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 2013  luglio 19 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL FALLIMENTO DI DETROIT


NEW YORK - Alla fine di una delle giornate più calde di questa bollente estate americana, Detroit entra ufficialmente nel suo inferno: arriva infatti nel tardo pomeriggio il via libera alle procedure previste dalla legge per il fallimento della città. La capitale dei motori e della musica nera conquista così il non invidiabile record della bancarotta più grande della storia americana. E’ la prima metropoli ad arrendersi davanti all’impossibilità di pagare i propri debiti che oscillano tra i 18 e i 20 miliardi di dollari.
Il commissario straordinario, Kevyin Orr non è riuscito nel miracolo che gli aveva chiesto a marzo il governatore del Michigan Rick Snyder. Che ora si limita a dire: “Mi sembra che non ci sia altra soluzione”. Eppure Orr ci ha provato in tutti i modi: ore al tavolo delle trattative con i creditori per convincerli ad allentare la presa, poi ancora con i sindacati per provare ad ottenere un via libera a tagli del personale e riduzione delle retribuzioni. Al termine di una riunione più difficili, verso la fine di giugno sbotta davanti ai microfoni: “Servono sacrifici dolorosi e devono essere condivisi da tutti. Ognuno deve fare la sua parte, altrimenti sarà la bancarotta”.
Ma non c’è stato niente da fare, i manifestanti rimangono sotto il suo ufficio con i cartelli: HANDS OFF OUR PENSIONS, giù le mani dalle nostre pensioni. E così dopo anche gli ultimi no, ecco la decisione non più rinviabile. Una mossa rischiosa e quasi paradossale, che arriva infatti nel momento in cui il settore dell’economia privata è in decisa ripresa. I tre giganti dell’auto Gm, Ford e Chrysler sono fuori dal tunnel: la produzione è ripartita, i contratti girano e anche secondo l’ultimo Beige Book della Fed il mercato delle quattro ruote è destinato a tornare sul bello stabile. Il New York Times raccontava due giorni fa del “miracolo di Jefferson North”, la fabbrica dove la Chrysler/Fiat produce la nuova Jeep Grand Cherokee destinata a portare nelle casse della società quasi due miliardi di dollari: “Un segno di speranza , la prova che la spirale negativa della città può essere interrotta”.
Persino il settore immobiliare segna qualche timido accenno di ripresa con il ritorno di investimenti nella parte più ricca. Ma la desertificazione dei quartieri, soprattutto quelli periferici, è la causa scatenante che ha portato al Chapter 9, la pratica che regola i fallimenti delle municipalità. “Siamo una grande città, ma siamo in declino da oltre sessant’anni”, dice Orr nella sua conferenza stampa più triste. Come rimanere a vivere da soli dentro una palazzo: la manutenzione costa, i servizi costano, tutto costa mai soldi non entrano più, visto che la base fiscale a cui far pagare le tasse si è ridotta. Dai quasi 2 milioni degli anni Cinquanta agli ottocentomila abitanti scarsi di oggi, dal 2000 un balzo all’indietro del 26%: il calo è vertiginoso. Una città dentro la città di quasi ottantamila edifici è disabitata, il 40% delle luci stradali non funziona, vigili del fuoco e polizia sono al limite della loro operatività. Gli agenti rispondono al numero delle emergenza, il 911, quasi con un’ora di ritardo, la media nazionale è di 11 minuti. Al contrario della criminalità che invece funziona benissimo contendendo a Chicago il record di violenza e omicidi. E sale pure la disoccupazione che negli ultimi dieci anni è passata dal 7.6% al 18,6%.
A peggiorare la situazione decenni di amministrazione pubblica a cavallo tra l’incapacità e il malaffare, con un’altalena di operazioni finanziare sbagliate, intervallate da veri e propri episodi di corruzione. Per questo un avvocato che ha seguito altri fallimenti pubblici e che conosce bene il caso di Detroit spiega al New York Times: “Non basterà sanare il debito, serve un cambio strutturale di tutta la gestione a partire dagli stipendi dei lavoratori pubblici, altrimenti da qui a pochi mesi i problemi torneranno uguali ad adesso”. E un altro sul Washington Post usa una metafora eloquente: “Come se fossimo stati investiti da una Katrina, ma lunga dieci anni”.
Quando riceverà il via libera ufficiale, il commissario potrà procedere a vendere gli asset per trovare un po’ di ossigeno. Una decisione, la sua, molto contrastata all’interno della metropoli, con i manager delle aziende private che hanno provato in tutti i modi a fargli cambiare idea. Spaventati dalle conseguenze imprevedibili di questa strada, a partire dal discredito gettato sul brand. Essendo il primo caso così grande, gli esperti infatti si dividono nei commenti sui media americani su quello che potrebbe accadere adesso. E lo stesso Obama segue passo dopo passo la situazione e i suoi collaboratori sono in stretto contatto con il commissario e il governatore. L’impressione è che molte altre città, nella stessa situazione, siano alla finestra per capire dove porta la strada della bancarotta: “Come se avesse ceduto una diga”, dice un’analista alla Cnn. Non resta che vedere se l’onda sarà bella da cavalcare o se travolgerà le speranze di Motor City.
(18 luglio 2013)

MASSIMO GAGGI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK — Da ieri sera Detroit è la più grande città americana mai finita in bancarotta. La «discesa negli inferi» di quella che un tempo era l’orgogliosa capitale mondiale dell’auto — una prospera metropoli di quasi due milioni di abitanti — va ormai avanti da anni: la crisi dell’auto, la città scesa sotto i 700 mila abitanti e abbandonata dai ceti medi produttivi. Un solo grosso stabilimento — un impianto della Chrysler — rimasto nel perimetro urbano.
Così, anche se Ford, General Motors e Chrysler si sono in parte riprese e se alcuni quartieri della metropoli decaduta hanno vissuto un «revival» alimentando la speranza e l’orgoglio declinato negli «spot» televisivi di Eminem e di Clint Eastwood, dal punto di vista amministrativo Detroit ha continuato ad affondare, soprattutto a causa del crollo delle entrate fiscali.
E quello che era arrivato come il sindaco della rinascita, l’ex campione di basket NBA Dave Bing, alla fine è stato costretto a gettare la spugna: ha cercato di fornire servizi a un’area ancora estesa come quella di una megalopoli e di mantenere un esercito di dipendenti pubblici e di ex impiegati ormai in pensione, pur avendo ormai le risorse di una cittadina di medie dimensioni.
Qualche mese fa il governatore del Michigan, Rick Snyder, è intervenuto dichiarando lo stato d’emergenza fiscale e rimpiazzando il sindaco con un commissario: Kevyn Orr. Lui, che è proprio un esperto dei processi di bancarotta, ha cercato per alcuni mesi di raddrizzare la situazione, negoziando una riduzione del debito coi creditori. Ma questi — soprattutto i sindacati e i fondi pensione — non se la sono sentita di accettare un accordo nel quale avrebbero perso molto più della metà dei loro crediti verso l’amministrazione cittadina.
Così la bancarotta è diventata inevitabile. Ieri il governatore ha autorizzato Orr a chiedere al tribunale la protezione dai creditori sotto il cosiddetto «Chapter 9». Nei prossimi 90 giorni il tribunale valuterà se ci sono le condizioni per dare via libera a questa procedura e identificherà tutti i creditori interessati dal procedimento. Per i 10 mila dipendenti pubblici e i 20 mila pensionati del Comune si delinea un drastico taglio del fondo sul quale viene calcolato il loro trattamento previdenziale.
Doloroso ma inevitabile, sostiene il governatore, visto che la città era arrivata ad avere debiti per oltre 18 miliardi di dollari.
Massimo Gaggi

PEZZO DELLA STAMPA DI STAMATTINA
Detroit dichiara bancarotta. Dopo anni di difficoltà economiche, e negoziati per ristrutturare il suo debito di circa 20 miliardi di dollari, l’amministratore straordinario della città Kevyn Orr ha annunciato che l’unica via percorribile è quella di accettare il fallimento. Questa decisione, per quanto dolorosa, consentirà infatti di ridurre i costi di gestione, proteggersi dai creditori e poi, forse, tornare ad investire nel futuro.

Detroit è la più grande città nella storia degli Stati Uniti che dichiara bancarotta. È stata fondata trecento anni fa, e nel 1950 era arrivata ad avere 1,8 milioni di abitanti. Al momento del suo massimo splendore era la quarta città americana più grande, spinta soprattutto dai proventi dell’industria automobilistica. Il settore dell’auto, dopo le difficoltà degli anni seguiti alla grande crisi economica del 2008, si è ripreso. Solo lunedì scorso il «New York Times» ha pubblicato in prima pagina un articolo sulla fabbrica della Chrysler a Jefferson North, in cui elogiava questo impianto che produce le Jeep Grand Cherokee come un simbolo della possibile rinascita di Detroit. I problemi economici dalla città, però, andavano oltre quelli accumulati e poi superati dall’industria dell’auto. Nel corso degli ultimi anni la popolazione si è praticamente dimezzata, scendendo a circa 700.000 persone, e questo ha ridotto la base su cui raccogliere le tasse, a fronte delle spese di gestione del Comune rimaste troppo alte. Interi quartieri, come la zona della «8 Mile Road» resa famosa dal rapper Eminem, si sono svuotati, diventando strade fantasma. Il Comune, però, ha dovuto continuare a pagare i servizi, più gli stipendi, le pensioni e la sanità dei suoi dipendenti, ormai sproporzionati rispetto alla realtà di Detroit. Nei mesi scorsi il governatore del Michigan, Rick Snyder, aveva commissariato la città, incaricando Orr di gestire la crisi. Il manager ha cercato tutte le vie d’uscita possibili, inclusa quella di vendere le opere d’arte del museo cittadino, ma non è riuscito a trovare un’intesa con i creditori e i sindacati dei dipendenti comunali. Il debito della città è stimato tra 18 e 20 miliardi di dollari, e davanti a questa cifra il commissario si è arreso. Se la sua decisione verrà approvata dalle corti federali e da Snyder, Detroit ricorrerà alla pratica del Chapter 9. In sostanza la bancarotta, che consentirà si ristrutturare il debito, e poi ripartire con investimenti su misura per la nuova città.

BANCHE TEDESCHE COINVOLTE NELLA BANCAROTTA DI DETROIT (ISOLE24ORE.IT)
Ci sono anche banche europee esposte alla bancarotta di Detroit. Secondo fonti di mercato l’esposizione complessiva nei confronti della città in amministrazione controllata potrebbe raggiungere il miliardo di dollari sugli 11 miliardi di obbligazioni non garantite della città del Michigan.
Per ora non ci sono nomi con l’eccezione della tedesca Hypo Real Estate Holding. Nazionalizzata nel pieno dell’ultima crisi finanziaria, Hypo aveva creato una bad bank chiamata FMS Wertmanagement che ha in portafoglio circa 200 milioni di dollari di bond made in Detroit. Lo ha confermato un portavoce del gruppo. Non è chiaro come Hypo si sia ritrovata in portafoglio tali titoli a debito. Nel frattempo si cerca di capire quali altri gruppi stiano facendo i conti con obbligazioni emesse dalla capitale dell’industria automobilistica americana.
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La tedesca Commerzbank ha asset legati alle finanze pubbliche americane per 4,5 miliardi di euro. Come riferisce Dow Jones, la banca si è trincerata dietro un «no comment» in merito alla sua esposizione a Detroit. Altri gruppi tra cui la francese Sociéte Générale e l’inglese Lloyds Banking hanno dichiarato di non avere a bilancio obbligazioni di Detroit.
Secondo un gestore sentito dall’agenzia, negli Stati Uniti non manca chi vuole comprare debito non garantito dalle banche europee. L’idea è che queste ultime si vogliano liberare di tali asset per pochi centesimi per ogni dollaro investito. Ma quegli asset potrebbero riprendere valore se il Chapter 9 darà i risultati sperati.

http://24o.it/links/?uri=http://america24.com/news/detroit-la-grecia-america&from=La+banca+tedesca+Hypo+Real+Estate+coinvolta+nella+bancarotta+di+Detroit
Detroit, la Grecia d’America
E’ la città Usa più grande a ricorrere al Chapter 9. E’ bancarotta recor tra le municipalità. Ecco cosa pensano gli investitori
Stefania Spatti
Come può una municipalità così altamente indebitata a riprendere fiato, finanziariamente parlando? E’ questa la domanda che circola tra gli investotori americani all’indomani della richiesta di bancarotta da parte di Detroit mentre dal floor fino ai desk delle sale operative rimbalza il tam tam "America’s Greece moment". Come a dire, la crisi di Detroit è un po’ come quella che ha messo in ginocchio Atene. Con un solo gesto, la capitale americana dell’automobile si è aggiudicata un doppio record: è la città statunitense più grande a ricorrere al Chapter 9 - la procedura che garantisce protezione alle amministrazioni locali mentre viene preparato un piano per la ristrutturazione dei rispettivi debiti - mettendo a segno una bancarotta il cui valore è senza precedenti nella storia delle municipalità del Paese che hanno scelto di percorrere la stessa strada. A Detroit i debiti ammontano a 18-20 miliardi di dollari. Di questi, 11 miliardi non sono garantiti e includono 3,5 miliardi in passività legate a pensioni, 5,7 miliardi in benefit per i lavoratori e 2 miliardi in obbligazioni e finanziamenti. Gli operatori di borsa stanno già analizzando le conseguenze sul mercato dei bond municipali.
I primi effetti si sono già visti ieri quando, per comprare debito emesso da Detroit gli investitori chiedevano rendimenti più alti rispetto a quelli con un migliore rating. Prima della richiesta di bancarotta, titoli con scadenza in aprile 2028 venivano scambiati in media con rendimenti al 5,73%, il 2,3% circa in più di altri bond benchmark. Non a caso ieri, dopo la richiesta di Chapter 9, S&P ha tagliato a C da doppia C il rating sul debito di Detroit. Insomma, manca un gradino al default. Eppure sembra che alcuni gestori americani abbiano tutte le intenzioni di comprare obbligazioni ’made in Detroit’ attualmente nei portafogli delle banche europee, segno che alcuni credono che Detroit riemergerà dal Chapter 9 così come Chrysler e General Motors sono emersi dal Chapter 11: con il piede sull’acceleratore.
Ci vorrà tempo, forse fino all’autunno del prossimo anno, per vedere come la vicenda andrà a finire anche perché le battaglie in tribunale sono date per certe. Per il momento poco cambia per i residenti della città, anche se alcuni servizi potrebbero essere ulteriormente ridotti e il prelievo fiscale potrebbe essere aumentato. Grandi novità non sono affatto escluse, soprattutto per chi ha un contratto legato ad accordi sindacali. Le pensioni per alcuni potrebbero restare invariate mentre rischiano sforbiciate quelle di chi ancora fa parte della forza lavoro. Tutto dipende dalle decisioni del giudice e dal braccio di ferro con gli avvocati. Una cosa è certa: la città è protetta da cause legali mosse da creditori che chiedono di essere pagati. In base al Chapter 9, nessuno - nemmeno il giudice - può forzare la città a liquidare i propri asset come lo Zoo della città o i dipinti di Van Gogh. Questa è una decisione che spetta alla città e al commissario speciale Kevyn Orr, chiamato lo scorso marzo dal governatore del Michigan Rick Snyder a rimettere in ordine i conti di Detroit. Il nodo cruciale restano i detentori di bond e il modo in cui verranno pagati. Per i circa 9 miliardi di debito garantito non è escluso che gli investitori non perdano un singolo centesimo ma c’è chi vede pagamenti da 75 centesimi su un dollaro.
Una serie di elementi hanno portato alla rovina la cosiddetta Motor City: un crollo della popolazione, passata da quasi due milioni di abitanti nel 1950 agli attuali 700.000; redditi procapite estremamente bassi (15.261 dollari all’anno circa) che implicano entrate fiscali decisamente risicate per la città; una disoccupazione galoppante, con un tasso triplicato dal 2000 e arrivato al 18,6% contro il 7,6% nazionale; un tasso di omicidi ai massimi di quasi 40 anni e una nomea da città più pericolosa d’America per oltre 20 anni, che non fa altro che portare alla fuga i suoi cittadini. Tutto ciò è frutto di decenni di cattiva gestione che si sono tradotti in debiti miliardari e servizi che fanno acqua da tutte le parti. Il 40% dei lampioni non funziona e per ricevere una risposta a una chiamata d’emergenza ci vogliono in media 58 minuti di attesa.