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 2013  luglio 17 Mercoledì calendario

«SE L’UNIVERSO NON VI PIACE CE NE SONO TANTISSIMI ALTRI»

Incontrare Brian Greene è come parlare con due persone: con il fisico delle stringhe abituato al rigore estremo delle formule e allo stesso tempo con il cosmologo che si inoltra in visioni difficilmente sopportabili per la logica comune. Il risultato è un’avventura estrema, alla «Star Trek», che lui vive quotidianamente tra la Columbia University e l’Institute for Strings, Cosmology, and Astroparticle Physics, e che per tutti gli altri è raccontata nel suo ultimo libro pubblicato da Einaudi, «La realtà nascosta», vincitore dell’11ª edizione del Premio Letterario Merck Serono. Il nostro Universo - quello che abbiamo imparato a conoscere come un organismo di oltre 14 miliardi di anni e ancora in piena espansione - potrebbe essere soltanto uno tra i tanti. Remoti oppure vicinissimi. E forse qualcuno popolato da copie di noi stessi, simili ma non del tutto identiche. Prospettive elettrizzanti e allo stesso tempo sconvolgenti.
Professore, lei è tra coloro che hanno frantumato il familiare termine «universo», sostituendolo con un elen­co di mondi paralleli, possi­bili, probabili o puramente teorici: dal multiverso pa­tchwork a quello inflaziona­rio, passando per uno a bra­ne fino al quantistico. E c’è perfino quello olografico. Ma qual è il cosmo che con­sidera più avvincente?
«Se penso alle possibilità di testarne l’esistenza, allora mi vengono in mente due universi: il multiverso inflazionario, che modifica la teoria del Big Bang, inserendo nei primi istanti un lampo di espansione enormemente veloce, e quello a brane, che, secondo la teoria delle stringhe, presenta dimensioni spaziali multiple. C’è una chance che il primo possa essere indagato attraverso la radiazione cosmica di fondo e una possibilità che il secondo possa essere studiato attraverso i dati raccolti dall’acceleratore di particelle Lhc, il Large hadron collider di Ginevra. E tuttavia queste opportunità di studio restano al momento davvero piccole».
In pratica come si svolgereb­bero le osservazioni?
«L’Lhc potrebbe svelare le extradimensioni dello spazio, che sono la chiave per supportare la teoria delle stringhe, mentre dai satelliti potremmo osservare le potenziali collisioni tra il nostro Universo e gli altri, misurando le variazioni di temperatura nello spazio profondo. In realtà, non sto parlando di programmi veri e propri, mirati specificamente a questi obiettivi, piuttosto di operazioni di raccolta di dati specifici da parte di piccoli gruppi di scienziati, interessati a simili problemi».
Lei sostiene che inoltrarsi nei multiversi significa anche af­ frontare un altro mistero fon­ damentale ­ quello della ma­ teria e dell’energia oscura ­ e forse addirittura risolverlo: in che senso?
«Quando si tenta di misurare l’energia oscura, si approda a valori piccolissimi, davvero minimi. E resta difficile spiegare la peculiarità di quel valore. Ma, invece di provare a dargli un significato a tutti i costi, la prospettiva del multiverso consente di ipotizzare tanti livelli differenti: come risultato, quindi, ci sarebbero tanti habitat fisici, compreso il nostro, il quale, essendo compatibile con la formazione delle stelle e delle galassie, si rivela anche favorevole alla vita come noi la conosciamo».
La molteplicità dei mondi ­ lei scrive nel suo saggio ­ poggia sulla convinzione che la ma­ tematica sia cucita nella tra­ ma della realtà e, secondo la prospettiva estrema, che l’in­ sieme dei numeri sia la realtà stessa. La sua è la massima ce­ lebrazione immaginabile del­ la matematica.
«Assolutamente. La matematica è un’ottima guida per ciò che non riusciamo a vedere. Si deve sempre stare attenti a ciò che svelano, ma, se maneggiate con giudizio, sono proprio le equazioni a raccontarci le caratteristiche nascoste della realtà».
C’è chi, all’idea che l’infinito sia tra noi, ha parlato di «orro­ re metafisico» o di «nausea ontologica»: è più facile cre­ dere agli Ufo che a universi che si contorcono in 10 di­ mensioni. Non pensa che non siamo preparati, intellettual­ mente e anche psicologica­ mente, a una prospettiva così destabilizzante?
«E’ una domanda complessa da porre in un contesto storico. Se prima era la Terra al centro del Sistema solare, poi abbiamo dovuto riconoscere che, invece, era il Sole. Successivamente abbiamo scoperto che il nostro Sole è soltanto una delle centinaia di miliardi di stelle dell’Universo, così come la nostra galassia è in realtà persa tra miliardi di altre. Adesso, con l’ipotesi dei multiversi, stiamo procedendo ancora oltre. L’Universo è, forse, appena un cosmo tra milioni di altri. Come si vede assistiamo a una sorta di progressione naturale, che da secoli ci sta allontanando via via dall’idea di un centro. È chiaro che adesso dobbiamo cominciare a valutare l’impatto di questa logica, a cominciare dagli aspetti psicologici. E provare ad adattarci a questa nuova realtà».