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 2013  luglio 19 Venerdì calendario

CERCATORI D’ORO SPAZIALI


Con l’idrogeno contenuto nell’acqua di un asteroide di soli 70 metri di diametro si sarebbe potuto ricavare carburante sufficiente per lanciare nello spazio tutte le 135 missioni dello Space shuttle della storia.
Con questa convinzione Chris Lewicki, già responsabile per le missioni Spirit, Opportunity e Phoenix della Nasa su Marte, si è dimesso dall’ente governativo per diventare presidente e capo ingegnere di Planetary Resources. Questa società privata, tra le più determinate a estrarre (e sfruttare) le risorse contenute negli asteroidi, annovera tra i finanziatori il fondatore di Google Larry Page e tra i mentori il regista visionario James Cameron. È la corsa all’oro del nuovo millennio, anche se i minatori in questo caso dovrebbero lavorare senza gravità e l’oro non è necessariamente l’obiettivo principale. Ma è sicuramente più facile individuare un asteroide che una pepita.

PEPITE SPAZIALI. «Il primo asteroide. Cerere, è stato scoperto poco più di 200 anni fa» spiega Lewicki «e per due secoli abbiamo osservato questi corpi celesti solo come puntini luminosi nel cielo. È stato solo nel 1991, con la sonda Galileo, che abbiamo ottenuto la prima foto ravvicinata che ci consentiva di capire bene cosa fossero. E poi abbiamo iniziato a catalogarli, passando da 10 mila asteroidi conosciuti a quasi 400 mila». Il passo successivo è stato analizzarli. Tra il 2003 e il 2010, la sonda giapponese Hayabusa ha raggiunto l’asteroide 25143 Itokawa, ne ha prelevato alcuni frammenti e li ha riportati a Terra.
Oltre alla catalogazione, lo studio è stato utile per stimare che in queste rocce vaganti nello spazio alcuni metalli sono contenuti in una concentrazione di gran lunga superiore a quanto accade sulla Terra. «Per dare un’idea» dice Lewicki «un asteroide di 500 metri di diametro può contenere l’equivalente di tutti i metalli del gruppo del platino mai estratti sulla Terra nella storia dell’umanità».
Un valore stimabile in centinaia di miliardi di dollari legato al platino, ma anche a iridio, osmio, palladio, rodio e rutenio «usati direttamente o indirettamente» come ricorda Lewicki «nel 25% dei prodotti creati sulla Terra, dall’industria hi-tech a quella medica, dai gioielli alle marmitte catalitiche alle celle a combustibile». Ci sono poi altri gruppi di metalli in alta concentrazione come ferro, nichel, cobalto e semiconduttori. Con un bottino così non stupisce che, oltre a Planetary Resources, ci siano altre società interessate come Deep space industries (Dsi) e Moon Express. «Il nostro modello economico» spiega l’amministratore delegato di Dsi, David Gump «è sfruttare ogni risorsa possibile contenuta negli asteroidi, senza trascurarne alcuna». Bob Richards, capo di Moon Express, ama ricordare come «le risorse, che per decenni abbiamo ricavato scavando il nostro pianeta, in realtà provengano dai bombardamenti di asteroidi subiti dalla Terra nelle prime fasi della sua vita».

MAPPA. Sono questi pionieri dello spazio che – con aziende fornitrici di tecnologie come Iridium, Orbital e altre ancora – hanno già ipotizzato un preciso programma operativo. Il primo step è individuare gli asteroidi migliori per lo sfruttamento tra i circa 10 mila attualmente catalogati come Near earth objects, le cui orbite cioè si avvicinano a quella della Terra. Per questo, Planetary Resources ha già costruito una piccola sonda, chiamata Arkyd-100, con cui inizierà la loro mappatura, con foto scattate da satelliti sempre più sofisticati, che dovrebbe durare un decennio. «Questo ci permetterà» precisa Lewicki «di individuare quelli più interessanti, capirne meglio la composizione chimica e dimostrare le nostre capacità operative». Dsi ha intenzione di lanciare nel 2015 il suo minisatellite esploratore da soli 25 kg chiamato Firefly. La B612 Foundation, creata da veterani della Nasa, raccoglie fondi per inviare nello spazio il telescopio a infrarossi Sentinel, per mappare potenziali asteroidi in tutta l’area dell’orbita terrestre: secondo il presidente di B612, Ed Lu «il 98 per cento del totale è inesplorato».

ESTRAZIONE. Si dovrà poi procedere alla fase più delicata. «La nostra idea» spiega Lewicki «è sfruttare il calore del Sole, abbondante e gratis, e concentrarlo al punto di sciogliere e lavorare qualsiasi materiale. Estrarre l’acqua è semplice come scaldare la superficie dell’asteroide: si fa evaporare e si distilla, come avviene nella purificazione dell’acqua marina. Dal punto di vista concettuale non sarà diverso procedere all’estrazione dei minerali, ma la temperatura necessaria sarà maggiore». Le opzioni alternative non mancano: si va dall’utilizzo di magneti per attrarre i metalli, a quello di mini cariche esplosive, fino alle trivelle e all’utilizzo di particolari “aspiratori” o “palette”. Ma sugli asteroidi non c’è praticamente gravità, quindi non si potrà atterrare: «Si attraccherà, come si farebbe con la Stazione spaziale» spiega Lewicki «e l’attività estrattiva sarà condotta da robot».

SCETTICI. Non si può ancora dire se l’asteroide-miniera sarà lavorato dove si trova o trasportato altrove. La Nasa sta lavorando al progetto di catturare un asteroide per portarlo in orbita lunare o addirittura a Terra entro il 2021. «È chiaro che stiamo parlando di un corpo di dimensioni molto piccole» sottolinea però Lewicki «il cui trasporto è effettuato da astronauti. Un’impresa utile per analisi di laboratorio, ma per avere un profitto economico bisognerà concentrarsi su asteroidi del diametro di circa 300 metri».
Il coro degli scettici non si concentra tanto sulla fattibilità tecnologica, quanto sul modello di business. Si stima che una missione di estrazione mineraria potrebbe costare circa 2,6 miliardi di dollari. Tuttavia dovrebbe fruttare, e il condizionale è d’obbligo, almeno da 10 a 20 volte la spesa. «Anche se gli investimenti saranno cospicui» spiega Lewicki «non saranno superiori a quelli che l’uomo ha fatto per cercare il petrolio, che è stato per decenni il motore dell’economia e della produzione industriale globale». Molti economisti ribattono che i costi per portare a Terra i metalli estratti potrebbero ridurre molto i margini di guadagno o che l’ingente quantità estratta potrebbe far crollare il valore di mercato. Lewicki replica che l’estrazione mineraria nello spazio richiede un paradigma nuovo, da trovare nel passato: «La storia dell’umanità insegna che quando sono state scoperte nuove terre e nuove risorse, queste sono state utilizzate nel luogo in cui venivano estratte. C’è voluto molto tempo perché fossero spedite dove era partita la missione». L’economia spaziale dunque potrebbe porre innanzitutto le basi per l’esplorazione di Marte e la presenza duratura dell’uomo fuori dai confini terrestri. «La prima risorsa cui siamo interessati» spiega l’ingegnere «è l’acqua. E non solo perché è l’elemento che occupa il maggior volume a bordo delle missioni spaziali, tanto che il trasporto dalla Terra costa 10 mila dollari al litro. L’acqua è fondamentale per conquistare lo spazio: potremo usarla come carburante, per farla bere agli astronauti, per schermare le radiazioni solari, per le colture idroponiche e per l’industria». Lewicki è pronto a tuffarsi nell’impresa.
Marco Consoli