Claudio Gallo, La Stampa 17/7/2013, 17 luglio 2013
STEVE, L’UOMO CHE NON SA PENSARE UNA COSA ALLA VOLTA
Steve Riley, 38 anni, impiegato in una casa editrice inglese, era sempre stato un tipo strano. Ma quella volta la moglie non ce l’ha più fatta. Stavano parlando da due minuti di una cosa molto importante, il progetto di cambiare casa, quando Steve cominciò a seguire un altro pensiero. Annusò l’aria e disse: «Avrò mica pestato una cacca?». Rossa in volto, lei le urlò in faccia: «Possibile che non puoi concentrarti almeno per una volta?».
Il problema di Steve era proprio che non riusciva a fissarsi sui pensieri, era stato così fin da bambino. La sua mente era come una muta di cani che si disperde dietro troppe prede. La reazione della moglie lo lasciò choccato. La stravaganza cominciava a pesargli come una malattia. Andò al computer e scrisse dentro la finestrella di Google le caratteristiche del suo comportamento balzano. Come se il motore di ricerca lo conoscesse da sempre, uscirono una montagna di articoli legati da un’unica sigla: Adhd, ossia Sindrome da deficit di attenzione e iperattività.
La prima reazione fu di incredulità: non è possibile, è una cosa da bambini, si disse. Ma la lista dei sintomi era veramente il suo ritratto. Steve racconta che per lui è normale pensare a tante cose insieme, saltapicchiando involontariamente da un pensiero all’altro. «È come essere seduto davanti a una parete composta esclusivamente da televisori, ognuno sintonizzato su un canale diverso - ha detto all’Independent - poi di colpo sugli schermi appare la stessa trasmissione e io ne sono come risucchiato. Così, paradossalmente, non soltanto è difficile concentrarsi su una cosa soltanto, ma a volta è quasi impossibile spostare l’attenzione da un’immagine a un’altra. È questo, ho imparato, che porta alla distrazione, alla mancanza di concentrazione, alla difficoltà di cogliere il passare del tempo, di dare una gerarchia alle proprie azioni».
Prima svagato poi ossessionato: quando Steve scopre un regista o uno scrittore va avanti per settimane a leggere o a guardare tutto quello che trova su di lui, incapace di dedicarsi a qualsiasi altra cosa. Oppure si getta a sentire musica metallara a tutto volume o a guardare film dell’orrore pieni di esplosioni e urla.
Decise di parlarne con la moglie che è psicologa infantile. «Pensavo che mi dicesse: non farmi ridere». Invece lo incoraggiò a farsi visitare da un dottore, anche lei non ne poteva proprio più. Il medico della mutua era scettico, i bambini che hanno l’Adhd non riescono neppure a stare fermi sulla sedia. Comunque lo mandò da uno strizzacervelli. Lo psichiatra confermò che i sintomi in effetti erano quelli, comunque prese tempo.
Steve tornò alla vita di sempre che non era stata mai troppo facile. Aveva fallito una prima volta la maturità, ma poi l’aveva ritentata portando argomenti che gli piacevano (la predilezione per un argomento aiuta molto le vittime delle sindrome, e non soltanto) e aveva passato l’ostacolo. Aveva trovato lavoro in un ufficio pubblico, ma poi si era subito stufato. Così era tornato a scuola e aveva preso la laurea in Letteratura inglese. Adesso lavorava in una casa editrice ma era considerato l’impiegato più disorganizzato dell’universo.
Finalmente arrivò il verdetto: proprio Adhd, una malattia che sembra colpire un numero crescente di adulti. «Ecco la dimostrazione che non ero un fannullone», pensò con un grande senso di liberazione. Grazie anche ai fondi governativi per i malati della sindrome, cominciò a organizzare meglio la propria vita. La capacità di passare repentinamente a un punto di vista diverso è qualcosa che da sempre c’entra con la comicità: Steve prese a scrivere testi per il cabaret. «Se ci pensate, spesso le battute migliori nascono dalle connessioni più strane tra le cose».
Adesso dice che non cambierebbe più il suo cervello con uno più normale. «Il modo con cui la mia mente passa da un argomento all’altro mi fa fare degli incredibili salti creativi. In una discussione sono in grado di collegare al discorso attuale una cosa detta venti minuti prima».
Ma non è proprio come al cinema dove l’eroe introverso scopre di avere dei super poteri. Andrea Billow, direttore dell’ente caritativo Addis che si occupa della sindrome, spiega: «C’è un sacco di gente che pretende sia un dono. Ma è una lama a doppio taglio. Infatti la Adhd aumenta le possibilità di perdere il posto di lavoro, e persino di mettersi nei guai con la polizia, di usare droghe e finire in prigione. Dopo tutto è una disabilità riconosciuta. Purtroppo la diagnosi per gli adulti resta poco comune perché è costosa e difficile».
I casi come quello di Steve fanno riflettere su quanta poca libertà ci lascia la biochimica del nostro cervello.