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 2013  luglio 18 Giovedì calendario

LA METAFISICA DI “PALAZZO GROVIERA”

C’È IL fascismo, anzi c’è Mussolini, sopra, sotto e ai lati del “Colosseo quadrato”, l’enorme e bianco parallelepipedo razionalista che doveva ospitare il Palazzo della Civiltà italiana. Ma che poi, come molti monumenti a Roma, è divenuto quello che non doveva, seguitando a vivere come poteva, per quanto sempre a ragion veduta.
Stabilirono dunque le cronache del regime che il luogo dove sarebbe sorto fu scelto personalmente dal Duce e certamente scritta di suo pugno — per un discorso pronunciato nel 1935 contro la condanna della Società delle Nazioni dopo l’invasione dell’Etiopia — è la frase che campeggia sul frontale del “Palazzo groviera”, come pure allegramente presero a chiamarlo i romani, per loro natura, vocazione ed esperienza scettici dinanzi a qualsiasi altisonante retorica: «Un popolo di poeti di artisti di eroi/ di santi di pensatori di scienziati/ di navigatori di trasmigratori».
Anche il marmo, che richiamava la “romanità”, era inteso a trasmettere un integrale e orgoglioso messaggio di autarchia, scarseggiando a quei tempi ferro e cemento per via delle «inique sanzioni». Ma la leggenda fascista si sposa addirittura con la cabala, o con la numerologia celebrativa, per cui si disse che a partire dal numero dei piani (sei) e delle arcate di ciascun lato (nove) l’edificio progettato nel 1937 dagli architetti Guerrini, Lapadula e Romano dovesse recare un omaggio a Mussolini, il cui nome e cognome contengono appunto sei e nove lettere.
Sennonché, come succede quando si perde il senso della misura, le cose e perciò anche costruzioni sfuggono di mano e anzi di frequente si ribellano ai loro temerari ideatori, con il che non solo il palazzo che doveva rispecchiare il genio italiano rimase drammaticamente incompiuto, ma durante la guerra incontrò il suo più triste ed esemplare destino divenendo bivacco prima dei soldati tedeschi, poi delle truppe alleate e in ultimo degli sfollati.
Fu quindi lasciato per diversi anni in totale abbandono. Fino a quando, dopo il 1953, i democristiani, specialisti in aggiustamenti minimali e mirabili cambi di destinazione, non vi insediarono la Federazione dei Cavalieri del Lavoro e altre misteriose, per lo più, entità e incombenze ministeriali. Ma a quel punto, forte della sua metafisica in travertino, lo spettrale monumento dai finti archi e dai buchi veri era già pronto alla sua seconda o terza trasformazione diventando un’ambita
location per il cinema e poi per la tv.
E infatti compare in decine di film e di spot. Tra questi ultimi merita senz’altro una segnalazione l’indimenticabile video che accompagna e illustra l’encomiastico brano “Meno male che Silvio c’è”. E a tale proposito varrà la pena di sapere che dalla scalinata del Palazzo della Civiltà Italiana si vede scendere, riconoscibile al centro di un festante gruppo di giovanotti e ragazze, nientemeno che Francesca Pascale, la “fidanzatina” del Cavaliere.
Al piano terreno, insieme ai quattro gruppi scultorei equestri, si trovano 28 statue allegoriche. Ma l’orizzonte dei significati e dei significanti, come si vede, è sempre aperto alle meraviglie del possibile.