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 2013  luglio 17 Mercoledì calendario

STOP! L’INDIA SPEDISCE L’ULTIMO TELEGRAMMA [2

pezzi] –
L’ ultimo «stop» è stato scritto. Almeno in India. A collegare i cittadini della democrazia più affollata del Globo non ci saranno più telegrammi: finiti, aboliti, soppressi da ieri dopo 163 anni di onorata carriera. L’ultimo messaggio, dettato 15 minuti prima della fatidica scadenza, è stato mandato al Matteo Renzi d’India: Rahul Gandhi, figlio di Sonia Gandhi e astro nascente della politica locale.

Ma la vera notizia, quello che forse in pochi si aspettavano dalle parti di Nuova Delhi, è che la decisione ha scatenato un attacco di nostalgia collettiva, con tanto di ressa e corsa all’ultimo telegramma. Messaggi d’amore da incorniciare per fidanzati e fidanzate e note ricordo, per certificare «io c’ero» e partecipare così alla fine di un’epoca. Ai 75 sportelli rimasti in attività nel Paese si sono accalcate centinaia di persone e, proprio nell’ultimo giorno di telegrammi, agli impiegati sono toccati gli straordinari. Ovviamente, è partito anche l’hashtag su Twitter: #lasttelegram.

«Troppe perdite, impossibile continuare», aveva spiegato Shameem Akhtar, manager dell’azienda che gestiva il servizio. Così anche per condoglianze e congratulazioni, gli indiani si dovranno rassegnare alla tecnologia, sotto forma di email o sms. E la verità è che la transizione non dovrebbe essere così dolorosa, per un Paese che sfiora il miliardo di utenti di cellulari e continua a sfornare – e comprare – telefonini e tablet a basso costo.

Quello indiano non è poi un caso isolato. In Australia i telegrammi non esistono più dal 2011, mentre in gran parte dei Paesi occidentali hanno un ruolo parecchio marginale e vengono usati solo per occasioni speciali. Negli Stati Uniti, la più famosa delle aziende americane specializzate, la Western Union, ha detto addio al servizio già nel 2006. I telegrammi sono però sopravvissuti perché a rilevare quel ramo è stata un’altra azienda, iTelegram, che consente invii nazionali e internazionali e ha già rassicurato i propri clienti: «Continueremo a consegnare anche in India».

Dall’America una delle destinazioni più gettonate è l’Italia, raggiungibile per la poco modica cifra di 20 euro più 71 centesimi per ogni parola. Non è un caso. Nel nostro Paese i telegrammi sembrano tutto fuorché destinati a sparire dalla circolazione e nel 2012 ne sono stati spediti 9,1 milioni. Vengono raccolti per lo più via telefono al numero 186 (nel 59% dei casi), oppure direttamente dall’ufficio postale (il 24%). Oltre a questi, in una sorta di strambo matrimonio tra tecnologia e tradizione, c’è anche un bel 17% di telegrammi compilati online. Certo, per colpa di sms e email un calo c’è stato, ma più contenuto che altrove, visto che dal 2007 al 2013 la flessione è stata dell’11,5 per cento. Colpa anche della Pec, la posta elettronica certificata che consente di avere una «traccia» delle comunicazioni – come avviene per le raccomandate – ed è ormai obbligatoria per tutte le aziende.

Così, se un tempo il telegramma si usava molto per affari, oggi in 7 casi su dieci è una questione privata. Resta il metodo più diffuso per spedire le proprie condoglianze e un sistema piuttosto formale per fare ringraziamenti o congratularsi per una laurea. Ma non solo. Il telegramma fa parte anche del meccanismo burocratico italiano, per esempio nel campo della giustizia – per udienze o altre notifiche – e nel mondo della scuola, dove viene usato per notificare le bocciature agli studenti o per convocare gli insegnanti per le supplenze.

I prezzi? Sono cambiati, ma come sempre variano in base alla lunghezza del telegramma. Si parte da 4 euro e 43 per messaggi fino a venti parole, si sale a 6 e 75 fino a cinquanta parole e si arriva fino a 40 euro per piccoli «poemi» di 500 parole.
Stefano Rizzato

«HANNO UNITO L’ITALIA, GLOBALIZZATO IL MONDO» [3 domande a Valter Astolfi] –
Una rete prima della Rete. Il primo vero strumento della globalizzazione. Pezzi di storia da conservare. I telegrammi sono tutto questo, secondo Valter Astolfi, collezionista e autore de «Il telegrafo in Italia: 1847–1946», edito da Aicpm.

In che senso sono stati un veicolo per la globalizzazione?

«Hanno portato un’accelerazione nel modo di comunicare. Prima ci volevano 15 giorni per sapere il valore del frumento alla Borsa di New York. Con i telegrammi bastavano pochi minuti e i mercati potevano adeguarsi. Il mondo era per la prima volta allineato».

All’inizio, il telegrafo non era strumento a portata di tutti...

«In Italia arriva nel 1847, tre anni dopo la prima comunicazione tra Washington e Baltimora. All’inizio lo usavano regnanti e governi e solo dal 1870 il sistema ha preso piede. I telegrammi sono serviti a dare coesione alla giovane Italia unita e più tardi sono diventati fenomeno di massa».

Perché così da poco interessano i collezionisti?

«Forse perché non prevedono l’uso di francobolli: anche oggi, i pezzi più ambiti sono quelli che facevano un pezzo di strada come normali lettere e venivano affrancati. Ma ce ne sono alcuni che incarnano un pezzo di Storia. Come quello mandato da Italo Balbo nel 1931 dopo una trasvolata oceanica da Orbetello a Rio de Janeiro. Oppure quello del 1870, inviato a tutti i comuni per annunciare che Roma era caduta».