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 2013  luglio 13 Sabato calendario

SOGNI, ILLUSIONI E INCUBI NEL DRAFT DEL BASEBALL


C’è chi ha aperto una scuola di baseball a Orange, Connecticut. Chi insegna fisica in un liceo di Sour Lake, Texas. Chi si occupa di logistica a Louisville, Kentucky (e guadagna 80 mila dollari l’anno, molto più di quanto si metteva in tasca nelle minor leagues). Chi è tornato a casa, ad Atlanta, Georgia, ha fatto il fattorino in bicicletta per pagarsi l’università e adesso vende fotocopiatrici.
Sono alcuni dei 52 che i New York Mets scelsero nel draft del 2008. Cinque anni dopo, soltanto 12 giocano ancora a baseball. E appena tre sono in Major League: Ike Davis, un prima base appena rientrato dall’esilio a Las Vegas, in classe AAA; Kirk Nieuwenhuis (terzo giro) e Josh Satin (sesto giro) che ha sorpreso tutti durante l’assenza di Davis, battendo con una media sopra i 350.
Gli altri si sono persi per strada, inghiottiti dal lato meno romantico del "passatempo americano". È quello che succede a gran parte dei 1.200 giocatori che le 30 squadre della Mlb selezionano ogni anno al draft (la Nba ne prende 60, la Nfl poco più di 200). Per farcela, devono salire cinque o sei gradini nelle minor leagues. Non è sorprendente che il numero dei dispersi sia così alto o che anche soltanto essere ancora nel giro dopo cinque anni sia così difficile.
Secondo Jim Callis, direttore esecutivo di Baseball America, se Davis diventasse una presenza fissa in prima squadra i Mets potrebbero considerare il draft 2008 in media con gli standard della Mlb (le altre squadre non hanno numeri molto diversi). Normalmente, ogni anno vengono fuori sei-sette stelle e più o meno tre dozzine di solid regular, come chiamato chi gioca ogni partita o comunque è nella rotazione.
Vuol dire che solo il 2,5 per cento ce la fa. Gli altri – alcuni addirittura alla prima scrematura, altri dopo cinque anni come è successo a Erik Turgeon, pitcher, 25° giro – prima o poi si sentono dire che l’avventura finisce lì. Quella di Mike Lynn (Pitcher, 30° giro) è durata due anni: quando l’hanno tagliato non ha fatto una piega, è salito in macchina e ha pianto fino a quando non è arrivato a casa a Denver, Colorado, 38 ore e tre multe per eccesso di velocità dopo.
Anche a Tim Smith (pitcher, 42° giro) è successo nel 2010. Solo l’anno scorso è riuscito a tornare in uno stadio della Mlb, a Pittsburgh, per vedere i Pirates e i Mets: «Ho guardato il bullpen, la panchina dei lanciatori, non so descrivere la sensazione provata nel vedere che qualcun altro stava vivendo il mio sogno», ha dichiarato al New York Times. Ha un sogno ricorrente, sempre lo stesso: è al college, sta preparandosi a un lancio sul monte, guarda il suo catcher e aspetta che gli faccia i segnali. A quel punto il sogno finisce. Non si sveglia. Ma il sogno non va avanti. È la visione di un attimo. «Se mi guardo indietro, è come il mio passaggio nei pro. Qualcosa che passa troppo in fretta, allunghi una mano per afferrarlo ed è già lontano».