Denise Pardo, l’Espresso 19/7/2013, 19 luglio 2013
DOVE REGNANO I BUROCRATI
[Colloquio Con Ilaria Borletti Buitoni] –
Al ministero dei Beni culturali, dicastero assai provato dal passaggio di ministri come Sandro Bondi, noto poeta di corte, o Giancarlo Gala n, noto cacciatore, è come se fosse atterrata un’extra-planetaria. In effetti Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario eletta con la lista di Mario Monti, non proviene da un pianeta propriamente politico, nemmeno da uno propriamente tecnico. Trattasi di creatura a sé, ex presidente del Fai, rappresentante lombarda nel Consiglio superiore di Banca d’Italia, arrivata nonostante le ire dei guru del ramo assai irritati dalle sue uscite mediatiche bollate come eretiche se non sconsiderate. Ovvero l’aver ventilato l’intervento dei privati nella gestione del patrimonio artistico del paese. Ibb, cosi è il suo indirizzo mail, racconta l’impatto con il pachiderma Mibac due mesi dopo il suo arrivo.
Com’è il ministero visto dall’interno?
«Un mondo congelato da una burocrazia e da procedure rigide che non permettono interventi né rapidi né incisivi. In una riunione ho fatto una simulazione. Tema: un cinese regala un milione di euro per un restauro. Che succede? Se tutto va bene, il cinese vede i primi effetti dopo due anni perché le procedure sono quelle dei Lavori pubblici. Ma un monumento non è un’autostrada».
Chi ha potere nel ministero?
«Chi ne gestisce gli uffici vitali, chi ha l’operatività quotidiana. E quindi il segretario generale. Il responsabile del personale e del bilancio, che era anche vice capo di gabinetto, e già questo in un’azienda privata darebbe i brividi. Poi naturalmente, c’è il ministro, i sottosegretari di nomina politica… Ma visto che la durata media di un ministro non supera i due anni...».
E che gli ultimi non hanno lasciato traccia...Quanto conta la politica ?
«Non conta. I ministri hanno sempre pensato ad altro, mai a una vera azione di rilancio, così ha sempre vinto la burocrazia. All’interno del ministero c’è un sentimento di generale disillusione. Appena arrivata, mi hanno sottoposto una voluminosa cartella di richieste d’incontri. "Ma se non ho ancora le deleghe", ho provato a protestare."Meglio", è stato il commento cinico, "lei lo spiega, il discorso si chiude e archiviamo la pratica"».
E il potere dei sovrintendenti?
«È totalmente affievolito per mancanza di risorse e di autonomia amministrativa oltre che per il peso della complessità normativa. Mi ha molto colpito la qualità culturale e la passione dei funzionari e dei sovrintendenti: lavorano in condizioni di guerra costantemente sotto attacco senza essere messi in condizione d’incidere sui meccanismi. Se hanno delle gestioni virtuose nessuno glielo riconosce e non possono utilizzare gli introiti: finiscono in un calderone del Tesoro che decide quando, come e cosa ridare indietro. In più devono combattere con strumenti normativi farneticanti. Un esempio: decidono di aprire una finestra murata? Arriva un ricorso. L’Italia è la Repubblica fondata sui ricorsi».
In che senso?
«Nei nostri musei mancano i cosiddetti servizi aggiuntivi: su 420 luoghi solo tre hanno un ristorante e solo 13 una caffetteria. Come mai? Impossibile vincere una gara senza che arrivi una gragnuola di ricorsi e si blocchi tutto. Mi hanno appena portato le nuove linee guida per i servizi aggiuntivi. "Non è troppo?", ho chiesto guardando una sorta di librone. Risposta: "Bisogna prevenire la possibilità di ricorsi di chi non vince la gara". Metà del tempo è passata a prevenire o a affrontare possibili contestazioni. Le sovrintendenze sono un avamposto di gente di grande valore mandata allo sbaraglio che affronta emergenze di domani senza poter fare nessuna programmazione».
Il ministro Massimo Bray sta prendendo in mano la situazione?
«Confesso di averlo incontrato una sola volta. Lui ha presentato un programma molto ampio alle Commissioni parlamentari e io solo da pochi giorni ho ricevuto le deleghe, due mesi dopo il mio insediamento. Nell’attesa il personale del ministero mi consolava: "Fantastico, così potrà spaziare ovunque". Non avevo nessuna voglia di spaziare ovunque anche perché il Mibac sembra il set di un film sulla macabra dissoluzione di una dinastia. Per non parlare del fatto che il mio ufficio probabilmente è stato pulito l’ultima volta nel 1990».
In un’intervista il ministro Bray ha lanciato l’allarme rosso.
«I conti sono in uno stato drammatico. Ha detto bene e in modo efficace. Ma non si può continuare ad addebitare la decadenza solo all’assenza di soldi. Quello che manca è una visione strategica e condivisa con enti locali, terzo settore e grandi player anche privati. Tutti gli attori in ballo devono riunirsi per fissare la missione da qui ai prossimi cinque anni di questo ministero su cui ci sono tante aspettative. Ho delle idee su sponsorizzazioni e defiscalizzazioni, voglio sottoporle al ministro Saccomanni. Solo un chiarissimo progetto può avere il potere di cambiare il delirio burocratico e normativo, vera gabbia del ministero. Il patrimonio culturale è cosa viva. E va valorizzato soprattutto con un’iniezione costante di obiettivi».
Tra l’altro i fondi ci sarebbero, parlo di quelli europei, spesso non vengono utilizzati. E i sindacati? Li ha appena incontrati, vero?
«Mi sembra che in questi anni la gestione dei rapporti di rappresentanza sia stata impostata in modo improprio. Si è favorita quella decentrata, del territorio, rispetto a quella centrale. Costringendo architetti, storici dell’arte, restauratori a una contrattazione lontana dalla loro preparazione. Un altro problema è la carenza di personale qualificato. Quando quelli che oggi hanno più di 50 anni andranno in pensione non ci sarà nessuno a rimpiazzarli. Tra dieci anni, l’Istituto del restauro non avrà più restauratori. La situazione è tale da poter pensare che si tratti di un ministero morente e che tra due anni se continua così chiuderanno musei e biblioteche».
È stata lei a sollevare la questione dell’eccesso di personale di custodia.
«I sindacati dovranno fare i conti con la necessità di mobilità e di turnazione dei custodi. Nel Centro-Sud chiudere i siti archeologici alle sei vuol dire rinunciare al momento del massimo flusso turistico. Non aprire i musei di sera come in tutte le grandi città, idem. Si deve poter aumentare l’offerta senza che rappresenti un costo insostenibile. Questa è la vera sfida per cui mi batterò. Come si sa, solo parlare di volontariato scatena un putiferio. Ma la Gemalde Galerie di Berlino ha 70 stanze e 50 custodi, mentre il museo di Brera che ha 35 stanze ha 114 custodi».
Vuol dire che bisogna mandarli a casa?
«No, anzi in certe zone bisogna aumentarli. Al ministero c’è n’è una caterva, inamovibili. Il concetto di mobilità è uno degli asset di una riorganizzazione globale. Ho chiesto di incontrare il responsabile del personale e del bilancio. Ho letto nel suo sguardo una precisa convinzione: quella che dureremo poco. Poi, se pongo un quesito la risposta è fatta di tre articoli e dieci comma».
I poli museali vanno bene?
«Non tutti. A Roma, tranne Castel Sant’Angelo e la Galleria Borghese,. il polo è in difficoltà.Temo non ci sia una promozione sufficiente. Per esempio, palazzo Spada e palazzo Barberini hanno incassi molto modesti rispetto alla loro importanza e qualità. Andrebbero promossi e valorizzati».
Il suo arrivo ha suscitato le ire di grandi tecnici come Salvatore Settis o Tommaso Montanari. Come lo spiega?
«Non lo so. Il professor Montanari mi ha rivolto i più ingiuriosi epiteti, ma non ci conosciamo. Il professor Settis quando ero al Fai è venuto al mio insediamento poi, pur essendo consigliere, non si è più visto. Quando ho scelto la politica, si è dimesso platealmente anche se non l’aveva fatto per Mario Monti. Forse dò loro solo sui nervi, forse la mia estrazione sociale non mi rende credibile ai loro occhi. Mi dispiace di non aver mai avuto il piacere di un confronto su una visione dei beni culturali italiani. Loro credono nel legame unico e indissolubile con lo Stato. È una posizione che va contro tutte le tendenze di tutti i paesi occidentali. Ora, più che mai dal mio osservatorio del Mibac, penso che non possa più bastare».