Franco Bechis , Libero 18/7/2013, 18 luglio 2013
DA CIAMPI A PRODI IN FILA DAL «DITTATORE»
Gli indignati speciali, i superesperti di diritti umani, i conoscitori sopraffini del “leader dell’opposizione kazaka”, Mukhtar Ablyazov, sono sorti come funghi in Italia solo ai primi di luglio del 2013. Le loro fila si sono moltiplicate, allargate a dismisura appena colto che questa scienza era utile a dare una spallata ad Enrico Letta, Angelino Alfano e il governo intero, liberando forse la strada al nuovo beniamino Matteo Renzi. Fino ai primi di luglio del 2013 però questo plotone di esperti era rinchiuso in qualche caverna, senza telefoni né computer. Il nome di Ablyazov non è infatti mai stato citato negli ultimi 10 anni da nessun grande quotidiano italiano. Non un rigo ai tempi della sua opposizione politica al presidente kazako Nursultan Nazarbayev, non una breve su Repubblica o sul Corriere della Sera a proposito dei suoi 10 mesi di prigione, con maltrattamenti e torture. Non un cenno alle successive avventure di banchiere, all’emigrazione a Mosca, l’espatrio a Londra, l’asilo politico concesso nel 2011. Se ministri e funzionari di polizia avessero dovuto prendere decisioni sulla base delle rassegne stampa ministeriali, tutto quel che è avvenuto sarebbe logico. Anzi, se c’è una cosa certa è che del Kazakistan gran parte della stampa italiana se ne è liberamente infischiata. Con poche eccezioni: le vicende sportive di quel paese, la base di lancio spaziale che da quella terra ha costruito le fortune di alcuni astronauti italiani, il film di Borat e i ricchi rapporti economici di imprese italiane.
Partiamo proprio dal caso politico di queste ore: l’irruzione nella villetta di Casal Palocco nella notte fra il 28 e il 29 maggio scorso, che ha portato all’espulsione della moglie della figlia di Ablyazov il 31 maggio. Quel giorno stesso l’Ansa alle ore 20 ha raccontato tutta la storia in un lungo dispaccio che si basava sulla denuncia del legale di Alma Shalabayeva. Né Repubblica, né il Corriere della Sera hanno ritenuto la notizia degna di nota. Il 5 giugno è esploso il caso politico grazie a Sel. Ma anche qui se ne sono tutti infischiati. Repubblica quello stesso giorno affida alla penna di Raffaella Cosentino una minuziosa ricostruzione dei fatti. Non la ritiene però degna di pubblicazione sull’edizione cartacea. Il documentato articolo finisce nella sezione “Mondo solidale” del sito Internet del giornalesotto sezione “Immigrazione”con il titolo non proprio accattivante: “Immigrati kazaki, il rimpatrio dal Cie di moglie e figlia dell’oppositore al regime”. Nel sommario si commentava: «Una vicenda opaca con risonanze internazionali (…) Non è la prima volta che viene denunciato l’uso del Cie per finalità dubbie». Si fa fatica a riconoscere in quella impaginazione la testata diretta da quello stesso EzioMauro che dopo 40 giorni tuonava dalla prima pagina “Dimissioni!” a proposito degli stessi identici fatti ritenuti non degni di pubblicazione un mese prima.
Ma della situazione politica interna del Kazakistan negli ultimi dieci anni né Repubblicané il Corriere della Sera hanno mai parlato. Con due sole eccezioni. Recentissima quella del quotidiano di Mauro: una cronaca da Seul del 26 marzo scorso sul viaggio di Mario Monti in Asia. Il premier italiano aveva avuto un colloquio con il suo omologo kazako Karim Masimov e così lo riassumeva il cronista di Repubblica: «Monti ha apprezzato gli sforzi delle autorità kazake per riformare il paese in senso democratico e, al riguardo, ha citato la presenza di due partiti di opposizione che partecipano alla vita politica del paese». Sul Corriere della Sera invece bisogna andare indietro al 3 dicembre 2005: articolo di Danilo Taino su Nazarbayev. Si raccontava delle disavventure di alcuni suoi avversari politici, chiosando: «Ciò nonostante, in una parte del mondo in cui la democrazia non ha mai avuto casa e dove i Paesi confinanti, anche essi ex sovietici, brillano per repressione, l’autoritarismo paternalistico di Nazarbayev è quanto di meglio conceda al momento la storia: la stampa è abbastanza libera, i partiti di opposizione sono effettivamente tali, i diversi culti religiosi sono tollerati».
Null’altro sulla stampa italiana è apparso in questi anni. Salvo appunto le veline dell’Eni, dell’Unicredit e soprattutto dei politici italiani che spesso si recavano in Kazakistan o ricevevano a Roma Nazarbayev. Adesso sembra che l’unico fosse Silvio Berlusconi, che l’ha incontrato 4 volte in 10 anni da premier. Romano Prodi l’ha visto invece ben 6 volte in soli 4 anni di governo: sia nel 1996-98 che nel 2006-08. L’8 ottobre 2007 si è portato ad Astana, facendoli sfilare davanti all’amico Nazarbayev, il ministro del Commercio Estero Emma Bonino, Luca Cordero di Montezemolo e 250 fra banchieri e imprenditori. In quell’occasione qualcuno accennò ai diritti umani nel paese? Macchè. Prodi gongolò: «L’Italia è un paese profondamente amico del Kazakistan e ora i frutti di questa amicizia sono copiosi». L’incontentabile Bonino invece si lamentò, ma solo della burocrazia kazaka: «Le nostre pmi», disse, «incontrano tutt’ora difficoltà nell’accesso al mercato kazako, per problemi legati agli ostacoli amministrativi e alle incertezze giuridiche esistenti».
Il piccolo attrito fu rimediato da Prodi, che promise «l’impegno dell’Italia per una presidenza kazaka dell’Osce». E la promessa fu mantenuta, tanto che nel 2009 Nazarbayev avrebbe ringraziato a Roma un gongolantissimo Giorgio Napolitano, che sottolineò: «È un incarico importante e meritato. Il Kazakistan è un paese importante nell’Asia centrale scossa da allarmanti tensioni, perché è un esempio di tolleranza, moderazione e convivenza pacifica». Sei anni prima anche Carlo Azeglio Ciampi aveva lodato pubblicamente il «grande equilibrio » di Nazarbayev. Parole entusiaste come quelle della visita di 10 anni prima, che vide perfino l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro tenere un discorso davanti al parlamento kazako. In quella occasione anche il sottosegretario agli Esteri Piero Fassino firmò il trattato di amicizia Italia- Kazakistan. E perché mai un poliziotto avrebbe dovuto sapere qualcosa di diritti umani e dissidenza in Kazakistan?