Bruno Quaranta, la Stampa 18/7/2013, 18 luglio 2013
L’epistolario di Baudelaire. È il nuovo en L’ plein , annunciato per l’autunno, di Nino Aragno, l’editore-contadino della Provincia Granda, quartier generale in Savigliano, discendente per li rami del presidente-contadino, Luigi Einaudi, di cui ha accolto in catalogo un Memoriale (per l’amministrazione di un’azienda a vigneto nelle Langhe) che, compulsato, eviterebbe al Libro rovinose avventure
L’epistolario di Baudelaire. È il nuovo en L’ plein , annunciato per l’autunno, di Nino Aragno, l’editore-contadino della Provincia Granda, quartier generale in Savigliano, discendente per li rami del presidente-contadino, Luigi Einaudi, di cui ha accolto in catalogo un Memoriale (per l’amministrazione di un’azienda a vigneto nelle Langhe) che, compulsato, eviterebbe al Libro rovinose avventure. In attesa del signor Fleurs du mal , perché non sfogliare la Morfologia di Goethe? È il fresco orgoglio di Nino Aragno «l’inattuale». «Come le pagine che via via pubblico, dal 1999. Contraddicendo la legge bocconiana che decreta in sessanta giorni la vita di un volume. Quindi scadrebbe, come lo yogurt. I miei titoli invece no, durano, perdurano, talvolta parrebbero acquattarsi, avvolgersi nel tabarro, un indumento della mia terra, salvo, d’improvviso, sfolgorare, così necessari. Senza tempo, ossia di ogni tempo, quali sono i classici. Non a caso non coltivo la saggistica militante, nutrita dalla contingenza». Nato nel 1951, imprenditore nei campi agricolo, sanitario e edilizio, concittadino del patriota Santorre Santarosa e del casanovista Luigi Bàccolo, Nino Aragno è un solitario, aristocratico vascello nell’inchiostrato mare magnum . Montalianamente, un «dilettante di grande classe», figura tanto rara in Italia quanto amata - a proposito - da Croce, un antiretore convinto che «in tempi contrassegnati dall’immediata utilizzazione della cultura, del polemismo e delle diatribe, la salute è forse nel lavoro inutile e inosservato: lo stile ci verrà dal buon costume». Un editore di Piemonte. Che cosa portando in dote alla nobile tradizione indigena, dall’«ideale» Gobetti all’Einaudi? «L’Einaudi proiezione di Gobetti, l’Einaudi che germina la Boringhieri, l’Adelphi, la Bollati Boringhieri, l’Einaudi pietra di paragone per tutti. Ebbene: la dote è la provincia. La pervicace coscienza sabauda che la città, la capitale, Torino, in prima fila com’è nel teatro della modernità, potrebbe smarrire o smemorare. È la forza di essere, di scoprirsi, inattuali, un salvifico passo indietro, l’attardarsi di chi si concede un supplemento di pensiero, di riflessione». Il «festina lente», l’affrettarsi lentamente della provincia, contrapposto all’urbana smania. Una divisa, una forma mentis , che evoca le biblioteche vaste, le mura solide che le avvalgono, le silenziose stanze dove respirano. A misura di «omnia», il sigillo Aragno. Eccoli schierati: i freschi Lunedì di Sainte-Beuve, il Journal di Edmond e Jules de Goncourt, le Memorie di Charles-Maurice de Talleyrand, il carteggio FlaubertSand Fossili di un mondo a venire , La storia dei «Gettoni» di Elio Vittorini (tre tomi indivisibili), le Prose critiche di Giorgio Caproni... Aspettando i Diari (integrali) di Antonio Delfini... Ci fu il partito intellettuale per eccellenza, il partito d’Azione. Aragno ne è l’eco editoriale, il radar che intercetta, che attrae, che discerne, in primis , i fosfori accademici. «L’azionismo, il connubio politicacultura, naturalmente nelle mie corde. L’impronta dei miei “maggiori”, che ho fortissimamente voluto pubblicare: da Norberto Bobbio ( Bobbio e il suo mondo ) ad Alessandro Galante Garrone, L’Italia corrotta . Al Progetto di costituzione confederale europea e interna di Duccio Galimberti (e Antonino Repaci), che vorrei offrire con la prefazione di Gustavo Zagrebelsky nel 2014 l’avvocato cuneese sarà assassinato dai fascisti nel dicembre ’44». Aragno, il seminatore di parole che «servono», che non ingannano. Aspettandosi? «Risultati economici? No di sicuro, anche se il bilancio, einaudianamente, infine è ortodosso. Miglioramento della italica pianta uomo? Chissà! Mi considero un giansenista (non a caso nella collana “I classici del giornalismo” ospito Il malpensante, alias Arturo Carlo Jemolo), sono mosso da un imperativo categorico che non contempla, di per sé, un risultato. È l’etica kantiana tradotta in piemontese da Norberto Bobbio: “Fa ël tò dover e chërpa”». Aragno, un miraggio, uno scaffale di pepite...: «Non sono lattine di CocaCola, i miei libri. Ma bottiglie di raro Barolo o Barbaresco. Credo che il lettore debba conquistarseli, scovando le nicchie dove maturano. Il bibliofilo che sono diffida delle scorciatoie. Ma, o prima o poi, inaugurerò a Torino (e a Roma) un angello cum libello , un angolo dove comodamente visionare e acquistare Burckardt e D’Arzo, Erasmo da Rotterdam e Riccardo Gualino, Walter Maturi e Elemire Zolla, Bettiza e Bonnefoy, Cases e Cordero, Cavallari e Furio Jesi, Berto e Arpino... Voci di ieri, voci di oggi...». Qui, nella campagna non così dissimile dal paesaggio dove ambientò Il Vangelo di Marco , potrebbe, ad ora incerta, bussare Borges, e finalmente vedere «il libro che sia la chiave e il compendio perfetto di tutti gli altri...». È l’utopia che Nino Aragno ricama sillaba dopo sillaba. Allevava cavalli, una volta. Sino a quando scoprì in sé l’ippogrifo...