Tonia Mastrobuoni, La Stampa 17/7/2013, 17 luglio 2013
I MERCATI ABBANDONANO LE AGENZIE DI RATING
Oltre un secolo fa, le agenzie di rating nacquero negli Stati Uniti come vedette fidate di chi aveva scommesso sulla costruzione della ferrovia che portava nel selvaggio Ovest, ma non poteva spostarsi per controllare di persona se i suoi soldi erano investiti bene. Nei decenni successivi i giudizi delle cosiddette “tre sorelle” che dominano tuttora il mercato, Standard&Poor’s, Fitch e Moody’s hanno acquisito una tale importanza da essere adottati non solo come bussole dagli investitori, ma anche come punti di riferimento statutari.
Ci si è affidati talmente alla loro presunta capacità di prevedere eventi, dai fallimenti delle società a quelli degli Stati, che i fondi, le assicurazioni o gli investitori istituzionali, obbligati a fare investimenti più prudenti di altri, scrivevano nei loro regolamenti che al di sotto di un certo giudizio delle agenzie di rating, avrebbero venduto. Così come si è adottato il rating delle “tre sorelle” anche come punto di riferimento per accordi internazionali importanti come quelli sui criteri di solidità delle banche messi a punto dal comitato di Basilea. Il fatto è che la crisi da subprime ha seriamente messo in discussione la credibilità dei loro rating. Che sembrano, da alcuni mesi a questa parte, aver perso la presa sui mercati, come dimostrano due clamorosi casi recenti come il declassamento di Francia e Italia, che sono passati sui listini internazionali come un venticello. Se la reputazione delle “tre sorelle” è stata compromessa, non è solo per gli esempi più eclatanti, come Lehman Brothers, che fu declassata fuori tempo massimo, cioè quando fallì il 15 settembre del 2008 e quasi fece collassare i mercati finanziari globali. O per casi ancora più drammatici come la Grecia, la cui traiettoria verso la catastrofe fu accelerata, come dimostra un saggio del Fmi, da downgrading arrivati, anch’essi, tardivi. Ma che fino a pochi mesi fa avevano ancora il potere di provocare sussulti notevoli, sui mercati. E sui rendimenti dei titoli a lungo e sul divario con quelli più sicuri come i Bund tedeschi, insomma sui famigerati spread.
La vera ragione che spiega l’indebolimento del “tocco magico” delle agenzie di rating è ben spiegata da Angelo Baglioni, economista dell’Università Cattolica di Milano: «Ormai fotografano la realtà, non la prevedono più. E gli investitori si sono abituati a quest’idea». In particolare per quanto riguarda i giudizi sui debiti sovrani, l’economista esperto di finanza sottolinea che «le informazioni fornite sui Paesi sono quelle che qualsiasi persona ha a disposizione. È sufficiente leggere le motivazioni del declassamento del debito sovrano dell’Italia, avvenuto di recente, per verificarlo. Nessuna novità, rispetto alle cose che tutti sappiamo». Tant’è vero che sono ormai le banche stesse a fornire analisi frequenti e dettagliate della situazione economica e finanziaria dei Paesi.
C’è una “linea del Piave”, però. Ed è il livello di rating sotto il quale i fondi o le assicurazioni sono ancora obbligate, per regolamento, a disfarsi dei titoli che diventano troppo a rischio. Tommaso Federici, responsabile gestioni della Banca Ifigest, rivela che proprio per sfiducia nei confronti delle “tre sorelle” il comitato di investimento della sua banca ha proposto al consiglio di amministrazione di togliere quella soglia, di eliminare il tetto minimo sotto il quale la banca sarebbe costretta a disfarsi di titoli. E l’Isvap, l’autorità di vigilanza delle assicurazioni, a gennaio lo ha già deciso per tutta la categoria. Insomma, il mercato si sta adeguando all’inaffidabilità delle “tre sorelle” anche modificando i propri regolamenti e statuti. Spiega Federici: «Le cose sono cambiate, soprattutto da quando Mario Draghi ha espresso la sollecitazione ad affidarsi di meno alle agenzie di rating, dopo gli errori commessi durante la crisi». L’analista è convinto che i mercati siano «assolutamente in grado di orientarsi da soli nel mercato». Bussole, addio.