Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 17 Mercoledì calendario

PROCACCINI: DISSI AL MINISTRO SOLO DEL BLITZ

Ha deciso due giorni fa, a tarda sera. Una scelta difficile quella di Giuseppe Procaccini, prefetto di lungo corso, arrivato ai vertici del Viminale nel 2008, quando Roberto Maroni lo scelse come capo di gabinetto, incarico poi confermatogli da Annamaria Cancellieri e, per ultimo, da Angelino Alfano. A 64 anni quest’uomo napoletano dai modi discreti, in corsa fino a un paio di mesi fa per diventare capo della polizia al posto dello scomparso Antonio Manganelli, lunedì sera ha messo nero su bianco le sue dimissioni e ha consegnato la lettera ad Alfano. In quello stesso momento il nuovo capo della Polizia Alessandro Pansa concludeva la sua relazione sulla ’’mancata informativa al governo’’ riguardo lo spinoso caso Ablyazov.
Procaccini racconta al Messaggero di aver deciso da solo, e di averlo fatto «per restituire la fiducia nelle istituzioni che forse in questi giorni rischiava di perdersi».
Signor Prefetto, perché questa decisione?
«Ho maturato l’idea solo ed esclusivamente sulla forte tensione di queste ore, senza che nessuno me lo chiedesse. Ho la coscienza a posto e so che nelle ore dell’operazione di polizia per la cattura di Mukhtar Ablyazov non è stato fatto nulla di non istituzionale e corretto».
Ci racconta com’è andata quel giorno?
«Ho grande fiducia nella relazione del prefetto Pansa che chiarirà tutti gli aspetti di questa vicenda. Il mio ruolo è stato marginale. Molto semplicemente il 28 maggio, a tarda sera per la verità, l’ambasciatore kazako mi ha chiesto un appuntamento e l’ho ricevuto nel mio studio. Il ministro a quell’ora non era in sede e dunque non è vero che l’ambasciatore l’abbia incontrato. Sapevo che c’era stato già un contatto con la questura e davanti alla richiesta di arrestare un pericoloso criminale ho deciso di attivarmi e di sollecitare l’operazione di polizia che infatti è stata eseguita quella notte stessa. Ora tutti protestano, ma a quel che ne sapevamo si stava dando la caccia ad un pericoloso latitante. Che cosa si sarebbe detto se ci fosse stato un terrorista e fossimo stati fermi a guardare?».
Ha informato il ministro Alfano?
«Nei giorni successivi gli ho accennato brevemente che era stato dato seguito ad un’operazione di cattura di un pericoloso latitante kazako, ma senza entrare nei dettagli».
E poi cosa è successo? Lei sapeva dell’espulsione della moglie di Ablyazov, Alma Shalabayeva?
«Dal momento dell’avvio dell’operazione non c’è stata più alcuna attività da parte mia. Le garantisco, anche a scanso di equivoci e di ulteriori dubbi, che io da quel momento in poi dell’operazione Ablyazov non ho saputo più nulla».
Perché allora ha deciso di dimettersi?
«Il mio è stato un gesto di serietà, un gesto assolutamente gratuito. Io sono a posto con la mia coscienza ma non voglio che la responsabilità di quanto accaduto ricada su altri. Noi funzionari di polizia siamo gente che ha dedicato anni al sacrificio per lo Stato, passando ore al lavoro, notti insonni, a discapito della vita personale. Non voglio che tutto quello che facciamo di colpo diventi opinabile, che sia gravato da sospetti e ombre. Qualcuno mi ha anche detto che le dimissioni sarebbero state lette come un ammissione di colpa. Non mi importa. Credo sia più importante difendere le istituzioni».
Crede che il ministro Alfano avrebbe dovuto difendervi? Assumersi maggiori responsabilità personali?
«Il ministro nei miei confronti è stato anche affettuoso. L’altra sera gli ho comunicato la mia decisione senza aggiungere altro, se non che il mio era un gesto gratuito. E lui ha capito. Nella mia vita personale questo non è stato il dolore peggiore, glielo assicuro. Credo di poter essere lieto e soddisfatto della carriera che ho avuto, che avrei voluto chiudere senza nessuna ombra e mi spiace solo che questo non sia stato possibile. Nel corso degli anni ho avuto molte soddisfazioni, ho salvato aziende importanti, posti di lavoro».
Come avrebbe dovuto concludersi questa vicenda secondo lei?
«A mio avviso, non bisogna perdere la speranza nello Stato. Avrei preferito che in questi giorni si cercassero gli spazi per far rientrare in Italia la donna kazaka e la figlia, anche al di là delle loro responsabilità penali. Per ciò che è possibile ora bisognerebbe lavorare tutti insieme per tutelare queste due donne. Ma non mi pare che ci sia il clima di fiducia necessario. Forse il mio gesto aiuterà a rasserenare gli animi».