Francesco Bonami, la Stampa 17/7/2013, 17 luglio 2013
LA RUOTA DI DUCHAMP SIETE PRONTI PER L’ARTE CONTEMPORANEA?
Le rivoluzioni a volte accadono per sbaglio, a volte per caso e a volte persino per noia. Potrebbe essere il caso di quella grande rivoluzione, bistrattatissima e ancora oggi guardata con enorme sospetto se non disgusto, che si chiama arte contemporanea. La mela dell’arte contemporanea cade sulla testa di quel Newton della storia dell’arte che si chiamava Marcel Duchamp nell’autunno del 1913, nel suo studio di Neuilly. Duchamp, artista francese naturalizzato americano, farà scandalo quattro anni dopo nel 1917 con il famoso orinatoio capovolto, firmato e messo in mostra come se fosse una scultura astratta. Ma la lampadina dell’arte contemporanea si accende nella sua testa quattro anni prima, quando, non sapendo cosa fare, prende una ruota di bicicletta con tanto di forcella e la pianta in mezzo a uno sgabello bianco.
I critici e gli storici dell’arte vedranno in quell’oggetto, un esemplare del quale è persino nella collezione del Moma di New York, il primo ready made , ovvero un’opera d’arte prefabbricata, pronta all’uso, lì a portata di mano per chiunque avesse l’intuizione di trasformarla in un capolavoro tanto importante e fondamentale che non significa necessariamente bello, quanto, che so, la Monna Lisa. In realtà non era questa l’intenzione del suo autore che più tardi dichiarò candidamente: «Quando collocai una ruota di bicicletta su uno sgabello, con la forcella capovolta, non c’era in tutto questo nessuna idea di ready made, né di qualunque altra cosa, era semplicemente un modo per distrarmi. Non avevo alcuna ragione determinata per fare questo, né intenzione di esporlo né di descriverlo».
Beata onestà! Poi come se non bastasse Duchamp preciserà: «Vedere quella ruota girare era molto tranquillizzante... Mi divertivo a guardarla come mi diverto a guardare le fiamme che danzano in un camino». Mai avrebbe immaginato, quello che potremmo definire il Neandertal dell’arte contemporanea, che nel suo caminetto per un intero secolo sarebbero poi bruciate idee di tutti i tipi chiamate, a ragione o a torto, arte. Forse la più vicina alla ruota di Duchamp, anche se meno dinamica, è la scatola da scarpe vuota presentata alla Biennale di Venezia del 1993 dall’artista messicano Gabriel Orozco, duchampiano doc, etnico, geniale, esponente di punta di quello che si potrebbe definire il movimento del folclore concettuale.
Tornando all’invenzione della ruota contemporanea, che per un secolo ha continuato e continua, anche se un po’ a fatica, a girare, Duchamp non considerandola arte l’aveva a un certo punto anche buttata via. Finché qualcuno più scaltro gli suggerì, come nel caso di molti suoi famosi ready made, di farne delle repliche «originali» che si potevano vendere, essendo con il tempo diventate a tutti gli effetti arte.
Un secolo è passato e ancora oggi davanti a molte opere di Duchamp la gente storce il naso. Nonostante il prestigioso Philadelphia
Nell’autunno di 100 anni fa l’artista francese creava “per distrarsi” il primo ready made , aprendo la via a un nuovo modo di guardare
Museum abbia una serie di stanze dedicate al suo lavoro grazie alla donazione dei collezionisti Louise e Walter Arensberg, grandi amici e sostenitori dell’artista. Duchamp non diventò mai veramente ricco con le sue idee alle quali, da grande saggio quale era, dava una relativa importanza. I nipotini e bisnipotini di Duchamp, come abbiamo visto, daranno e danno invece molta più importanza alle loro idee e alle cose che troveranno e raccoglieranno sulla loro strada di artisti mostrandole poi nei musei del mondo, riuscendo spesso a diventare, con la loro vendita, soggetti fiscali molto interessanti.
A questo punto la domanda, oltre che spontanea, è anche inevitabile: come mai Marcel Duchamp, che guardava alla sua ruota di bicicletta quasi come a uno scherzo o una semplice distrazione, è diventato il padre dell’arte contemporanea e una delle pietre d’angolo della storia dell’arte, senza la quale una parte dell’edificio, quello più recente, crollerebbe? I più cinici potrebbero dire che è diventato famoso perché ha sdoganato tutti quei furbi che prendendo lui come esempio hanno creato cose tutt’oggi incomprensibili, dai tagli di Fontana, alla Merda d’artista di Manzoni, a Martin Creed che addirittura vinse il celebre Turner Prize della Tate Gallery spengendo e accendendo le luci della galleria. In realtà non è questo il motivo dell’importanza dell’artista francese. Anche se è innegabile che molti cosiddetti artisti hanno abusato oltre misura della sua genialità. Duchamp è a ragione una figura cardine della storia dell’arte contemporanea perché ha avuto il coraggio di dire che il mondo si può guardare in tanti modi diversi e che arte a volte è semplicemente ciò che ci circonda nella vita quotidiana e ci rassicura, come faceva la sua ruota di bicicletta che con un piccolo tocco iniziava a girare tenendogli compagnia.
In fondo Duchamp guardava alla semplicità delle cose come faceva il pittore Giorgio Morandi quando osservava le sue bottiglie come se fossero belle modelle. Certo, se qualcuno avesse detto, nel 1913, che una ruota di bicicletta e uno sgabello sarebbero state una delle opere più importanti e iconiche del Moma, nessuno ci avrebbe mai creduto. Ma anche se qualcuno avesse previsto che un signore dipingendo solo bottiglie sarebbe diventato uno dei più famosi artisti del mondo, molti lo avrebbero guardato come un idiota. La storia dell’arte è fatta anche di sorprese e da chi ha saputo indicarci strade diverse usando cose banali e normali, ora una bottiglia, ora una ruota di bici.
Dopo un secolo guardiamo al primo ready made di Duchamp come al primo passo sulla Luna, un gesto simbolico ma incancellabile. Come nessuno potrà mai più fare il primo passo sulla Luna, cosi nessuno potrà, senza essere ridicolo, prendere una ruota e metterla su uno sgabello. Quella di Duchamp, più che una vera opera d’arte, è un grande gesto artistico che ha cambiato la storia dell’arte mettendola in crisi, ma anche fornendo l’opportunità a tanti artisti di sfidare le convenzioni, la ripetizione e la noia, liberando dalle catene della tradizione anche mezzi più convenzionali come la pittura e la scultura, che senza dover diventare pezzi di ricambio da cicloamatori hanno, grazie a Duchamp, trovato il coraggio di trasformarsi e rinnovarsi, rinnovando e trasformando anche il modo, di noi spettatori, di pensare e guardare.