Daniele Abbiati, il Giornale 16/7/2013, 16 luglio 2013
MA CHE SORPRESA IL TEMPO E’ PIU’ VECCHIO DEL PREVISTO
Il Tempo non fa che invecchiare. Del resto come potrebbe, proprio lui, sottrarsi alla sua legge che tutto governa? Soltanto che nel suo caso «invecchiare» significa «ringiovanire». Funziona un po’ come in Il curioso caso di Benjamin Button. Ricordate il racconto di Francis Scott Fitzgerald del 1922 e il recente film di David Fincher con Brad Pitt? Quel neonato con l’aspetto di un novantenne, con il passare del Tempo riacquista vigore e bellezza. Un espediente narrativo affascinante, in cui l’umanesimo sposava la fantascienza.
Ecco, la parabola (che in effetti sembra quasi una favola) del Tempo è la stessa. I secondi e i millenni si accumulano e ci portano le prove tangibili del fatto che quel magico concetto su cui si sono arrovellati i filosofi è proprio un eterno bebè, nel senso che risale agli albori della civiltà, e addirittura ne certifica il punto di non ritorno alla barbarie. Risale a quando gli uomini abbandonarono la loro solitudine selvaggia di bestioni poco raccomandabili per mettersi insieme a fare squadra e a creare famiglie stabili, e villaggi, e linguaggi, ed espressioni artistiche. Cioè a creare... il ricordo del Tempo passato e l’aspettativa del Tempo futuro. Poi, molti secoli dopo, vennero Henri Bergson e il suo corrispettivo letterario Marcel Proust a spiegare che una cosa è il Tempo, un’altra la sua durata, vale a dire la percezione del Tempo stesso.
E adesso le lancette dell’orologio ruotano a ritroso a velocità supersonica perché apprendiamo che la culla del Tempo non fu la Mesopotamia di cinquemila anni fa. Il Tempo non lascia, raddoppia o quasi, e risale all’età della pietra, a circa ottomila anni fa. Lo affermano gli archeologi dell’Università di Birmingham i quali hanno scoperto che la cosiddetta «Stonehenge scozzese», nell’Aberdeenshire, una struttura formata da grosse pietre o pilastri infilati in alcune buche nel terreno, non era un tempio, o un mercato, o, magari un lascito di popolazioni aliene, bensì uno strumento per misurare il passaggio delle stagioni e le fasi lunari. Insomma, un colossale calendario annuale, un orologio a cielo aperto. Il sito di Warren Field sarebbe quindi il primo vagito udibile del neonato Tempo. Secondo gli studiosi gli uomini di Warren Field, cacciatori e raccoglitori, in quanto l’agricoltura era di là da venire, avevano raggiunto un livello molto avanzato, impensabile sino a oggi per quell’epoca. «Il monumento anticipa i problemi associati ai semplici calendari lunari fornendo una correzione astronomica annuale al fine di mantenere un legame fra il passaggio del tempo, indicato dalla luna, l’anno solare e le stagioni associate», ha detto Vincent Gaffney, capo dell’équipe.
Ma a che cosa serviva, concretamente, quella clessidra senza sabbia, quel diario senza parole, quell’omaggio all’immateriale divinità cui tutti obbediamo? Si ritiene che permettesse di prepararsi al cambiamentodelle stagioni e quindi di adattarsi ai mutamenti climatici, variando di concerto i regimi alimentari. Non a caso quella zona della Scozia era molto più abitata delle altre, con segni evidenti di una serie di attività legate alla caccia e alla pesca. Anche prima che nascesse il denaro, il Tempo era già denaro... Così fra le brume scozzesi si anticiparono non soltanto gli ingegnosissimi Egizi e il loro Shamash, il dio del Sole, non soltanto la stupefacente «macchina di Anticitera», il più antico calcolatore meccanico del sorgere del sole, delle fasi lunari e dei movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, ma anche le meridiane messe a punto in Mesopotamia.
Inoltre, i laboriosi e pragmatici scozzesi di ottomila anni fa seppero restare con i piedi ben piantati per terra, non si fecero prendere dai furori millenaristici e dalle pericolose fughe in avanti. Diversamente dai Maya che tanto ci tennero in apprensione l’anno scorso fino al 21 dicembre, data gettonatissima, in base ai loro calcoli, per la fine del mondo. Al contrario, con quattro sassi infilati nei loro verdi possedimenti al posto giusto, loro in qualche modo hanno tenuto a battesimo l’inizio del mondo. Di quella lunga avventura che, grazie a loro, possiamo misurare accelerando o ingranando la retromarcia. E pazienza se gli inglesi, di fronte al primato dei loro odiati cugini, masticheranno amaro. Avranno anche loro Tempo per assorbire il colpo.