Armando Torno, Sette 19/7/ 2013, 19 luglio 2013
«SCRISSE QUESTI RACCONTI PER ALLEGGERIRE LA PENNA»
Il nome di Aleksandr Solženicyn torna alla ribalta in Italia per la pubblicazione di testi poco noti o inediti. La Jaca Book, dopo aver tradotto Ama la rivoluzione!, ora propone i tre racconti L’uomo nuovo che ci riportano agli anni Venti-Trenta del Novecento. Pagine ricche di entusiasmo e dedizione, rivolte a un mondo che la propaganda sovietica annunciava come imminente.
La moglie di Solženicyn, Natalija, per questa occasione ha rotto il silenzio e risposto ad alcune nostre domande.
Signora, che cosa ama ricordare di suo marito?
«Il sorriso».
È stato difficile separarvi al momento del primo esilio a Zurigo?
«All’inizio non sapevo neppure se l’avrebbero espulso o arrestato. E nel primo caso, quello dell’esilio, per dove? Così trascorsero un’intera notte e un giorno. Durante tutte quelle ore uno dei pensieri che mi tornavano alla mente, anche se mi sforzavo invano di scacciarlo, era che magari non l’avrei più rivisto. Mai più».
Come nacquero le sue opere lontano dalla Russia? Erano cambiate le abitudini?
«Nulla cambiò nelle abitudini di tutti i giorni, né nei metodi di lavoro. Ma la vita quotidiana diventò meno complicata: non dovevamo più temere perquisizioni improvvise e venne meno la costante preoccupazione di dover nascondere le pagine scritte. E l’ardente desiderio, così tipico in lui, di riuscire a leggere tutte le fonti, i documenti e le testimonianze relative all’argomento del suo lavoro, poteva più facilmente essere soddisfatto in Occidente: bastava ordinare i libri attraverso il circuito accademico in qualsiasi biblioteca del mondo mentre in patria gli era stato precluso l’accesso alla letteratura storica e per procurarsi i libri che gli servivano doveva ricorrere agli amici. E a nascondere i suoi manoscritti, rischiando molto, provvidero sempre amici fidati. La prima cosa che scrisse a Zurigo, subito dopo l’espulsione, fu l’ultimo grosso capitolo del suo libro di memorie letterarie La quercia e il vitello, che volle intitolare “Gli invisibili”, nel quale esaltò e ringraziò i suoi disinteressati e devoti collaboratori.Però questo peana agli “invisibili” dovette aspettare gli anni Novanta, la perestrojka, per vedere la luce, quando la pubblicazione dei nomi non comportava alcuna spiacevole conseguenza per gli interessati».
Come nascono le pagine di questi ultimi tre racconti che escono ora in edizione italiana?
«All’inizio degli anni Novanta Solženicyn aveva terminato il lavoro, durato un quarto di secolo, dell’epopea storica La ruota rossa sulla rivoluzione russa e gli era venuta voglia di “alleggerire la penna” in qualche forma narrativa breve. Da tempo aveva messo a punto il genere del racconto “bipartito”, definendone anche alcune forme. Quella più semplice prevede lo stesso personaggio in entrambe le parti del racconto, separate solo dall’elemento tempo, qualche volta breve, qualche volta lungo (come in uno dei racconti che escono adesso in Italia, quello intitolato Giovani e forti). Una seconda forma è quella in cui le due metà del racconto sono legate da un tema comune, o un pensiero, o un’idea (come nel caso di Nasten’ka). Infine le due parti possono incardinarsi su un oggetto, una circostanza che collega magari fuggevolmente due personaggi e le loro sorti (come in La confettura di albicocche). I tre racconti sono stati iniziati nel Vermont tra il 1993 e il 1994, ultimati già dopo il rientro in Russia e pubblicati sulla rivista Novyj Mir nel 1995».
Lei ha un ricordo particolare della stesura di queste prose?
«Sì, lui si era davvero appassionato a questo nuovo progetto e ne parlavamo molto. Fui molto felice, quando cominciò a scrivere i racconti, nel vederlo ringiovanire a vista d’occhio, perché si era calato nell’atmosfera degli anni Trenta, nella sua giovinezza».
Suo marito è attuale da oltre mezzo secolo. Ora tutti scoprono molti nuovi scrittori russi.
«La grande letteratura è sempre attuale. Oggi in Russia i libri di Solženicyn vengono continuamente ristampati e diffusi, così che ogni anno si integrano le tirature. L’attualità delle sue opere si radica nel fatto che il principale tema della sua arte è il comportamento dell’uomo quando subisce la pressione di un peso immane, sia esso la guerra, la malattia o semplicemente il tentativo di adattarsi a nuove dure condizioni di vita (è il caso di tutti e tre i racconti ora pubblicati). È per questo che le sue opere travalicano sempre la cornice del concreto ambito e tempo storico e riguardano ogni persona che debba affrontare, indipendentemente dalle coordinate temporali e geografiche, analoghe difficoltà».
Quanto era rimasto del professore di matematica in Aleksandr Isaevic dopo la sua carriera di scrittore?
«Fino ai suoi ultimi giorni ha conservato la capacità di comunicare in modo chiaro e strutturato ciò che intendeva esporre, si trattasse di problemi matematici o idee in ambito sociale o politico. A questo proposito, ricordo di averlo visto impegnarsi nel ruolo di professore negli anni Ottanta nel Vermont quando insegnava algebra-geometria-trigonometria-astronomia ai nostri figli e lo faceva in modo incomparabilmente più vivo e interessante rispetto all’impostazione didattica della scuola americana che loro frequentavano».
C’è un segreto del vostro rapporto che non ha mai confidato?
«Un segreto sulla sua umanità che non è mai emerso e che il mondo invece dovrebbe conoscere… Lui era con me infinitamente dolce e questo non si concilia in alcun modo con quell’immagine pubblica severa, perfino accigliata, invalsa col passare degli anni».
Rispetto ai romanzi più noti, come giudica queste opere che ora escono in libreria?
«Credo che paragonare opere di un genere così diverso, come i romanzi e i racconti, non sia particolarmente fruttuoso. Preferirei piuttosto confrontare questi “Racconti bipartiti” degli anni Novanta con quelli diventati celebri degli anni Sessanta. Gli uni e gli altri costituiscono due cicli di otto racconti ciascuno. I racconti degli anni Sessanta sbalordirono i lettori, al di là del loro indubbio valore letterario, perché trattavano argomenti politici ed esistenziali fino ad allora proibiti. I racconti di cui parliamo oggi sono usciti in un tempo in cui, per fortuna, non esistono più argomenti di cui è proibito scrivere, un tempo nel quale il lettore è investito da una vera e propria cascata di libri e autori prima tenuti nascosti. Così che l’alta considerazione che hanno incontrato questi ultimi racconti di Solženicyn è determinata esclusivamente dalla loro maestria letteraria e dalle eterne questioni della vita dell’uomo che in essi si riflettono».