Silvio Piersanti, il Venerdì 19/7/ 2013, 19 luglio 2013
IN GIAPPONE LA LEGGE BAVAGLIO È ROBA DA
BAMBINI –
I giapponesi fanno sempre meno bambini. E i pochi che hanno non li sopportano più. Invece del biberon gli metterebbero in bocca un bavaglio. Giornali e tv riportano ormai quotidianamente il grandinare di proteste, azioni legali, dimostrazioni contro ogni ordine di scuola, dalle materne al liceo, accusati dagli anziani abitanti nei pressi delle scuole e dei parchi pubblici di lasciare i bambini liberi di gridare e sfogare la loro esuberanza nelle ore di ricreazione e nelle attività extra-scolastiche.
Dando fondo alle scarse finanze a disposizione, e talvolta con l’aiuto di collette tra i genitori, scuole e palestre hanno eretto speciali pareti isolanti per assorbire i rumori, ma non è bastato. Non ci si accontenta di attutire le grida. Non le si vuole sentire del tutto. Le cause per risarcimento danni fioccano sui tavoli dei giudici. Si va dal deprezzamento subito dall’appartamento messo frettolosamente in vendita dopo la costruzione di una scuola nelle immediate vicinanze, alle cure mediche affrontate per superare gravi crisi nervose causate dalle intemperanze vocali permesse da insegnanti «senza polso», sino alla crisi matrimoniale dovuta alle grida gioiose dei bambini che una coppia sterile subisce come un’insopportabile tortura psicologica.
Nei campi di calcio e di baseball delle scuole, solitamente al centro di popolosi quartieri la dislocazione degli edifici scolastici è in genere programmata in modo che gli allievi possano tutti raggiungere da soli la scuola a piedi in circa 15 minuti lungo percorsi sorvegliati da nonni volontari è concesso di gridare solo per 45 minuti: per il resto della giornata si deve giocare muti. Ad un passante può capitare di vedere un ragazzo che segna un gol e si morde la mano per soffoca re il grido di esultanza. In muta sincronia con i compagni di squadra lancia più volte le braccia al cielo come in un film degli anni Venti. «In una società dove ci sono sempre meno bambini, la gente si disabitua a sentirli e protesta » ha dichiarato, preoccupata, Masako Maeda, specialista di demografia all’università Konan di Kobe. «Questa insofferenza pubblica fa crescere nelle giovani coppie il timore di avere figli. È un circolo vizioso da cui bisogna assolutamente uscire»
A scuola e a casa i bambini sono rigidamente educati a non manifestare apertamente e rumorosamente le proprie emozioni e spesso si ricorre alle maniere forti per domare i più ribelli. Un recente sondaggio governativo ha accertato oltre diecimila casi di punizioni fisiche in ogni ordine di scuola. Cinquemila insegnanti hanno ammesso di avervi fatto ricorso diverse volte.
In Giappone il prossimo più che amarlo, non bisogna disturbarlo. Su tutti i mezzi pubblici di trasporto, l’altoparlante ripete in giapponese e inglese, a volte anche in coreano e cinese, di tenere spenti i telefonini «per non disturbare il prossimo».
Questa sorta di crociata nazionale degli anziani contro l’«insostenibile» chiasso di bambini e ragazzi appare grottesco in un Paese dove si tollera senza problemi un inquinamento acustico tra i più alti al mondo. Non c’è strada per quanto appartata essa sia dove non transitino a passo d’uomo più volte al giorno camioncini dai cui gracchianti altoparlanti nastri registrati ripetono incessantemente a tutto volume offerte di patate dolci cotte a legna, tofu fatto a mano, ritiro di vecchi elettrodomestici (a caro prezzo), avvisi di furti avvenuti nella zona e relative raccomandazioni di chiudere bene gli infissi. Tra il passaggio di un camioncino che offre ortaggi biologici a domicilio e quello di un automezzo della polizia. L’effimera quiete può essere interrotta da una pattuglia di volontari che gira per le strade battendo sonorissimi legni per ricordare alla popolazione tra un toc-toc e l’altro di stare attenti a non provocare incendi. Le ambulanze e i pompieri non si limitano a lacerare i timpani con sirene al massimo dei decibel, ma gridano dagli altoparlanti alle altre macchine e ai pedoni cosa fare per non intralciare il loro passaggio: spostatevi a destra, fermatevi, tornate indietro, via quella bicicletta, adesso noi giriamo a destra, fate attenzione ecc. Se c’è un incidente o un incendio abbastanza grave da meritarsi un articolo in cronaca, in pochi minuti un quieto (si fa per dire) quartiere di Tokyo può trasformarsi in una scena da Apocatypse Now. Ognuno dei 4 o 5 maggiori quotidiani invia il proprio elicottero. Altrettanto fanno i maggiori network televisivi che in genere riescono a precedere gli elicotteri della polizia e del pronto soccorso.
Nella metropolitana altoparlanti annunciano in giapponese e in inglese il nome di ogni stazione, avvisano se alla prossima fermata si aprirà la porta sul lato sinistro o quella sul lato destro, snocciolano i dettagli di tutte le coincidenze possibili da ogni stazione, quali sono tutte le stazioni del treno su cui state viaggiando e quale sarà la fermata successiva a quella in cui state per arrivare. Tutto mentre su schermi televisivi vengono proiettate pubblicità con colonne sonore concepite per sovrastare qualsiasi altra presente situazione acustica, lezioni di inglese e coreano e telegiornali. Se c’è un ritardo, sia pure di poche decine di secondi, la voce del capotreno si sovrappone a quella di tutti gli altoparlanti in funzione per chiedere scusa e spiegare con dovizia di particolari perché mai sia potuto succedere un evento così riprovevole. Guadagnata la superficie, troverete uomini politici davanti alle stazione della metropolitana che tengono appassionati comizi con megafoni a tutto volume, normalmente davanti a non più di una mezza dozzina di distratti passanti. La sofferenza dei vostri timpani può diventare patologica se incappate in una manifestazione dell’estrema destra che, con buona pace della polizia, occupa piazze e strade con grandi veicoli paramilitari blindati, sbraitando attraverso potenti altoparlanti slogan guerrafondai alternati a inni patriottici. Nei supermercati alimentari, nei department store, negli shotengai, immensi suk immancabili in ogni quartiere delle città giapponesi e che possono allungarsi per oltre un chilometro, è una gara a chi urla il proprio slogan più forte. Gara spesso vinta dai venditori di pesce di Tsukiji, il famoso e smisurato mercato generale ittico di Tokyo dove vengono venduti diecimila tipi di pesce diversi, le cui qualità vengono elencate a squarciagola da instancabili venditori.
In questo infernale bailamme le proteste degli anziani sembrano a dir poco incoerenti, se si tiene conto che questi giovani «turbatori» della quiete pubblica sono gli stessi che fra qualche anno lavoreranno e pagheranno le pensioni di chi oggi li vorrebbe muti come i pesci dei laghetti davanti a cui gli anziani siedono curvi sotto il peso della loro tristezza esistenziale.
Circa un quarto dei 128 milioni di giapponesi (in un territorio leggermente superiore a quello dell’Italia) hanno più di 65 anni. Secondo recenti studi delle Nazioni Unite, il Giappone ha la più bassa percentuale al mondo di bambini da zero a 14 anni: appena il 13,2 per cento, meno della metà della percentuale globale che è del 26,8 per cento. La levata di scudi contro i giovani rumorosi che turbano la quiete sociale dissuaderà ancora di più le coppie a procreare. Kuniko Inoguchi, capo del primo dicastero dedicato esclusivamente al problema demografico nazionale, ha dichiarato che al primo posto nella sua agenda c’è una campagna nazionale per sradicare dalla testa della gente l’idea che i figli siano una seccatura e per convincere le forze di governo che assicurare ai giovani un sereno ambiente di crescita dove siano liberi di esprimere la loro gioia di vivere è essenziale per evitare che entro pochi decenni il Giappone diventi un Paese di vecchi destinato a un declino totale e definitivo. Gli anziani debbono scegliere: o le gioiose grida dei bambini, o il disperato grido di Munch.