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 2013  luglio 17 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - L’ARRESTO DEI LIGRESTI


REPUBBLICA.IT
Fonsai, arrestata la famiglia Ligresti
e gli ex manager del gruppo
La Finanza esegue ordinanze di custodia cautelare per Salvatore Ligresti e i suoi figli, per gli ex ad Fausto Marchionni ed Emanuele Erbetta e per l’ex vicepresidente Antonio Talarico. Il costruttore siciliano è ai domiciliari, Giulia Maria e Jonella sono in carcere, mentre Paolo Ligresti è ricercato e sarebbe in Svizzera. Secondo l’accusa era pronto ad andare alle Cayman. I reati ipotizzati sono falso in bilancio e manipolazione di mercato
di OTTAVIA GIUSTETTI
Sono stati raggiunti dagli ordini di custodia nelle loro case di vacanza tra la Toscana e la Sardegna. Con le le accuse di falso in bilancio e aggiotaggio sono scattati gli arresti per Salvatore Ligresti, i tre figli, Paolo, Jonella e Giulia Maria, i due ex amministratori delegati del gruppo Fonsai Fausto Marchionni ed Emanuele Erbetta, e l’ex vice presidente pro-tempore Antonio Talarico. Sono finite in carcere le figlie di Ligresti, Giulia Maria e Jonella. Tutti gli altri sono agli arresti domiciliari con l’eccezione di Paolo Ligresti che si trova in Svizzera: è ricercato. "Attendiamo di capire le sue intenzioni. Una nostra pattuglia lo attende a Ponte Chiasso", spiega il generale Giuseppe Gerli, comandante della Guardia di Finanza di Torino.
L’accusa: un danno da 300 milioni
Un anno di indagini. L’inchiesta è quella della Procura di Torino su Fondiaria Sai, la compagnia assicurativa del gruppo Ligresti che sta tentando in questi mesi la fusione con Unipol, aperta un anno fa esatto e che ha già visto notificare a maggio quattordici avvisi di garanzia. Gli altri indagati sono Vincenzo La Russa, fratello del politico Ignazio, i membri del comitato esecutivo di Milano Assicurazioni e, in virtù della normativa in tema di responsabilità amministrativa degli enti, la stessa società e la capogruppo Fondiaria Sai. L’inchiesta è coordinata dai magistrati Marco Gianoglio e Vittorio Nessi, e non è la sola che tiene nel mirino la Fonsai di Ligresti. Anche a Milano, nell’ ufficio del sostituto procuratore Luigi Orsi, è aperto un fascicolo sulla scalata al gruppo che vede il costruttore siciliano, i suoi figli e l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, accusati di ostacolo agli organi di vigilanza per il presunto patto occulto tra Mediobanca e la sua famiglia.
Un "buco" da 800 milioni. L’ inchiesta torinese intorno alla presunta falsificazione del bilancio del 2010, nel quale, come ha accertato anche l’Isvap, sarebbe stata deliberatamente truccata la voce «riserva sinistri», sottostimata per circa 800 milioni al fine di nascondere un pesante passivo nei conti della società. In questo modo, secondo l’ accusa, gli investitori sarebbero stati privati di informazioni determinanti per una corretta valutazione dei titoli azionari. Il bilancio 2010, sostengono i magistrati, è stato preso come base anche per la predisposizione del prospetto informativo dell’ aumento di capitale di Fonsai del luglio 2011. Da qui l’ accusa di aggiotaggio.
A ottobre l’ispezione nell’Isvap. A Torino, città che ospita il quartier generale di Fonsai, per mesi sono andati avanti gli interrogatori dei testimoni, tra cui anche Alberto Nagel, mentre la Procura disponeva alla Guardia di finanza del Nucleo tributario perquisizioni nelle sedi dell’ aziende nelle abitazioni degli amministratori. A ottobre i pm hanno disposto un passaggio dei finanzieri nella sede dell’Isvap (l’ex Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni) a Roma, e in particolare nell’ufficio del presidente Giancarlo Giannini, che è stato iscritto nel registro degli indagati per concorso in falso in bilancio. A febbraio erano state perquisite le abitazioni della famiglia Ligresti e degli ex top manager di Fonsai.
(17 luglio 2013)

REPUBBLICA.IT
LE INCHIESTE
MILANO - Le indagini sull’ex numero uno dell’Isvap, Giancarlo Giannini, e sui rapporti con la famiglia Ligresti sono solo l’ultimo rivolo di un fiume in piena che ha investito l’ex impero dell’immobiliarista di Paternò. La Procura di Milano, con il Pm Luigi Orsi, è impegnata da oltre un anno su diversi dossier riguardanti quella che veniva chiamata la galassia Ligresti.
Il filone che vede indagato l’ex presidente e commissario straordinario dell’Isvap Giannini, per corruzione e calunnia, spuntato ora per l’invio di un avviso di proroga indagini, è dunque solo l’ultimo di una serie. Una delle inchieste è quella che vede indagato Salvatore Ligresti per aggiotaggio in concorso con Giancarlo de Filippo, in relazione a due trust esteri titolari del 20% di azioni Premafin. Poi c’è l’indagine per la bancarotta delle holding immobiliari della famiglia ligresti, Imco e Sinergia, dichiarate fallite dal Tribunale di Milano, e che vede coinvolti, oltre all’ingegnere di Paternò, anche i suoi figli.
A questi filoni di inchiesta si aggiunge quella sul presunto patto occulto (la vicenda del "papello") con Mediobanca e che vede indagato anche l’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, senza dimenticare gli accertamenti sulla valutazione dei prodotti finanziari derivati di Unipol, una operazione necessaria ai fini della fusione con FonSai e, infine, il filone sul centro di ricerca biomedica "Cerba".
(17 luglio 2013)

FUBINI SU REPUBBLICA.IT
PER CAPIRE I LIGRESTI BISOGNA PROBABILMENTE DARE UN’OCCHIATA A UN LIBRO BELLISSIMO CHE NON PARLA DI LORO. "PERCHE’ LE NAZIONI FALLISCONO" DI ACEMOGLU E ROBINSON UNA STORIA DI COME LE ELITES ESTRATTIVE IN ALCUNI PAESI ESTRAGGONO APPUNTO RENDITE E RISORSE IMPOVERENDO I LORO PAESI IMPOVERENDO L’ECONOMIA. I LIGRESTI LO HANNO FATTO, LO HANNO FATTO A VOLTE IN MANIERA ANCHE FOLCLORISTICA NEGLI ANNI. PER ESEMPIO QUANDO LA PASSIONE PER L’EQUITAZIONE DELLE FIGLIE DEL PATRON VENIVANO SCARICATE COME COSTI SULLE AZIENDE CHE LA FAMIGLIA CONTROLLAVA SENZA NEANCHE AVERE UN’EFFETTIVA MAGGIORANZA NEANCHE IL 30 PER CENTO + 1 DELLE AZIONI DEL GRUPPO PREMAFIN, O PER ESEMPIO QUANDO LIGRESTI, INVITATO DALL’AMMINISTRATORE DELEGATO DI MEDIOBANCA ALBERTO NAGEL A USCIRE E PERMETTERE LA FUSIONE DI FONDIARIA SAI CON UNIPOL PER SALVARE FONDIARIA E SALVARE L’ESPOSIZIONE DI MEDIOBANCA VERSO FONDIARIA QUANDO NAGEL HA CHIESTO A LIGRESTI DI USCIRE E LASCIARE LIGRESTI E SCOPPIATO A PIANGERE E HA DETTO PER ME SAREBBE MEGLIO IL SUICIDIO PERO POI DOPO HA PRESENTATO A NAGEL UN FOGLIETTO SCRITTO A MANO CON LA RICHIESTA DI UNA BUONUSCITA DI 45 MILIONI PER LA SUA FAMIGLIA, L’ACCESSO A UN RESORT IN SARDEGNA PER SE STESSO E VARIE CONSULENTE PER I FIGLI. NAGEL SIGLO’ QUEL FOGLIO, LA CONSOB NON NE FU INFORMATA, MILLE DI QUESTI EPISODI LA CESSIONE DI ATAR HOTELS IN PERDITA ALLE AZIENDE CONTROLLATE DALLA FAMIGLIA PER SANARE I DEBITI DEI LIGRESTI STESSI. PER UN CERTO NUMERO DIANNI TIPO DI ELITE CHE VIVE DI RENDITA A SPESE DEL RESTO DELL’ECONOMIA.

LE ALTRE INCHIESTE REPUBBLICA.IT
MILANO - Svolta clamorosa e accelerazione improvvisa nella vicenda dell’inchiesta su Fondiaria-Sai, la compagnia assicurativa a lungo controllata dalla famiglia Ligresti e al centro di un complesso piano di integrazione con Unipol. La Guardia di Finanza di Torino ha eseguito sette ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Procura nei confronti Salvatore Ligresti, per il quale sono stati disposti gli arresti domiciliari a Milano, i tre figli - Gioacchino Paolo, Jonella e Giulia Maria (per loro custodia cautelare in carcere) -, i due ex amministratori delegati, Emanuele Erbetta e Fausto Marchionni, e l’ex vice-presidente pro tempore Antonio Talarico (anche per questi ultimi due sono previsti i domiciliari). Per quanto riguarda Gioacchino Paolo, gli investigatori non lo hanno arrestato e risulta quindi "ricercato"; dovrebbe essere in Svizzera e attendono di sapere se ha intenzione di consegnarsi. Per i componenti della famiglia e per le altre persone arrestate, i reati contestati sono falso in bilancio aggravato e manipolazione del mercato. Le misure cautelari lasciano intendere che esistesse il presupposto della fuga o dell’inquinamento delle prove.
Il titolo di FonSai (segui in diretta) ha accelerato al ribasso alla notizia delle operazioni dei finanzieri, ma si è trattato di un movimento d’istinto poi trasformatosi in un netto rialzo. Unipol si è mossa in direzione opposta all’inizio e si apprezza di circa quattro punti percentuali ( segui in diretta). Il bilancio considerato falso dalla Procura torinese è quello del 2010. Secondo quanto appreso, il gip del tribunale di torino che ha accolto la richiesta di custodia cautelare per i sette indagati ha motivato la sua decisione ritenendo che ci fosse pericolo di fuga, di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove. I fatti contestati dagli investigatori riguardano l’occultamento al mercato di un ’buco’ nella riserva sinistri di circa 600 milioni di euro, la cui mancata comunicazione avrebbe provocato danni ad almeno 12mila risparmiatori. I dettagli dell’operazione sono stati forniti nel corso di una conferenza stampa presso il Comando provinciale di Torino della Guardia di Finanza, dove si è parlato di "uno spaccato inquietante", con una società "molto importante era piegata agli interessi di una parte dell’azionariato, quello che contava. I Ligresti attraverso Premafin detenevano oltre il 30 percento della società".
Galassia Ligresti, cronistoria di un salvataggio
Presso la Procura del capoluogo piemontese si era aperto un fascicolo nel febbraio del 2013 e nella scorsa estate, esattamente un anno fa, l’operazione era accelerata con l’iscrizione nel registro degli indagati dei membri della famiglia di Paternò. Mentre a Milano già era aperta un’indagine su Premafin, gli investigatori torinesi si erano mossi per far luce sulla contabilità riguardante l’operazione di acquisto di Atahotel, ceduta da Sinergia, holding della famiglia Ligresti per le condizioni incongrue rispetto all’effettiva situazione economico-patrimoniale della società e - appunto - sull’accantonamento della riserva sinistri di Fonsai, molto limitata per una società assicurativa e già finita nel mirino della Consob.
Dopo numerose querele da parte dei soci, una sanzione della Consob e valanghe di materiale sequestrato in varie perquisizioni, a metà maggio, la Procura di Torino con il lavoro dei pm Vittorio Nessi e Marco Gianoglio aveva distribuito quattordici avvisi di garanzia con accuse allargate alle ipotesi di aggiotaggio, falso in bilancio e falso in prospetto. In quell’occasione, tra le notifiche era emerso anche il nome del capofamiglia Salvatore, che precedentemente era rimasto escluso dal novero degli indagati nei vari filoni della vicenda FonSai, ma che poi vi è rientrato perché ai tempi dei fatti era presidente onorario del cda della compagnia assicurativa oltre che azionista di riferimento. Per la legge 231, inoltre, anche le società Fondiaria e Milano Assicurazioni erano risultate coinvolte. Il riferimento degli inquirenti era all’aumento di capitale del luglio 2011, con un prospetto lanciato sulla base del bilancio 2010, nel quale si parlava di "riserve sinistri per 615 milioni" tacendo di integrazioni necessarie per altre 600 milioni, come ravvisato dall’Isvap pochi mesi dopo. La costante sottovalutazione della riserva sinistri ha consentito negli anni la distribuzione di utili per 253 milioni di euro alla holding della famiglia Ligresti, la Premafin, dove invece si sarebbero dovuto registrare perdite. Di contro, per i risparmiatori il danno ammonta a 300 milioni. Le presunte irregolarità sul trattamento dei sinistri sarebbero però già emerse a partire dal 2008, ma anche il ruolo dell’Autorità nella vicenda resta da chiarire del tutto, come testimonia anche l’indagine di Milano sull’ex commissario straordinario dell’Isvap, Giancarlo Giannini.
(17 luglio 2013)

REPUBBLICA.IT
MILANO - Le indagini sull’ex numero uno dell’Isvap, Giancarlo Giannini, e sui rapporti con la famiglia Ligresti sono solo l’ultimo rivolo di un fiume in piena che ha investito l’ex impero dell’immobiliarista di Paternò. La Procura di Milano, con il Pm Luigi Orsi, è impegnata da oltre un anno su diversi dossier riguardanti quella che veniva chiamata la galassia Ligresti.
Il filone che vede indagato l’ex presidente e commissario straordinario dell’Isvap Giannini, per corruzione e calunnia, spuntato ora per l’invio di un avviso di proroga indagini, è dunque solo l’ultimo di una serie. Una delle inchieste è quella che vede indagato Salvatore Ligresti per aggiotaggio in concorso con Giancarlo de Filippo, in relazione a due trust esteri titolari del 20% di azioni Premafin. Poi c’è l’indagine per la bancarotta delle holding immobiliari della famiglia ligresti, Imco e Sinergia, dichiarate fallite dal Tribunale di Milano, e che vede coinvolti, oltre all’ingegnere di Paternò, anche i suoi figli.
A questi filoni di inchiesta si aggiunge quella sul presunto patto occulto (la vicenda del "papello") con Mediobanca e che vede indagato anche l’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, senza dimenticare gli accertamenti sulla valutazione dei prodotti finanziari derivati di Unipol, una operazione necessaria ai fini della fusione con FonSai e, infine, il filone sul centro di ricerca biomedica "Cerba".
(17 luglio 2013)

REPUBBLICA.IT - STORIA DEI CASINI
VITTORIO PULEDDA
MILANO - Le voci di difficoltà del gruppo Ligresti si intensificano nell’estate del 2010, insieme alla ristrutturazione del debito sulle holding più a monte della catena, Sinergia e Imco. Ma è solo nell’ottobre dello stesso anno che la battaglia per la risistemazione del gruppo entra nel vivo.
Scende in campo Bolloré: la campagna di Francia.
Nell’ottobre del 2010 il finanziere bretone Vincent Bolloré annuncia di aver raggiunto il 5% di Premafin. Il capofila dei soci francesi di Mediobanca e a sua volta azionista di Piazzetta Cuccia con una quota del 5% infiamma le fantasie degli analisti. In questa fase ufficialmente il Credit Agricole Suisse ha ancora una quota del 9% di Premafin, in gestione per conto terzi. Di lì a poco scende in campo l’assicurazione Groupama. Altro francese, altro azionista Mediobanca, ma senza legami dichiarati tra i due soggetti. Groupama stringe un accordo con i Ligresti, incontrandoli proprio nella sede Mediobanca in contemporanea con l’assemblea di approvazione di bilancio di Piazzetta Cuccia; la riunione si tiene all’insaputa dei vertici di Mediobanca. Groupama si dice disponibile ad intervenire pesantemente nella ricapitalizzare Premafin sottoscrivendo una parte dell’aumento di capitale da 225 milioni (comprando e strapagando i diritti dalla famiglia Ligresti) fino a raggiungere il 17%; in un secondo momento Groupama chiede anche di poter salire in Fonsai. Il tutto, in esenzione dall’Opa a cascata.
Semaforo rosso dalla Consob. La Commissione però blocca i progetti dei francesi, imponendo l’Opa su Premafin e a cascata su Fonsai. Si blocca il processo di ricapitalizzazione di Premafin mentre Fonsai scende sotto il livello minimo accettabile di Solvency Margin. L’Isvap chiede alla compagnia di ripristinare i margini e, in marzo, si profila l’altra operazione di rifinanziamento, stavolta targata soprattutto Unicredit. Che prende il 6,7% di Fonsai, sempre strapagando alla famiglia Ligresti i diritti per partecipare alla ricapitalizzazione, ma in esenzione di Opa per lo stato di grave dissesto della società, certificato dall’Isvap.
Il doppio aumento di capitale.
Va in porto quindi il doppio aumento di capitale, da 800 milioni: 450 milioni su Fonsai, 350 sulla Milano (che non ne aveva in realtà bisogno, se non per portar acqua alla controllante e aumentare il Solvency a livello consolidato, dividendo il peso di trovare mezzi freschi con il mercato). Contemporaneamente i due grandi creditori - Mediobanca e Unicredit - ristrutturano i debiti anche di Premafin e Piazza Cordusio, in cordata con le altre banche finanziatrici presenti anche nei piani altissimi della catena, si fa carico di ristrutturare anche il credito a monte. Siamo arrivati al culmine dell’estate, ma la bonaccia sul gruppo Ligresti dura davvero poco: in agosto scoppia la crisi del debito sovrano, un po’ reale e un po’ pretesto per il gruppo, per fare pulizia e maggiori accantonamenti sulle riserve sinistri.
I conti in rosso.
Rapidamente si dissolvono le speranze di tenere il Solvency margin al 120% e anche di finire l’anno in sostanziale pareggio: il rosso di 62 milioni sale rapidamente a 179 milioni per finire, con un consiglio fissato alla vigilia di Capodanno, con un pre-consuntivo in rosso di 925 milioni. Ma non era ancora abbastanza: qualche settimana dopo i conti vengono aggiornati e precisati: il rosso si avvicina a 1,1 miliardi. Nel frattempo, il Solvency margin precipita al 75%
Mediobanca chiede l’aumento. Intanto a dicembre al posto degli auguri di Natale il principale creditore della compagnia di assicurazioni - Mediobanca - prende carta e penna e scrive ai Ligresti, imponendo di fatto una ricapitalizzazione importante. E da lì a poco trova anche il cavaliere bianco, il partner finanziario: Unipol. Ancora una volta però la strada non è lineare, anzi: il primo canovaccio messo a punto prevede infatti che Unipol comperi dai Ligresti la loro quota di Premafin, pagandola ai prezzi lievitati da fine dicembre ad allora da 0,1 A 0,3 e poi di lanciare un’Opa sul resto della holding (che proprio oggi la Consob ha attestato far capo anche per il 20% off shore a Ligresti). Inoltre, Unipol si impegnava a pagare un "diritto di non concorrenza" da 700 mila euro l’anno per cinque anni ai quattro membri della famiglia. Unipol ha messo in campo a sua volta un mega aumento di capitale da 1,1 miliardi.
Le polemiche sui Ligresti.
Il "premio" riconosciuto ai Ligresti suscita una tale reazione che il progetto viene rivisto e leggermente corretto: Premafin realizzerà un aumento di capitale riservato, da 400 milioni, sottoscritto da Unipol. Che in cambio dell’esenzione dall’Opa a cascata, appena chiesta alla Consob, si impegna quindi a sottoscrivere a sua volta la quota di aumento di capitale Fonsai, lievitato a 1,1 miliardi, per poi varare una fusione a quattro (Premafin-Fonsai-Milano assicurazioni-Unipol) in cui i Ligresti probabilmente chiederebbero il recesso (venendo quindi in qualche modo risarciti).
Questo, fino alla penultima mossa.

CORRIERE.IT
Svolta clamorosa nell’inchiesta su Fonsai: questa mattina è finita agli arresti l’intera famiglia Ligresti. Salvatore è ai domiciliari, Giulia e Lionella sono state portate in carcere, Paolo Ligresti, invece, non è stato arrestato ma risulta allo stato «ricercato». I
finanzieri sanno che il manager si trova in Svizzera e - secondo quanto si apprende - non sarebbe intenzionato a rientrare in Italia. Con i componenti della famiglia Ligresti sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza di Torino (su richiesta della procura di Torino) anche gli ex amministratori delegati di Fonsai, Fausto Marchionni ed Emanuele Erbetta e l’ex vicepresidente Antonio Talarico. Le ipotesi sono di falso in bilancio aggravato per grave nocumento al mercato e manipolazione del mercato. Alle 11 si è tenuta una conferenza stampa degli inquirenti per spiegare l’operazione. Per i componenti della famiglia Ligresti e per le altre persone arrestate il reato contestato è quello di false comunicazioni sociali.
OLTRE 250 MILIONI DI EURO - «Uno spaccato inquietante». Così il procuratore aggiunto Vittorio Nessi della procura di Torino sull’inchiesta Fonsai ha commentato la svolta nelle indagini: «Una società assicurativa - ha aggiunto - molto importante era piegata agli interessi di una parte dell’azionariato, quello che contava. I Ligresti attraverso Premafin detenevano oltre il 30 per cento della società». Ammonta a 253 milioni di euro la somma di denaro che la holding della famiglia Ligresti e Premafin hanno incassato come utili al posto di registrare perdite. I finanzieri hanno infatti verificato, in un’inchiesta partita nell’agosto del 2012, come fosse avvenuta una «sistematica sottovalutazione delle riserve tecniche del gruppo assicurativo della riserva sinistri», che ha consentito nell’arco degli anni l’afflusso di milioni di euro nelle casse della famiglia. La famiglia Ligresti, secondo la tesi dell’accusa, contando anche sulla «compiacenza del top management si è assicurata oltre al costante flusso di dividendi anche il via libera a numerose operazioni immobiliari con parti correlate». La Procura di Torino ha deciso di procedere con le misure cautelari nei confronti della famiglia Ligresti sia per le concrete possibilità di fuga, sia per il rischio di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio. «Salvatore Ligresti ha reagito all’arresto con molta serenità», ha spiegato il comandante della guardia di finanza di Torino, generale Giuseppe Gerli.
PAOLO LIGRESTI IN SVIZZERA - Le misure cautelari disposte dalla magistratura di Torino sono state eseguite dalla Guardia di Finanza in diverse città. Salvatore Ligresti ha avuto la notifica dei domiciliari nella sua casa di Milano; la figlia Giulia è stata fermata nel capoluogo lombardo e trasferita in carcere; l’altra figlia Jonella è stata raggiunta a Cagliari, dove era in vacanza e portata nel carcere cittadino. Gioacchino Paolo Ligresti, altro figlio di Salvatore, è l’unico che non è stato rintracciato e si trova in Svizzera: allo stato risulta «ricercato» ma a quanto si apprende non sarebbe intenzionato a rientrare. Ad Emanuele Erbetta l’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata notificata a Novara, dove l’uomo vive. Fausto Marchionni è stato raggiunto a Forte dei Marmi e trasferito ai domiciliari nella sua casa in provincia di Cuneo. Antonio Talarico, infine, ha ricevuto la notifica dei domiciliari nella sua abitazione di Milano.
L’INCHIESTA - Salvatore Ligresti e i figli Giulia, Jonella e Paolo erano già indagati nell’inchiesta coordinata dai procuratori torinesi Vittorio Nessi e Marco Gianoglio che ipotizzava da parte dei vertici di Fonsai di aver «truccato» la voce destinata alla cosiddetta riserva sinistri alterando tra il 2008 e il 2010 il bilancio della società, per poi comunicare ai mercati notizie false sul bilancio dell’azienda quotata in borsa, alterando il prezzo delle sue azioni

CORRIERE.IT
SERGIO BOCCONI
MILANO - Il tramonto dei Ligresti si conclude con un episodio talmente raro che già in sè la dice lunga sulla peculiarità della loro storia: l’arresto di un’intera famiglia è da includere nel guinness dei primati dell’imprenditoria mondiale. Del resto, dopo che il «patriarca» Salvatore, fondatore dell’ex impero nato a Milano sul mattone 60 anni fa con 5 milioni di lire, ha dovuto lasciare tutte le cariche per la condanna definitiva sul caso tangenti Eni-Sai, la «corona» è passata formalmente ai figli e ai manager fedelissimi come, in primo luogo, Fausto Marchionni.

IL «GIOIELLO» FONSAI - Ma i «ragazzi» Jonella, Giulia e Paolo (in Svizzera), fino a poco tempo fa comproprietari con il padre del gruppo attraverso scatole finanziarie dai nomi fantasiosi come Canoe o Limbo, più che imparare il mestiere di immobiliaristi e assicuratori hanno pensato bene di lasciarlo agli uomini di fiducia del padre per occuparsi di altro (come cavalli o borsette), concentrandosi sull’attività «core» che ha contribuito non poco a portare alla rovina il gruppo: «l’opera di spoglio», come l’ha definita il commissario ad acta per le azioni di responsabilità nominato dall’autorità di vigilanza sulle assicurazioni quando ormai i buoi erano scappati. Un’opera svolta attraverso compravendite di immobili e terreni, sponsorizzazioni, pagamenti «di abnormi e ingiustificati» corrispettivi (è sempre il commissario a parlare, anzi a scrivere) a Salvatore, figli e manager, che in una decina di anni ha portato al crac la Fonsai, cioè compagnia che doveva essere il «gioiello» della carriera dell’imprenditore venuto da Paternò. Rilevata in extremis dalla Unipol delle cooperative circa un anno fa.

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ASCESA E TRAMONTO - Carriera iniziata come dice la leggenda negli anni Sessanta con un sopralzo e che ha visto Salvatore conquistare nel ventennio successivo il titolo di «re del mattone» e l’appellativo di «Mister 5%» per il network di partecipazioni che ha accumulato. Nella «Milano da bere» di craxiana potestà Ligresti costruisce, vende, compra finché non lo ferma il ciclone di Mani Pulite con 112 giorni trascorsi a San Vittore. Lui però si risolleva e nel luglio 2001 fa il grande salto, rilevando Fondiaria dalla Montedison sotto assedio (a vendergliela è Mediobanca). La fonde con Sai. Nel gennaio 2003, quando Fonsai approda in Borsa, vale 1,6 miliardi. A fine 2006 ne capitalizza 5. Poi l’ingegnere e i figli affondano la compagnia in una spirale di operazioni con parti correlate e occultamenti vari, conti che i pm ritengono falsati. Risultato: 2 miliardi di perdite nel 2011 e 2012. Il salvataggio con ricapitalizzazione da parte di Unipol (che ora marcia verso la fusione), favorito da Mediobanca, evita il fallimento, inevitabile invece per le holding personali dei Ligresti. Ed ecco l’ultimo atto. Torino e Milano indagano. I reati ipotizzati sono svariati, dal falso in bilancio all’infedeltà patrimoniale. I pm piemontesi in febbraio ordinano le perquisizioni delle abitazioni dei Ligresti. E ora gli arresti. Che per Salvatore, data l’età, sono domiciliari.

IL CASO GIANNINI
MILANO -¬Quasi dieci anni di occhi chiusi sulla Fondiaria di Salvatore Ligresti da parte dell’organo istituzionalmente deputato in Italia a vigilare sul settore delle assicurazioni, l’Isvap. E in cambio, come tangente, la nomina del «controllore» (presidente uscente dell’Isvap) a futuro componente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, caldeggiata proprio dal «controllato» Salvatore Ligresti presso gli allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, ma non andata in porto per la caduta del governo e l’esplodere della crisi debitoria dei Ligresti. È questa la cornice nella quale, sulla base di quanto raccontato da un testimone e confermato dallo stesso Ligresti, la Procura di Milano contesta all’ex (fino al 2012) presidente e commissario straordinario dell’Isvap, Giancarlo Giannini, le ipotesi di reato sia di «corruzione» in concorso con Ligresti, sia di «calunnia» ai danni di Ligresti per la successiva denuncia nei suoi confronti da parte dell’Isvap di Giannini per ostacolo all’autorità di vigilanza: un esposto presentato in Procura a Milano a scoppio ritardato dopo l’avvio delle indagini sul crollo dell’impero Ligresti, e volto (secondo la lettura accusatoria) a nascondere la propria connivenza con Ligresti dietro asseriti inganni ordìti da Fondiaria per imbrogliare Isvap. Ed è proprio questa imputazione di calunnia, punita più severamente delle tangenti, ad attrarre a Milano la competenza territoriale anche della corruzione, altrimenti di competenza romana.


Ad alzare il velo sul possibile scambio - tra protezione di Ligresti da parte dell’Isvap e raccomandazione di Ligresti presso Berlusconi e Letta per sponsorizzare la nomina di Giannini all’Antitrust - è stato un testimone interno a Fondiaria: Fulvio Gismondi, che nella compagnia era il consulente incaricato appunto di tenere i rapporti con l’autorità di vigilanza guidata da Giannini dal 2002 al 2012, quando l’Isvap è stato trasformato in Ivass (Istituto di vigilanza sulle assicurazioni) e collocato nell’orbita di Banca d’Italia pur conservando la propria autonomia gestionale. Gismondi ha raccontato in Procura lo scenario corruttivo di cui si è detto a conoscenza, e ha indicato in Ligresti la fonte diretta di alcune informazioni su questa vicenda. E Ligresti, convocato a riscontro in Procura, ha confermato quanto testimoniato da Gismondi.
Lo si intuisce soltanto adesso, ma Giannini è indagato da almeno sei mesi: questa nuova indagine per corruzione (l’ex presidente Isvap era infatti già stato indagato a Torino nell’ottobre scorso per una più generale ipotesi di concorso in falso in bilancio) spunta infatti da un avviso di proroga delle indagini che, come appunto è obbligatorio accada allo scadere dei primi sei mesi dall’iscrizione, Giannini ha ricevuto ora dal gip milanese Andrea Pellegrino su richiesta del pm (Luigi Orsi) titolare dei tanti filoni dell’inchiesta milanese sui Ligresti: quello su Ligresti per aggiotaggio in rapporto alle anomalie sui titoli Premafin e sulla proprietà di alcuni trust esteri, quello su Ligresti e sui suoi figli per la bancarotta delle holding immobiliari Imco e Sinergia, quello sull’amministratore delegato di Mediobanca per il patto occulto che Alberto Nagel è indiziato di aver raggiunto con Ligresti in base a un «papello» fatto rispuntare da sua figlia Jonella, quello sulla valutazione dei complessi prodotti finanziari derivati che in pancia a Unipol stanno rendendo complicato il concambio della fusione con Fondiaria-Sai, e quello sui destini urbanistici (per il Comune di Milano) e creditizi (per le banche più esposte con i Ligresti) del futuro centro di ricerca biomedica «Cerba».


Una decennale immunità avrebbe dunque prima evitato a Fondiaria le ispezioni invece spesso mandate ai concorrenti, e poi nel 2010-2011 aiutato Ligresti a traccheggiare anche quando un’ispezione s’era dovuta in qualche modo fare. In realtà, infatti, per l’accusa già almeno dal 2008 sarebbe dovuta emergere l’insufficienza delle riserve a copertura dei sinistri, specie per quelle pratiche che in un primo tempo l’assicurazione di Ligresti archiviava come se gli incidenti non dovessero dare luogo in futuro a risarcimenti, e che poi rispolverava per forza quando invece doveva liquidare appunto quei risarcimenti: una casistica che in Fondiaria avrebbe toccato il 30% delle pratiche contro una media nel settore raramente superiore al 10%, così nascondendo per tre anni sotto il tappeto di un continuo rinvio l’insufficienza delle riserve stimata in almeno 420 milioni di euro nel 2011.
«Giannini è sicuro di poter dare tutti i chiarimenti necessari», anticipa l’avvocato Giampiero Biancolella che difende l’ex presidente dell’Isvap insieme al collega Cassani, «tanto che ha già concordato con il pm un interrogatorio, a fine mese o più probabilmente in settembre, nel quale potrà dimostrare l’irreprensibilità delle proprie condotte».

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Salvatore Ligresti, agli arresti domiciliari da questa mattina dopo la clamorosa svolta nelle indagini su Fonsai, è un’imprenditore nato a Paternò, in provincia di Catania, il 13 marzo 1932: sulla cresta dell’onda per decenni, Ligresti ha ruotato attorno a tutto il panorama imprenditoriale e finanziario italiano: costruzioni, assicurazioni, banche, editoria, dagli anni ‘50 rappresenta un pezzo di storia imprenditoriale tra i più chiacchierati e ambigui d’Italia.
Dopo la laurea in ingegneria a Padova si trasferisce a Milano, sul finire degli anni ‘50, senza capitali ma con una furbizia acuta ed un sensazionale senso degli affari: partito da Paternò, è a Milano che Salvatore Ligresti realizza e consolida un’ascesa verso il successo come poche altre; nella piazza Affari del boom economico conosce Michelangelo Virgillito, compaesano, e Raffaele Ursini (che erediterà, proprio da Virgillito, il colosso Liquigas, portato di gran carriera verso il fallimento): dai due Ligresti assorbe come una spugna, imparando a muoversi abilmente nelle pieghe affaristiche e nel rampante mondo imprenditoriale meneghino.
Rileva la Richard Ginori da Michele Sindona, proprio grazie alla Liquigas di Ursini, negli anni ‘70: nel 1973 Sindona cede alla Liquigas, nel 1975 viene creato la macrostruttura d’azienda Pozzi-Ginori e, nel 1977, viene trasferita al Gruppo SAI (di cui Ursini è titolare), giungendo poi tra le braccia di Salvatore Ligresti, quando quest’ultimo “eredita” il pacchetto di azioni SAI da Ursini.
Un’eredità che, a detta di molti, ha più i contorni della truffa: secondo Ursini il 20% delle azioni venne regalato, il 10% ceduto con la formula del “patto di riscatto”, una versione sempre contestata dal Ligresti che sostiene di aver acquistato l’intero pacchetto azionario, verità giudiziaria scritta nero su bianco dopo un lungo contenzioso iniziato nel 1988.
La conquista della SAI è tuttavia degna di una sceneggiatura di Hollywood: nel 1978 Salvatore Ligresti dichiarava al fisco un reddito di 30 milioni di lire l’anno, cifra importante ma non certamente da capogiro, e nell’acquisizione di SAI sono ruotati personaggi anche piuttosto strani: il missino Antonino La Russa, “padrino” di Virgillito e Ursini e padre di Ignazio, che prese sotto la sua ala il giovane Salvatore Ligresti, Luigi Aldrighetta, operatore finanziario siciliano che fece da mediatore per l’acquisto di un altro pacchetto azionario importante da parte di Ligresti, i sei fratelli Massimino, muratori diventati costruttori ed infine uomini di potere (la protesi del denaro, sopratutto in quegli anni): a loro erano intestate le società Finetna e la Premafin, che controllavano SAI nel periodo tra la fuga di Ursini in Brasile e l’avvento palese di Ligresti.
La domanda, come per altri imprenditori rampanti e giovani di successo dell’epoca, è sempre la stessa: dove ha preso i soldi?
La holding Premafin Finanziaria Spa Holding di Partecipazioni è stata controllata da Ligresti e dai tre figli, oggi in carcere, fino alla fine del 2012 grazie ad un patto di sindacato stipulato tra società tutte riconducibili alla famiglia Ligresti. Quotata in borsa, è passata di recente sotto il controllo di Unipol.
Sposa Antonietta Susini, detta Bambi, figlia di Alfio, un personaggio chiave per gli affari edilizi a Milano, e da quel momento riuscirà a mettere mano in tutti i più rilevanti interventi urbanistici del capoluogo lombardo: Expo, Fiera, Garibaldi-Repubblica. Ma non si ferma qui: Firenze, Torino, il nome di Ligresti dai primi ‘80 fa rima con cemento.
Nel 1981 la moglie viene rapita e tenuta sequestrata per circa un mese dietro il pagamento di un riscatto da 600 milioni; successivamente due sospettati del rapimento, Pietro Marchese e Antonio Spica, finiscono morti ammazzati; il terzo, Giovannello Greco, fedelissimo del vecchio capo di Cosa Nostra Stefano Bontate, scompare nel nulla fino al 2002, quando si costituisce.
Nel 1984 è stato oggetto di un’indagine di polizia perchè sospettato di avere rapporti con Cosa Nostra: il fascicolo viene inviato l’anno dopo a Milano, da Roma, sul tavolo del magistrato Piercamillo Davigo, poi affiancato anche da Filippo Grisolia, che già indagava su Ligresti per alcune licenze urbanistiche. Il dossier finì nel dimenticatoio dopo poco.
Angelo Siino, imprenditore mafioso di Cosa Nostra considerato il “ministro dei lavori pubblici” della mafia accusa Salvatore Ligresti, nei primi anni ‘90, di avere come relatore della mafia addirittura Nitto Santapaola, che avrebbe favorito Ligresti addirittura arrivando a stravolgere il sistema della distribuzione degli appalti messo in piedi dalla mafia: anche le dichiarazioni di Siino però restarono lettera morta.
Negli ‘80 diventò il più potente immobiliarista di Milano.
Nel 1996 Gaspare Mutolo riferì una “confidenza” fattagli da Vittorio Mangano, il mitico “stalliere” di Arcore, secondo il quale Ligresti riciclava i capitali mafiosi della famiglia Carollo (la Duomo connection)
Nel 1992 venne coinvolto nello scandalo Tangentopoli, arrestato e condannato per tangenti: patteggiò una pena a 2 anni e 4 mesi, fu affidato ai servizi sociali e continuò con la sua attività di costruttore, restando tuttavia anche un importante finanziere: non si limita infatti a controllare SAI ma possiede anche Pirelli, 5,4%, la Cir di Carlo De Benedetti (5,2%), l’Italmobiliare di Giampiero Pesenti (5,8), l’Agricola Finanziaria di Raul Gardini (3,7).
Qualcuno, viste le quote azionarie molto simili, comincia a chiamarlo “mister 5 per cento”; nel 2004 entra anche in RCS Mediagroup sempre attraverso la holding Premafin (diventata un gigante), mantenendo fede al soprannome e detenendo il 5.291%, partecipando sempre con Premafin al patto di sindacato per il controllo della società editrice.
Salvatore Ligresti è stato anche consigliere d’amministrazione di Unicredit fino al 2011 rassegnando le dimissioni
“in relazione all’evolversi delle relazioni di affari del gruppo facente capo alla famiglia Ligresti con UniCredit”
Oggi Salvatore Ligresti si trova agli arresti domiciliari con l’accusa di falso in bilancio e manipolazione di mercato.

RITRATTO DI SERGIO LUCIANO PER PANORAMA
"Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. Invece egli era un omiciattolo [...] che non gli avreste dato un baiocco, a vederlo; e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si sapeva come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di pane; e sì ch’era ricco come un maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo". È la descrizione che Giovanni Verga tratteggia di Mazzarò, uno dei suoi personaggi più celebri, nel ciclo delle "Novelle rusticane", eppure già uno dei "vinti", come i Malavoglia, come Mastro-Don Gesualdo, come Don Salvatore Ligresti...
Ma Ligresti, l’ex patron del gruppo Fonsai, fino a tre o quattro anni fa terzo uomo più ricco d’Italia, non è un personaggio della letteratura, non è il parto della fantasia di Verga. Ma quanto assomiglia a quegli eroi del destino avverso che il grande narratore ha scolpito nei suoi libri! L’attaccamento alla roba; il legame viscerale con la famiglia, forse non sempre corrisposto se non dall’amore certo dall’impegno; la fortuna scintillante di un tempo e oggi, a ottant’anni, la rovina nel disonore.
Chi l’ha conosciuto bene sa che non è giusto neanche adesso, che pure i fatti sono tutti contro di lui, sparare su Ligresti ignorandone le capacità, i talenti che certamente gli permisero di diventare infinitamente ricco e molto potente. Eppure oggi - il giorno della custodia cautelare di Salvatore e di altri tre della famiglia - è inevitabile guardare sotto la cortina che per anni, forse decenni, ha coperto il lato oscuro del suo agire imprenditoriale.
Inutile dire che su Don Salvatore – già condannato per tangenti e inquisito per numerose beghe societarie – si estende tuttora la presunzione d’innocenza che si deve a chiunque. E per quanto suoni retorico, in un Paese con la giustizia in decomposizione come il nostro, "toccherà alla magistratura" stabilire quanto e perchè Salvatore Ligresti e la sua famiglia siano colpevoli dei reati che gli vengono ascritti.
Di certo c’è però la fine – nella rovina, suggellata oggi dalla “retata” di famiglia - di un impero imprenditoriale che ancora quindici anni fa sembrava non aver confini. L’Ingegnere di Paternò era diventato co-leader italiano nelle assicurazioni e leader nelle costruzioni residenziali e alberghiere, toccando l’apice con Italia Novanta; insieme al fratello – tuttora in sella, e spostatosi da quindici anni in Francia – era co-leader anche della sanità privata; e soprattutto era uomo-chiave in colossi finanziari come Rizzoli-Corriere e, in genere, tutta la "galassia" Mediobanca.
Ma appunto in questa gravitazione c’era anche il germe della sua debolezza, c’erano i piedi d’argilla del suo impero. Ligresti aveva infatti creato la sua potenza finanziaria soprattutto grazie alla stima di Enrico Cuccia, che l’aveva preso a ben volere perchè aveva riconosciuto in lui, costruttore e uomo del cemento, il contraltare alla sua cultura, tutta finanziaria; e quindi, dopo averlo "subito" da Craxi, che gli impose di aiutare Ligresti in cambio del suo via libera politica alla finta privatizzazione di Mediobanca (dove per vent’anni i privati hanno comandato avendo molte meno azioni delle banche pubbliche) Cuccia aveva adottato volentieri questo "raccomandato di ferro". Ottenendone in cambio fedeltà assoluta.
Scomparso Cuccia – e uscito di scena pochi anni dopo il delfino Vincenzo Maranghi – Ligresti era rimasto come spiazzato, protetto più dalla già grossa entità dei suo debiti che dalla forza dei protettori. Certo, il rapporto personale con Berlusconi era rimasto ottimo, ma il Berlusconi politico del dopo-Cuccia aveva altro cui pensare. E comunque resta il fatto che la crisi di Ligresti è degenerata in disastro solo quando, anni dopo l’uscita di scena di Craxi e Cuccia, anche gli altri estimatori dell’Ingegnere, cioè appunto Berlusconi, Cesare Geronzi e – fatti debiti distinguo - Alessandro Profumo hanno perso potere.
Come archiviare Ligresti, l’ha già deciso la cronaca, se non la storia: un disastro verghiano, un “vinto” dal destino, a dispetto della sua determinazione e della sua dissipata ricchezza. Come considerarlo nell’insieme, nonostante le ombre della sua vicenda e i reati che certamente ha commesso e forse solo in parte scontato, è più complesso. Perchè è vero che la sua crescita si spiega con la storia del potere in Italia ma è anche vero che l’ "uomo che portò i balconi a Milano" ha avuto capacità e intuizioni degne di un leader vero.
Infine, sulla saga dei Ligresti c’è lo stigma della famiglia come zavorra anziché come risorsa: uno stigma infamante in un Paese che alle aziende familiari deve tanto. Una cappa familiare, convinta di dover influenzare in tutto la gestione delle aziende controllate anche al costo di stroncarle. Quindi un’incapacità gestionale di condurre bene, e far rendere, ad esempio un gruppo complesso come Fonsai in un mercato ormai meno ricco d’un tempo, quello assicurativo. E insieme il dilagare degli interessi privatissimi, individuali, che oltre a danneggiare direttamente le casse aziendali – in Procura si parla di 50 milioni all’anno di costi familiari diretti – davano al management un esempio devastante...
Con l’onore dei Ligresti è tramontato oggi un altro pezzo del malcilento onore del sistema finanziario italiano. Lo stesso sistema – in molti casi anche nella nomenclatura – che con gli arrestati di stamattina ha incrociato accordi, intese, patti di sindacato ed interessi fino a pochi mesi fa.