Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 17/07/2013, 17 luglio 2013
DA NOI EINSTEIN NON INSEGNEREBBE
«Benvenuto professor Einstein, ce l’ha già un codice fiscale italiano?». Se il grande fisico fosse ancora vivo e venisse a fare una conferenza in Italia, sarebbe questa la domanda, surreale, che ogni università nostrana dovrebbe fargli. Al che, probabilmente, il geniale premio Nobel tedesco-americano tornerebbe a fare la linguaccia come nella foto celeberrima in cui, nel 1951, sbeffeggiò i fotografi accorsi a festeggiarlo: prrrrrrr!
Ma vi pare sensato che uno scienziato, uno studioso, un docente straniero chiamato a partecipare a un convegno o a tenere una lezione in qualche università o centro studi della penisola debba essere fornito di un codice fiscale apposito (anche se magari non tornerà mai più in Italia in vita sua) per poter essere pagato e dunque lasciare una quota di questo compenso per le tasse? Ammesso che lo Stato non possa proprio rinunciare a questo tipo di balzelli neppure se si tratta di un caso sporadico e di un contributo scientifico indispensabile per i nostri studenti, per i nostri atenei, per la nostra società, non potrebbe più semplicemente chiedere a chi invita quel docente straniero di pagare quella tal quota di imposte e morta lì?
No. E così, per fare un esempio, Vermondo Brugnatelli, docente alla Bicocca di Milano, perdendo una mattinata regalata all’Università e allo Stato, si è pazientemente messo in coda all’Agenzia delle Entrate per procurarsi un codice fiscale per il collega straniero chiamato a tener lezione: «Naturalmente la documentazione allegata non bastava: mi hanno chiesto un’ulteriore attestazione da fare rilasciare in università e con la quale tornare e perdere un’altra mattinata sperando che fosse la volta buona. Da notare che altri uffici delle Entrate questo documento non lo chiedono; altri ancora, mi dicono, non chiedono neppure la dichiarazione del richiedente di non voler prendere residenza in Italia, che peraltro avevo già con me...».
A farla corta, pare che ogni diverso ufficio delle Entrate si regoli a modo suo. Come se non si trattasse di norme codificate ma di prassi, dove prevale l’arbitrio del singolo dirigente. Va da sé che, dopo avere risolto il problema in un ufficio diverso senza che questo gli chiedesse «né dichiarazioni complementari dell’interessato né attestazioni dell’università» pretesi dall’altro, Brugnatelli ha deciso di inoltrare un reclamo alla stessa Agenzia delle Entrate «con una complessa procedura automatizzata (evidentemente fatta per scoraggiare i reclami) e che limitava il testo del reclamo a un massimo di 490 caratteri, poco più di tre tweet».
Dopo un po’ gli arrivava un messaggio di risposta automatico: «Sarà nostra cura verificare le modalità di erogazione del servizio in questione e fornirle una risposta in tempi brevi». In simultanea però, sorpresa!, spuntava tra le email un secondo messaggio automatico, presumibilmente della persona cui era stato indirizzato il reclamo. Sei parole: «Sarò assente fino al 17 settembre».
Gian Antonio Stella