Loretta Bricchi Lee, Avvenire 19/7/2013, 19 luglio 2013
USA, A MORTE DISABILE MENTALE
Warren Lee Hill alle 19 di stasera (le 23 in Italia) verrà messo a morte in Georgia per l’uccisione di un compagno di cella, nel 1990, mentre era in carcere per l’omicidio della fidanzata. I legali si stanno battendo per salvargli la vita sulla base degli ignoti composti chimici di cui farà uso lo Stato americano del Sud per l’iniezione letale in mancanza di società farmaceutiche disposte a fornire il famigerato Pentobarbital.
Tutti i ricorsi, invece, sono stati esauriti per quanto riguarda una questione ancora più grave: come confermato da parecchi medici governativi, durante gli appelli degli ultimi anni, il 52enne è «mentalmente disabile» e la sua esecuzione andrebbe contro la Costituzione. Nel 2002, infatti, la Corte suprema degli Stati Uniti ha dichiarato che mettere a morte un individuo «incapace» viola l’ottavo emendamento della Costituzione che proibisce punizioni crudeli o eccessive. Lo Stato della Georgia – che in materia applica i criteri più restrittivi del Paese – non ritiene però che il quoziente intellettivo di 70 del condannato sia sufficiente a fargli evitare il boia. Negli ultimi anni, nonostante la generale tendenza ad allontanarsi dalla pena di morte, altri Stati americani hanno portato a termine esecuzioni particolarmente «discutibili ». È stato ad esempio il caso, nel gennaio 2006, dell’esecuzione del 76enne Clarence Ray Allen, cieco e fisicamente disabile, messo a morte in California. Nel settembre 2010, poi, è stata la Virginia ad impiegare il boia per l’esecuzione della disabile mentale Teresa Lewis. Le ragioni dietro la sentenza del massimo organo giudiziale Usa – secondo cui gli handicap mettono i condannati «a maggior rischio di esecuzioni erronee» – rivestono maggiore rilevanza alla luce di una nuova revisione federale di casi criminali del passato.
L’esame di oltre 21.700 dossier dei laboratori dell’Fbi – in atto da un anno da parte dell’agenzia d’indagine federale e del dipartimento della Giustizia Usa, in consultazione con gruppi di difesa dei diritti civili – avrebbe infatti rivelato almeno 120 casi in cui le condanne sarebbero state segnate da potenziali problemi. Tra questi, ben 27 condanne a morte potrebbero essere state inflitte erroneamente a causa di prove forensi dubbie, come errori nei test del Dna sui capelli. È dagli anni Settanta, ad esempio, che i verbali scritti dei laboratori dell’Fbi sottolineano come la concordanza di capelli non possa essere usata come una forma di assoluta identificazione. Per anni, però, parecchi agenti hanno testimoniato in tribunale sulla quasi assoluta certezza legata all’analisi dei capelli, portando quindi all’esonero di possibili colpevoli e alla condanna di innocenti. Un completo rapporto sulla revisione dei casi dovrebbe essere pubblicato a fine estate, ma già lo scorso maggio l’ammissione, da parte del dipartimento alla Giustizia, di errori forensi ha portato a sospendere l’esecuzione di Willie Jerome Manning, un individuo di 44 anni nel braccio della morte del Mississippi per due omicidi che non avrebbe commesso.