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 2013  luglio 20 Sabato calendario

Il caso eclatante e di scuola è quello di Alessandria: città in pieno dissesto. Ma negli anni passati sono andate a rotoli Taranto, Reggio Calabria e Napoli

Il caso eclatante e di scuola è quello di Alessandria: città in pieno dissesto. Ma negli anni passati sono andate a rotoli Taranto, Reggio Calabria e Napoli. In anni più recenti hanno avuto gravissimi problemi di bilancio Parma, Roma, Catania, città che però hanno avuto dei procedimenti di risanamento ad hoc, in alcuni casi anche con meri e contestati travasi di denaro da Roma. Oggi sono circa una quarantina i Comuni che si trovano nella stessa condizione di Detroit, ma secondo un rapporto della Corte dei Conti del 2012, negli ultimi vent’anni i Comuni italiani finiti a gambe all’aria sono stati 460, di cui 131 in Calabria, 121 in Campania, 43 nel Lazio e a pioggia un po’ in tutte le regioni, eccezion fatta per Friuli e Trentino. Spesso per colpa di cattiva amministrazione, altre volte per l’arrivo di impreviste ingiunzioni di spesa. A differenza di Detroit, però, in soccorso dei dissestati qui arriva sempre Pantalone. «Intanto un Comune non fallisce - dice Lidia D’Alessio, del dipartimento di Economia dell’Università Roma Tre - ma va in dissesto: il fallimento prevede che ci sia un responsabile, il dissesto invece diluisce le responsabilità e quindi salva politicamente e spesso giudiziariamente gli amministratori poco accorti». E comunque un Comune va in dissesto quando non ha più la possibilità di pagare le spese correnti obbligatorie oppure quando gli arriva una ingiunzione di pagamento a cui non può fare fronte. «Normalmente – dice D’Alessio – i Comuni resistono a dichiarare la capitolazione, perché politicamente bolla le amministrazioni come fallimentari. Tant’è che i Comuni in dissesto effettivo sono molti di più di quelli che lo hanno dichiarato». Una volta ammessa la bancarotta, tuttavia, la palla passa al ministero dell’Interno che, attraverso le prefetture, manda un commissario, cioè il «castigamatti» che comincia a fare le pulci al bilancio e parte con il risanamento. La prima mossa è la vendita del patrimonio, dopo di che vengono alzate tutte le aliquote. Ma se tutto questo non basta allora si procede prima alla revisione della pianta organica con una riduzione del personale e la messa in mobilità del resto, poi si accende un mutuo a carico del Comune presso la Cassa depositi e prestiti. Il Comune, in questo modo, viene riportato «in bonis» in un tempo non superiore ai 5 anni. Ma la cosa non finisce lì. Secondo le norme sul federalismo fiscale del governo Berlusconi, il sindaco che si macchi di dissesto non è eleggibile per 10 anni. «Tutto questo, però, in linea teorica - dice la professoressa perché un dissesto non avviene quasi mai di botto e ha molti padri difficili da individuare. Inoltre ogni decisione viene presa collegialmente e nascondersi dietro il gruppo può essere facilissimo, con il risultato che non si sa mai di chi sia la colpa e nessuno paga. Pensiamo al caso dei derivati: molti Comuni pensavano di fare bene e la decisione di investire su questi prodotti finanziari è stata condivisa. Poi sono saltati in aria, ma di chi è la colpa? Di nessuno, perché la politica copre sempre i suoi».