Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 19 Venerdì calendario

“QUELLA VA SOLO COL FALCON” LA BELLA VITA A SPESE FONSAI

I Ligresti andavano coccolati. Perché don Salvatore era fedele e silenzioso, caratteristiche preziose per i banchieri e i politici di cui si metteva nella scia. Perché era generoso e munifico, con gli amici potenti o utili per saltare qualche ostacolo. E perché con le sue partecipazioni azionarie era diventato un pezzo imprescindibile del sistemone italiano, del nostro capitalismo di relazione. Alle coccole di banchieri, politici e distrattissimi addetti alle istituzioni di controllo, la Famiglia aggiungeva altre coccole, tanti soldi e infiniti benefit pretesi dalle aziende considerate cosa loro, anche quando erano società quotate in Borsa. Quando il 12 aprile 2012 il professor Fulvio Gismondi, consulente di Fonsai, bussa alla porta del magistrato milanese Luigi Orsi, certo non può sapere che un anno dopo l’intera famiglia Ligresti sarebbe stata arrestata. Ma sapeva che nella compagnia assicurativa i conti non tornavano, perché la materia in cui è un mago, e cioè le stime probabilistiche delle spese future per i risarcimenti dei sinistri, erano aggiustate dai Ligresti per occultare un buco che diventava via via una voragine. Ben 538 milioni di perdite occultate nel bilancio 2010. Evidentemente soddisfatti dei risultati ottenuti, i Ligresti si premiavano con compensi per decine di milioni e ricchi emolumenti. E poi tanti benefit, case, auto, aerei, personale dedicato. Paga Pantalone, cioè l’ignaro azionista.
Nel verde di San Siro
Case, innanzitutto. Si sa che Salvatore Ligresti adora il mattone, il suo primo amore, tanto da restare per sempre grato al ragionier Mascherpa, del Credito Commerciale, che – racconta – gli presta i primi 10 milioni (di lire) con cui realizza la sua prima operazione immobiliare e guadagna il suo primo miliardo. Era il 1962 e di acqua ne è passata tanta sotto i ponti, e anche di miliardi, finiti nel mare dei fallimenti. Ma gli immobili restano il suo pallino. Così, benché abbia già casa a Milano, una villa immersa nel verde di San Siro, Ligresti aveva preteso un ufficio, due foresterie e un’abitazione in città. Anche se non aveva cariche operative ed era solo presidente onorario, occupava un ufficio al primo piano di via Locatelli, proprietà ripartita tra Immobiliare Lombarda e Immobiliare Fonsai, che se l’erano reciprocamente affittato. Le due foresterie erano una all’undicesimo piano di piazza della Repubblica (pagava l’affitto Fondiaria Sai) e l’altra al quattordicesimo (di Sinergia, la holding di Ligresti, che l’aveva affittata a Fonsai). L’abitazione è in viale Majno, è di Immobiliare Fonsai ed è occupata da Ligresti (abusivamente?) senza alcun contratto. Per non farsi mancare niente, nelle foresterie erano attivi tre contratti Sky.
La figlia Jonella, oltre agli uffici di via Locatelli, aveva a disposizione un appartamento a Roma in via della Tre Madonne (di Milano assicurazioni, occupato senza alcun contratto), come pure il fratello Paolo. Giulia, la stilista della famiglia, aveva casa in via Vincenzo Monti a Milano (di Fonsai, senza contratto).
Staff e segretarie
Don Salvatore aveva al suo servizio dieci persone, cinque segretarie e cinque autisti. Le segretarie Rosanna e Annamaria pagate con contratto di consulenza da Fonsai, Carla consulente di Premafin, Laura dipendente di Fonsai e Serafina, poverina, solo con un contratto interinale di Milano assicurazioni. Tutti assunti invece i cinque autisti: Mauro e Antonino pagati da Fonsai, Massimo e Giovanni da Milano assicurazioni, Antonio da Atahotels. Jonella aveva a disposizione sei persone, tra cui due segretarie, l’autista Livio e Cynthia, addetta al “supporto linguistico”. Giulia aveva al suo servizio otto persone, alcune delle quali erano pagate da Premafin o Milano assicurazioni, ma lavoravano per Gilli, la sua società personale. Otto dipendenti anche per Paolo, tra cui due autisti.
Garage a 5 stelle
Il patriarca Salvatore aveva a disposizione tre auto: due Mercedes S320, di cui una automatica, e un’Audi A6. Per tutte, leasing pagato da Fonsai. Più esigente la figlia Jonella, che di macchine ne aveva sei. Una Mercedes SL62, tre Bmw, tra cui un suv X5, una Fiat 500 che fa tanto moda e una Toyota Auris. Giulia aveva a disposizione cinque auto. Un’Alfa Romeo 159 2.0, due Audi A8 praticamente identiche, una Mercedes GL 500 sport e una Mini Cooper S. Auto tutte di proprietà o in leasing di società del gruppo. Il figlio Paolo esagera: nove auto e uno scooter Aprilia (di proprietà di Atahotels). Le macchine sono due Lexus (leasing Immobiliare lombarda), due Audi, S8 e A3 (di proprietà Atahotels), una Subaru Impreza, due Citroen (C1 e Crosser) e due Mercedes (monovolume Viano e pulmino Vito).
Tra le nuvole.
Jonella era pazza per l’aereo privato, un Falcon. Tanto che, in un’intercettazione, il manager Alberto Alderisio, al telefono con Fausto Marchionni, sbotta: “Manie di megalomania incontrollabili. ‘No, io non posso andare con Paolo, io vado da sola’, e partiva il Falcon... Ora, però, mi possono anche chiedere: scusi, 6 mila euro l’ora costa il Falcon, me lo vieni a raccontare tu per quale motivo va avanti e indietro come una trottola?”.
L’amore per il vino
Controcorrente, Vittorio Feltri di fronte a questo spettacolo imbastisce sul Giornale una paginata di commoventi elogi a don Salvatore, “statura bassa, intelligenza alta, astuzia altissima”. Non si preoccupa minimamente di capire (e di informare i suoi lettori) sulla montagna di soldi rubati (“Non ci addentriamo nelle questioni giudiziarie, dato che non conosciamo i dettagli e, anche se li conoscessimo, non ci capiremmo ugualmente un tubo”). Solo alla fine si capisce da dove nasce tanto amore per don Salvatore: dopo aver riferito di aver abitato nello stesso palazzo di Ligresti, Feltri racconta: “Comprò una tenuta in Toscana dove si produce un vino eccezionale, che una sera ci fece assaggiare apparecchiando un tavolo di mescita in redazione. Degustazione indimenticabile”.