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 2013  luglio 15 Lunedì calendario

È LA PASTA CHE FA L’ITALIA


C’ è una novità, riguarda la pasta. Sulle buste che racchiudono diversi tipi di paste di semola di grano, prodotta da una nota azienda abruzzese, da qualche tempo è stampigliata una doppia indicazione: cottura e al dente. Finalmente le due scuole trovano la loro certificazione: chi ama la pasta ben cotta (11 minuti) e chi invece la preferisce al dente (9 minuti). Due minuti di differenza separano le pentole del Nord dalle pentole del Sud. Più ci si sposta verso il Meridione, valicando l’Appennino o seguendo la direttrice adriatica, più i tempi di cottura s’accorciano. La pasta, inoltre, di questi tempi è tornata di moda: costa meno della carne. Del resto questo tipico piatto italiano è il risultato di un’altra crisi, ben tre secoli fa.

Emilio Sereni in Terra nuova e buoi rossi (Einaudi) racconta come nel Seicento a Napoli prevalesse la dieta a base di carne accompagnata dalla «foglia», ovvero i cavoli e insalate, per cuij i napoletani erano detti «cacafoglie», o più spesso «mangiafoglie». A metà del Seicento crollano i consumi di carne e i cereali la sostituiscono. In quell’epoca poi è introdotto il torchio meccanico che consente la produzione di maccheroni e altri tipi di paste. Una crisi nella Napoli di Masaniello porta i ceti popolari a passare alla dieta di pasta con il complemento del cacio, che eleva il valore proteico dei piatti. Franco La Cecla, in un bel libro, La pizza e la pasta (il Mulino), spiega come la diffusione delle paste al Nord sia un effetto dei Mille. Sono stati i garibaldini a far scoprire al resto dello Stivale questo piatto.

I bergamaschi, accorsi numerosi nelle file del Generale scoprirono che c’era qualcosa d’altro oltre alle minestre preparate col riso tipiche delle loro zone. Piero Camporesi, gran studioso di alimentazione, ha raccontato anni fa come prima del 1830 la pasta non fosse al pomodoro, un vegetale guardato a lungo con diffidenza. Pellegrino Artusi, il Manzoni della cucina italiana, ha sdoganato il pomodoro meridionale e l’ha introdotto nella cucina aulica dei notabili e aristocratici del Nord. L’Unità d’Italia porta con sé maccheroni e sugo al pomodoro, decretando così il successo della cucina popolana meridionale, chiassosa, scrive La Cecla, e più radicata nella vita quotidiana della gente. Restava la differenza sui tempi di cottura: al dente o ben cotta? Ora, in omaggio al multiculturalismo, la doppia possibilità sta scritto sul sacchetto. Fatta l’Italia, facciamo gli italiani.