Decisa ogni volta a farli suoi. Ma anziché un quadro o una poesia, una partitura o un progetto d’arredo, lei preferiva portarsi a casa direttamente il poeta o il musicista, il pittore o l’architetto. Uno dopo l’altro, li sposò tutti. Scegliendo con cura nel ricco mazzo di una Vienna primi Novecento i pezzi «migliori». Prima Gustav Mahler, poi Walter Gropius, poi ancora Franz Werfel. Quanto a Kokoschka, fu l’amore folle. Così, alla fine, si conquistò la medaglia di «Vedova delle quattro arti». E Alma Schindler Mahler (cognome che, nonostante i successivi matrimoni non si toglierà più perché le spalancava tutte le porte) divenne una leggenda. Ora ripercorsa, senza tema di addentrarsi anche nei suoi lati oscuri, da Catherine Sauvat in Alma Mahler, musa del secolo (Odoya editore, pp. 236 14). La sua carriera di collezionista di geni comincia con Gustav Klimt, che incontra nel 1898, guarda caso anno della nascita della «Sezession». Lei ha 19 anni, lui 36. Il pittore ne è subito affascinato, ma essendo già accasato, si guarda bene dallo sbilanciarsi. Quando lui la bacia, Alma pensa che sia cosa fatta, ma Gustav si dilegua. Nel frattempo lei ha già messo gli occhi su un attraente architetto, Joseph Maria Olbrich. Con cui sfarfalleggia qualche mese finché lui non si fidanza con un’altra. Breve giro di valzer con un secondo pittore, Fernand Khnopff, per poi cadere nelle braccia mature di Max Burckhard, direttore del Burgtheater, esteta e mangione, che la conquista a colpi di ostriche e caviale. Una carta vincente con Alma, per tutta la vita appassionata di buona tavola e di buon bicchiere (pare si scolasse un litro di Bénédictine al giorno e quando una bottiglia le cadde su un piede il direttore d’orchestra Bruno Walter parlò di «infortunio sul lavoro»). Burckhard si fa audace, e lei scrive nel diario: «È orribile, mi ha baciata con la lingua». Quando però le allunga le mani sotto la gonna ne esce scombussolata e sogna di venir posseduta con la violenza. Il disgusto si associa spesso alle attrazioni fatali di Alma. Incontra Alexander von Zemlinsky, compositore di fama, futuro cognato di Schönberg, e lo classifica «uno gnomo sdentato, che puzza di vino». Ma ne è attratta perché lui adora Wagner e accetta di diventare suo maestro di composizione. Campo in cui Alma ha forti ambizioni. Un intreccio di amore e musica messo in crisi dalla sbandata per un bel tenore e dal fatto che «uno come Zemlinsky non lo si sposa». Perché brutto, povero e soprattutto ebreo. Un’avversione furibonda, che si trasformerà in una beffa del destino. Dei suoi tre mariti due infatti saranno ebrei. Il primo è Mahler, il direttore d’orchestra più in vista di Vienna. Si conoscono nel novembre 1901, si sposano quattro mesi dopo. Lui emana «un cattivo odore» ma Alma ci passa sopra. È un genio. Pazienza anche se è anche poco virile. Ha 20 anni più di lei, è una figura autoritaria che le ricorda l’amatissimo padre. Per lui rinuncia persino ai suoi sogni di musicista. Nascono due figlie, ma Maria muore piccolissima e con Anna il rapporto sarà sempre difficile. Alma scalpita: «Gustav, i bambini... La mia giovinezza se ne va e io non ho ancora fatto niente». A scuotere le acque arriva Gropius «così bello e così giovane». Così ariano, noterà in seguito. Così sbadato da indirizzare a Mahler una lettera d’amore destinata a lei. Dramma coniugale, Gustav finisce sul lettino di Freud e la implora di non lasciarlo. Riconosce i suoi torti, diventa suo schiavo. Morirà poco dopo a 50 anni, il giorno del compleanno dell’amante della moglie. Come per la piccola Maria, anche stavolta Alma non andrà al funerale. Sepolto Gustav, vacilla anche la passione per Gropius. A distrarla ci pensa Kokoschka, pittore maledetto di sette anni più giovane. Un rapporto hard: Oskar vuole essere picchiato durante i loro incontri e ama evocare immagini spaventose. Lei si stanca, si sposa con Gropius, s’innamora del poeta Franz Werfel, ma va a letto con Kokoschka. Che per liberarsi da quell’ossessione erotica si fa costruire una bambola, a grandezza naturale, identica ad Alma persino nelle parti intime. Con cui gira in carrozza, va a teatro e nei salotti. Finché una sera, invita a casa gli amici e dopo molte libagioni, la bambola viene decapitata e fatta a pezzi. Quanto a Werfel, Alma si accorge presto di non amarlo più ma lo sposa lo stesso. Anche lui un ebreo, per di più di sinistra. Lei sta dall’altra parte, con i franchisti nella guerra civile spagnola, con un prete filonazista con cui amoreggia. Il suo antisemitismo cresce. Nel diario parla di «razza degenerata». Il suo cattolicesimo oltranzista la spinge a far battezzare il cadavere del povero Werfel. Una vita frenetica votata a se stessa, al suo mito. Femme fatale fino alla fine, morirà a 85 anni senza smettere mai di sedurre. «Con artigli d’acciaio artiglio il mio nido — scrive nelle sue memorie —. Ogni genio è un bottino».