Cesare Peruzzi, Il Sole 24 Ore 16/7/2013, 16 luglio 2013
MPS, LA FONDAZIONE DICE ADDIO AL TETTO DEL 4%
La "normalizzazione" di Banca Mps è arrivata alle battute finali. Imposto dagli eventi, economici e giudiziari, il percorso imboccato dal gruppo senese (fino a un paio d’anni fa neppure ipotizzabile) giovedì 18 luglio segnerà una tappa fondamentale, quando l’assemblea straordinaria approverà l’abolizione dell’articolo 9, comma 1, dello statuto, quello che limita al 4% il diritto di voto degli azionisti diversi dalla Fondazione Mps.
Il fatto straordinario è che proprio l’Ente presieduto da Gabriello Mancini ha deciso ieri (con 5 voti favorevoli, un astenuto e un assente) di appoggiare la proposta del consiglio d’amministrazione della banca. Un sostanziale via libera in questa direzione era già arrivato venerdì scorso dal consiglio comunale. Siena cede pezzi di sovranità e abbandona il fortino dentro cui ha tenuto il Monte, cresciuto troppo o forse troppo in fretta per non risentire negativamente dei vincoli imposti da un azionista (la Fondazione appunto) che nel 2008, al momento dell’acquisto di Antonveneta, controllava quasi il 60% del capitale.
Banca grande, città piccola. Con questa definizione c’è chi spiega, sotto il profilo della filosofia di mercato, i guasti degli ultimi anni. Ma, per quanto coraggiosa, quella della Fondazione è stata anche una scelta obbligata: la chiedeva il Governo italiano, che s’è impegnato in tal senso nei confronti della Commissione europea per avere l’ok alla sottoscrizione dei 4 miliardi di Monti bond emessi da Rocca Salimbeni (teoricamente restituibili in azioni Mps, così come il pagamento degli interessi); senza più il vincolo di voto, inoltre, la Fondazione potrà collocare meglio sul mercato quel pacchetto di titoli Montepaschi (tra il 10 e il 15%) per fare cassa e chiudere l’esposizione finanziaria (350 milioni) nei confronti del sistema bancario.
«La Fondazione Mps, nel decidere di votare a favore della soppressione dell’articolo 9 comma 1 ha valutato le ricadute potenzialmente favorevoli all’ingresso di nuovi investitori nella banca, in linea con gli auspici formulati anche dall’Autorità di vigilanza», spiega una nota dell’Ente di Palazzo Sansedoni.
«In questa prospettiva, la Fondazione manifesta il proprio orientamento a consultare la banca, nel rispetto delle reciproche autonomia, e fermo il principio di non ingerenza nelle scelte imprenditoriali, in vista di un’auspicabile ottimizzazione delle rispettive politiche di approccio al mercato, fermo restando, per la Fondazione, l’obiettivo primario di tutela del patrimonio», dice ancora il comunicato. Che prosegue: «La Fondazione dichiara inoltre la propria disponibilità, alla luce dell’importante svolta impressa alla logica partecipativa del capitale nella banca, a farsi carico di un approfondimento sugli eventuali ulteriori sviluppi dell’impianto statutario che, anche a seguito dell’abolizione del vincolo partecipativo, potrebbero essere prospettati ai competenti organi della banca, nel rispetto delle prerogative della Vigilanza».
In altre parole, cancellato il tetto al possesso azionario, e soprattutto al diritto di voto, il gruppo di Rocca Salimbeni potrebbe anche valutare in futuro formule nuove per rassicurare il territorio, che sta vivendo in maniera traumatica questo passaggio. L’assemblea di dopodomani sarà certamente infuocata, ma sull’esito non ci sono dubbi e il messaggio che la Fondazione lancia alla banca presieduta da Alessandro Profumo è sostanzialmente questo: ridisegnamo insieme la governance del Monte. Una posizione che conferma in modo netto la condivisione del percorso, già dimostrata in più occasioni nell’ultimo anno.
La Fondazione, il cui statuto rinnovato ha avuto l’apprezzamento di Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri («È rispettoso della legge Ciampi», ha detto ieri), punterà a fare cassa nei prossimi mesi, prima che la banca guidata dall’amministratore delegato Fabrizio Viola lanci l’aumento di capitale da un miliardo (senza diritto d’opzione) già votato, affidato in delega al cda e previsto nel 2014. A quel punto l’assetto azionario risulterà largamente ridisegnato. E nessuno potrà più parlare di "anomalia senese" per la terza banca del Paese.