Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 19/7/2013, 19 luglio 2013
VOTI, SPRECHI E PARENTI: CROLLA L’IMPERO DEL RAS DI MESSINA
È come se il mare avesse inghiottito la Madonna della Lettera, che dallo Stretto protegge la città di Messina. Impossibile. L’impero crolla, l’eterno potere di Francantonio Genovese e della sua famiglia subisce un colpo mortale. È arrivata la Giustizia e ha varcato la porta della famiglia politica più potente della città. Al centro del ciclone lo scandalo di sempre, il più ricco, ma anche il più odioso, quello della formazione professionale. Un bengodi di “mancati controlli, sprechi e sistematiche sottrazioni di denaro pubblico”, come scrivono con dolente imbarazzo, più che con sdegno, i magistrati della procura messinese. Un affaire di milioni di euro finiti nelle capienti tasche della “famiglia” Genovese attraverso sovrafatturazioni, prezzi gonfiati per beni e attrezzature acquistati, affitti di sedi spropositati, finanche auto di lusso. Un sistema collaudatissimo che portava soldi e voti, potere e forza contrattuale a Francantonio Genovese . Prima sindaco della città, poi deputato al Parlamento nazionale con un posto di rilievo addirittura in Commissione antimafia, di nuovo deputato che spinge per diventare segretario della Camera. Ora crolla tutto: Chiara Schirò, la moglie dell’onorevole, è finita in galera insieme alla consorte di un altro eccellente, Daniela D’Urso, moglie di Giuseppe Buzzanca, l’ex sindaco Pdl della città.
E POI Elio Sauta, ex consigliere comunale del Pd, Concetta Cannavò, la tesoriera del partito di Epifani nel Messinese, insieme a una serie di funzionari degli enti, portaborse della politica, affaristi. Gente, scrive il gip Giovanni Di Marco, che si è associata “tra loro e con altri, essendo legati anche da vincoli di appartenenza politica e familiare, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti di peculato, truffa aggravata, reati finanziari e falsi in bilancio connessi alla gestione degli enti di formazione Aram e Lumen - gestione orientata anche a finalità di propaganda politico-elettorale e finanziata con fondi erogati dalla Regione Siciliana, ottenuti grazie anche all’accreditamento politico effettuato dagli esponenti politici di riferimento; nonché per trarre profitto dalla predetta gestione attraverso società private fornitrici di servizi, di cui avevano il controllo, diretto o indiretto, persone appartenenti al medesimo gruppo politico e/o familiare che aveva la rappresentanza degli enti”. Lumen, 3 milioni e 300 mila euro di finanziamenti; Aram, 23 milioni; Ancol 16; un grande business in Sicilia, dove 10 mila persone lavorano nella formazione professionale, il 46% degli addetti del settore in tutta Italia. Inutile per i ragazzi che partecipavano ai corsi. Perché, come spiega un’inchiesta commissionata dalla stessa Regione Sicilia, solo 9 corsisti su 100 trovano un lavoro coerente con i corsi seguiti. E quando i finanziamenti regionali non scorrevano a dovere, allora erano minacce. A rivelarlo è Ludovico Albert che nel 2011 riceve la visita della signora D’Urso moglie dell’allora deputato regionale Peppino Buzzanca. I modi sono nervosi e spicci, “costei – scrivono i magistrati – l’avrebbe aggredito e minacciato, pretendendo di ottenere per l’Ancol una integrazione, un aumento dell’importo ammesso a finanziamento per far fronte ai maggiori costi del personale”. Albert, che fu mandato dal governo Monti a mettere ordine nel verminaio della formazione professionale siciliana, è anche la prima vittima della rivoluzione di Rosario Crocetta. La sua è stata una vita d’inferno, rivelano i pm dell’inchiesta, costretto, com’era, “a blindare gli atti dei nuovi bandi relativi alla formazione professionale, allo scopo di impedire sia interferenze più o meno indebite, che fughe di notizie”. Crolla l’impero e il Pd siciliano si spacca. Per Fabrizio Ferrandelli, renziano e deputato regionale, “il Pd di Genovese è un organismo geneticamente modificato con curriculum imbarazzanti, c’è una questione morale ma anche scelte politiche sbagliate. Congresso subito per cambiare una classe dirigente che ha fallito”.
PER GIUSEPPE LUPO, segretario regionale del partito, tanto imbarazzo. “Ho sospeso gli iscritti coinvolti nell’inchiesta, commissariato il partito, cosa devo fare di più? Siamo un partito garantista”. E Genovese e il suo sistema di potere? “Abbiamo fiducia nella magistratura, se si dovesse arrivare a una condanna decideremo. Certo, ci vorrebbero regole più rigide”. Lui, Francantonio Genovese, nato e pasciuto in una famiglia architrave del potere democristiano (suo padre è stato sei volte senatore, suo zio era Nino Gullotti, otto volte ministro), non parla. Aspetta che passi la bufera, ma questa volta il vento che soffia dallo Stretto promette altre tempeste.