Roberta Scorranese, Corriere della Sera 19/07/2013, 19 luglio 2013
IL ROGO ASSURDO DEI CAPOLAVORI
Il racconto sembra una sequenza rubata a Cronenberg: una donna accende il forno, aspetta che l’interno assuma la sfumatura incandescente dell’arancio, poi, lentamente, vi infila la Testa di Arlecchino di Picasso, La lettrice in bianco e giallo di Matisse, la malinconica Fidanzata di Gauguin e almeno altri quattro quadri. Poi aspetta, finché non vede colori, tele e cornici diventare una montagnola di cenere.
Eppure sarebbe successo questo in Romania, nel villaggio di Carcaliu, dove una donna ha confessato di aver bruciato capolavori della storia dell’arte di Otto e Novecento, per proteggere il figlio, accusato del furto delle tele. Le ombre su questa vicenda sono ancora fitte, ma gli inquirenti stanno ricomponendo la trafila di una storia che comincia il 16 ottobre dell’anno scorso, quando il Kunsthal Museum di Rotterdam ammette che alcuni ladri, di notte, hanno eluso i sistemi di sicurezza e hanno trafugato quadri di Matisse, Monet, Picasso e altri per un valore approssimativo tra cento e duecento milioni di euro.
In mostra c’era una collezione privata quasi senza prezzo: la «Triton», assemblata pazientemente negli anni dall’imprenditore miliardario olandese Willem Cordia (scomparso nel 2011) e da sua moglie Marijke. La «selezione» dei ladri è precisa: la Testa di Arlecchino di Picasso, la Fidanzata di Gauguin, La lettrice di Matisse, due bellissime vedute di Monet, Waterloo Bridge e Charing Cross Bridge, un Autoritratto dell’olandese ottocentesco Meijer de Haan e la suggestiva Donna con gli occhi chiusi di Lucian Freud. Un «bottino praticamente invendibile», commentò subito Jop Ubbens, direttore della casa d’aste Christie’s di Amsterdam. Rivenderle è fuori discussione: sono di autori troppo famosi e nessuno vuole averci a che fare. La richiesta di un riscatto resta l’ipotesi più praticata.
Ma qualcosa va storto e, piano piano, gli inquirenti stanano la banda, sei persone, almeno tre delle quali provenienti dalla Romania, tutti di età compresa tra i venti e i cinquant’anni. L’ultimo arrestato, tra aprile e maggio scorso, uno di loro sarebbe ancora a piede libero. Nelle scorse ore, però, l’indagine ha seguito una rotta imprevista e ha condotto la polizia nel tinello di Olga Dogaru, casalinga di Bucarest, madre di uno degli arrestati. Ed è stato qui che il furto è diventato surreale: la donna ha confessato di aver bruciato le tele per eliminare le prove a carico del ragazzo. Cremate, «come paia di pantofole», sono state le sue parole.
Il direttore del Museo di Storia rumena, Ernest Oberlander-Tarnoveanu, ha rivelato che nel forno sono state trovate tracce di materiale risalente almeno a molti decenni fa, ma non ha voluto confermare che quelle fossero le ceneri dei quadri rubati a Rotterdam, in rispetto a una cautela che qui diventa necessaria.
Olga infatti avrebbe potuto inventare tutto per coprire la banda (e magari qualcuno che ora possiede i quadri). Le analisi tecniche diranno qualcosa di più, ma per adesso c’è solo sgomento. Perché forse non rivedremo più la Donna con gli occhi chiusi o La lettrice. Eppure, Olga non è la sola genitrice che, per coprire il figlio, ha sfregiato la cultura: anche la mamma di Stephane Breitwieser, soprannominato «l’Arsenio Lupin francese» (specializzato nel furto di sculture e arrestato nel 2011), ha ammesso di aver distrutto molti pezzi rubati, quando si è accorta che stava arrivando la polizia. Per Oberlander-Tarnoveanu, Dogaru ha commesso un «crimine contro l’umanità». Una cosa è certa: se davvero ha bruciato i capolavori, non è riuscita nell’intento di salvare il figlio. E, in un certo senso, l’arte ha vinto. Specie nel caso di Picasso: l’artista nutriva un’ossessione per Arlecchino, in quanto lo considerava il simbolo di ciò che non muore perché sa mutare pelle.
Roberta Scorranese