Guido Santevecchi, Corriere della Sera 18/07/2013, 18 luglio 2013
MUSEO CON QUARANTAMILA PEZZI FALSI SINTOMO DELLA MALATTIA CINESE
Sembrava un esempio virtuoso di recupero del patrimonio culturale della Cina imperiale, spesso cancellato senza pietà per far posto ai grattacieli della Cina moderna. Un bel museo costruito in un villaggio dello Hebei, provincia a Nord di Pechino. Un villaggio di soli 1.500 abitanti ma con una collezione di 40 mila reperti provenienti dalle dinastie imperiali, raccolti in 12 grandi sale. Il più antico risalente a quattromila anni fa. Peccato che i tesori dell’arte fossero rigorosamente falsi.
Lo ha scoperto un romanziere di Pechino capitato in quel villaggio, Erpu, difficile da trovare sulla carta geografica. Ammirando uno dei pezzi forti, lo scrittore si è accorto che qualcosa non quadrava. La didascalia davanti alla bacheca annunciava: «Vaso datato all’epoca del mitico Imperatore Giallo», che avrebbe regnato sulla Cina millenni prima di Cristo. Il suo nome era inciso sul prezioso oggetto: peccato che fosse stato scritto in caratteri cinesi semplificati, introdotti solo nell’anno 1950. E ancora, un pezzo spacciato per pura dinastia Qing, guardato con attenzione ha rivelato decorazioni tratte da una serie tv di cartoni animati. L’elenco prosegue.
Le autorità provinciali hanno chiuso il museo dei falsi. Che era stato aperto nel 2010, per iniziativa del segretario del partito comunista locale, Wang Zhongquan. Costo dell’edificio su quattro piani 88 milioni di dollari. Si è saputo che Wang si era occupato anche dell’acquisto dei reperti, pagandoli tra i 12 e i 240 euro l’uno. Doveva essergli chiaro che opere di quattromila anni fa non potevano costare così poco. Eppure il signor Wang insiste che «solo gli dei possono dire con certezza se qualcosa è vero o falso». E un suo collaboratore assicura che «almeno 80 dei nostri 40 mila oggetti sono sicuramente autentici».
Un aspetto positivo questa storiella che nasconde truffe e corruzione (qualcuno in paese sospetta anche riciclaggio di denaro sporco) però ce l’ha: è stata denunciata da un cittadino cinese e raccontata dai giornali cinesi.
Guido Santevecchi