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 2013  luglio 19 Venerdì calendario

PER CONDANNARE IL CAV SPESI 20 MILIONI

A pochi giorni dalla sentenza della Cassazione sui diritti Mediaset, fissata a tempo di record il 30 luglio per scongiurare il pericolo che parte dei re­ati­contestati a Silvio Berlusconi cades­sero in prescrizione, il Pdl fa quadrato intorno al Cavaliere spulciando le pa­gine di un processo che tra perizie, ro­gatorie e atti vari potrebbe essere già costato allo Stato intorno ai 20 milioni di euro. Basti pensare che una sola del­le­tante consulenze ordinate dalla Pro­cura di Milano per cercare di mettere all’angolo l’ex premier con una con­danna a 4 anni di reclusione è costata da sola quasi 3 milioni.
Il documento, di sette pagine, è duro con i magistrati meneghini: avrebbe­ro fondato il dibattimento su un’ipote­si accusatoria «assurda e risibile» che ha passato il vaglio dei giudici solo per­ché questi sarebbero «totalmente ap­piattiti sull’accusa e non «super par­tes». Quando sul banco degli imputati siede Berlusconi, in aula c’è un fervore inquisitorio che altri processi neppu­re si sognano. E non importa se il colle­gio del Tribunale di Milano fosse pre­sieduto da Edoardo D’Avossa, un giu­dice già ricusato perché in un altro di­battimento che riguardava sempre la Fininvest aveva condannato i dirigen­ti imputati sottolineando come fosse noto a tutti che nel gruppo si utilizzas­sero fondi neri, salvo poi essere smen­tito in Appello e in Cassazione. Non im­porta nemmeno che la presidente del­la Corte di Appello che ha confermato la sentenza di condanna dell’ex premier, Alessandra Galli, avesse manife­stato pubblicamente la sua disappro­vazione nei confronti del governo Ber­lusconi. In qualsiasi altro Paese, que­sto non sarebbe stato possibile. E in qualsiasi altro Tribunale, secondo i fe­delissimi del Cavaliere, l’esito del pro­cesso sarebbe stato diverso. Anche perché i fatti contestati sarebbero ac­caduti nella prima metà degli anni ’90, quindi abbondantemente prescritti se i giudici non avessero accettato l’in­solita tesi della Procura secondo la quale la compravendita dei diritti ave­va continuato a produrre i suoi effetti in tutti gli esercizi di bilancio in cui gli stessi diritti avevano trovato utilizza­zione, ancorché fossero stati pagati al­l’epoca dei contratti originari risalenti agli anni ’90 e ammortizzati nei bilan­ci aziendali. Altra assurdità evidenziata dal Pdl è rappresentata da ben due sentenze della Cassazione che hanno stabilito l’estraneità di Berlusconi alla gestione di Mediaset negli anni in que­stione.
A Milano il Tribunale non ha credu­to che l’imprenditore americano Frank Agrama fosse l’unico canale at­traverso il quale Mediaset poteva acce­dere ai prodotti Paramount, neppure di fronte al fatto che quando un nuovo amministratore di Mediaset cercò di fare a meno della mediazione di Agra­ma trattando direttamente con Paramount la casa cinematografica ameri­cana cedette i suoi prodotti alla rivale Rai. Per i giudici Agrama era socio oc­culto di Berlusconi e con lui avrebbe di­viso gli utili delle vendite Paramount, anche se dagli atti risulta che i due si in­contrarono solo un paio di volte negli anni ’80 e che mai c’è stato alcun trasfe­rimento di denaro tra loro. Come spiegare, poi, le tangenti in «nero» pagate per far sì che l’azienda acquistasse l’in­tera produzione annuale di Paramount? Berlusconi avrebbe mai ac­consentito al pagamento di mazzette a propri dirigenti per agevolare Agra­ma? E poi,si sottolinea nel dossier,tut­ti i­testimoni hanno escluso che Berlu­sconi si fosse mai occupato dell’acqui­sto di diritti tv.