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 2013  luglio 19 Venerdì calendario

GLI STIMOLI DELLA «ABE-ECONOMIA». DAL GIAPPONE LEZIONE PER L’EUROPA

L’Abe-economia», ovvero il piano del primo ministro giapponese, Shinzo Abe, per risvegliare gli «spiriti animali» intrappolati nell’economia del Giappone, è già lanciatissimo: prosegue la politica di stimolo fiscale e monetario e vengono varati progetti di «strategia di crescita» per promuovere riforme strutturali e normative. Aumentano i guadagni delle imprese e i consumi e, malgrado una recente correzione, il mercato azionario è in forte risalita.
Non c’è da meravigliarsi allora se Abe e il suo partito liberal-democratico sono all’apice della popolarità e sia gli imprenditori sia i consumatori giapponesi appaiono molto più fiduciosi che l’economia del Paese si stia muovendo finalmente nella giusta direzione. Il primo ministro e le sue riforme continuano a trarre vantaggio sia dalle scarse aspettative che hanno seguito due decenni di debole crescita, sia dalla volontà del primo ministro di giocarsi la sua credibilità politica puntando tutto sui risultati del suo piano.
Inoltre, la coalizione guidata dal partito liberal-democratico già gode di una super maggioranza alla Camera bassa e con ogni probabilità si aggiudicherà un numero sufficiente di seggi nelle elezioni alla Camera alta, il prossimo mese, per formare una maggioranza anche lì, il che garantirebbe al primo ministro il pieno controllo dell’agenda legislativa.
Sebbene le cose potranno complicarsi l’anno prossimo, l’«Abe-economia» avrà ampio spazio di manovra poiché, anche qualora gli stipendi non dovessero crescere secondo le aspettative di Abe e uno yen più debole, accompagnato da importazioni più costose, potrebbe intaccare la popolarità del governo, Abe non sarà costretto a ritirarsi. A scanso di imprevisti, Abe non dovrà affrontare le rielezioni alla presidenza del partito liberal-democratico fino all’autunno del 2015. Le prossime elezioni alle due camere non si terranno fino al 2016. In questo modo il partito liberal-democratico avrà a disposizione almeno tre anni per realizzare i suoi obiettivi e questo è molto importante in un Paese che ha visto salire al governo 15 premier negli ultimi vent’anni.
La domanda più importante è se l’«Abe-economia» riuscirà davvero a ridar fiato al dinamismo e alla fiducia del Giappone. Ed è qui che la sfida si fa più impegnativa. Per prima cosa, c’è da affrontare il problema del debito e i tempi necessari per ridurlo. Se si affretta a tagliare la spesa o incrementa la pressione fiscale troppo bruscamente, Abe rischia di minare i suoi sforzi per tenere a bada l’inflazione. Ma se il governo si muove con eccessiva lentezza o fa troppo poco per placare i timori degli investitori sul debito del Paese, ecco che eroderà la fiducia del mercato obbligazionario e farà risalire i costi degli interessi sul debito pubblico.
Ancor più preoccupante della mole stessa del debito è il dibattito in corso in Giappone sulla sua effettiva rilevanza. È rilevante eccome, e i politici che vogliono ignorare questa realtà mettono a rischio il Paese. Abe sa che lo stimolo è più importante, e che i tagli possono aspettare. Ma l’applicazione di queste misure non può tardare ancora a lungo, se il governo vuole conservare la fiducia degli investitori.
Ci sono altri motivi per dubitare che l’«Abe-economia» sarà in grado di ottenere successi duraturi. Finora Abe ha concentrato tutti gli sforzi per sostenere il settore agricolo, togliere ostacoli agli investimenti di capitale nel settore pubblico e creare zone economiche speciali. Tutto questo è molto importante.
Eppure, davanti alle resistenze dei sindacati in previsione delle elezioni alla Camera alta, il primo ministro fino ad oggi non ha osato varare misure che rendano più facile il licenziamento dei lavoratori a tempo pieno — consentendo così di assumerne altri — il che faciliterebbe il flusso della manodopera dalle industrie stagnanti verso settori economici più dinamici. Il premier ha chiesto alle società giapponesi di aumentare gli stipendi, espandere gli investimenti interni, e mantenere la loro operatività in Giappone per convalidare le sue riforme, ma finora non ha ridotto la tassazione delle imprese per aiutarle a competere con maggior efficacia sia sul mercato interno sia su quello estero. Gli imprenditori continuano ad offrire il loro sostegno cruciale ai progetti di Abe, ma la loro pazienza ha un limite.
Ci sono poi altri impegni a lungo termine per il premier giapponese. La bassa natalità del Paese e la longevità della sua popolazione anziana rendono di vitale importanza una riforma dell’immigrazione, poiché nuovi lavoratori sono necessari per andare a rinforzare le file della manodopera giapponese nel corso dei prossimi anni.
Ma ancora più importante per Abe sarà evitare di cadere nella trappola nazionalistica, come accadde nel suo precedente mandato, nel 2006-2007. Restituire fiducia alla nazione è di vitale importanza per una potenza tradizionale sopravvissuta a due decenni di stagnazione economica, e un giorno il Giappone saprà modificare la sua Costituzione e ripristinare un esercito regolare. Ci sono tuttavia in Giappone coloro che reclamano un approccio più marcato, addirittura aggressivo, alla politica estera che inevitabilmente andrà ad aggravare le tensioni con Cina e Corea del Sud. Anche qui ci sono lezioni che l’Europa farebbe meglio a studiare attentamente. Proprio come Abe potrebbe scoprire che la retorica nazionalista e un atteggiamento di sfida in politica estera vanno a minare la sua agenda di riforme economiche, alimentando populismi opportunistici in altri Paesi, che puntano a danneggiare la collaborazione economica, i leader europei potrebbero scoprire anche loro che le sirene del populismo in patria minacciano di azzerare tutti gli sforzi per ridisegnare l’eurozona.
In Germania e nel «Nord conservatore», la politica deve far fronte alla tentazione costante di strumentalizzare la rabbia popolare per la necessità di finanziare le riforme nei Paesi periferici. I legislatori tedeschi e la loro controparte nell’Europa del Nord hanno ragione di pretendere rettifiche fondamentali in cambio del loro aiuto. Tuttavia, un ostruzionismo futile e una retorica offensiva non contribuiranno certo ad attuare quei programmi indispensabili a tutelare gli interessi di lungo termine in tutti i Paesi della zona euro. Ciò che vale per la Germania vale anche per Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. È facile attizzare il risentimento popolare contro la Germania e le istituzioni europee, ma resta il fatto che entrambe sono essenziali alla sicurezza, stabilità e prosperità dell’Europa intera. Il mondo sta a guardare, perché tutti coloro che credono nella democrazia e nella libertà sperano ardentemente nel successo del Giappone e dell’Europa.
Ian Bremmer
(Traduzione di Rita Baldassarre)