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 2013  luglio 15 Lunedì calendario

LA FINANZA AIUTI DI PIÙ I GIOVANI A FARE IMPRESA


[Mario Carraro]

Per i giovani «lavorare è importante. Qualsiasi attività va bene per iniziare, ma servono un’idea e un indirizzo». Mario Carraro è un imprenditore d’altri tempi capace di leggere la contemporaneità con una lucida visione del futuro. Classe 1929, ha fondato l’omonimo gruppo con sede a Campodarsego (Padova), quotato in Borsa e specializzato in sistemi di trasmissione ed elettronica di potenza. «Io ho vissuto il dopoguerra e il miracolo italiano è nato dalla consapevolezza di dover fare qualcosa di nuovo – esordisce –. Al tempo non avevamo un sistema industriale e l’abbiamo inventato. Bisogna ritornare a quello spirito di grandezza».

Un messaggio per i giovani e il loro futuro, con una specifica: «La generazione nuova deve partire e dobbiamo fidarci. Ma servono competenze e ambienti che alimentino la voglia di inventare. Tutto il nuovo che si è creato negli Stati Uniti è nato in un Campus, come Facebook: due-tre ragazzi si parlano, pensano in grande e combinano qualcosa».

È possibile anche in Italia?

«Sì, ma l’Italia adesso ha bisogno di reazioni forti, di leader più innovativi che diano segni profondi e radicali perché solo così scuotiamo il Paese. Non è discutendo che si risolve la crisi. Bisogna fare».

A chi si riferisce?

«Credo che se Confindustria si rinnovasse darebbe un segnale importante».

In che modo?

«Nel nome, prima di tutto. Dovrebbe chiamarsi Confimpresa perché non sono più industrie le nostre. L’industria è nata dal manifatturiero che oggi non è protetto né forte. Invito tutti a osservare il modello tedesco: singole associazioni industriali autonome e federate. Lì ognuno rappresenta davvero un settore e non la sua azienda. Un cambio di questo tipo porterebbe a una rivoluzione a cui non si potrebbe sottrarre nessuno, dalle Camere di commercio al sindacato».

Ottimista o pessimista sull’uscita dalla crisi?

«E’ la prima volta dopo anni che sono pessimista. Stiamo perdendo Pil e anche competizione. La Germania si è ripresa dopo il 2009. Noi, invece, abbiamo allargato il gap dai 12-15 punti con loro che continuano a investire, a costi del denaro inferiore. Penso che non si stia lavorando sufficientemente per far riprendere il sistema, né innovando in maniera profonda».

Come si fa innovazione profonda?

«Non certo con prodotti buoni ma di media complessità. Se vogliamo avere un ruolo nell’economia globale, serve alta tecnologia e fabbriche che inseriscano elementi di conoscenza e capacità evolutiva».

La soluzione?

«Dobbiamo cambiare in maniera rivoluzionaria non riprendendo il prodotto che facevamo nel 2009, perché è invecchiato. In Carraro, raccomando sempre ai miei, da qui al 2020, di abbandonare gli assali che sono stati i modelli simbolo del nostro cambiamento negli Anni 70. Ora non hanno più mercato».

Cosa c’è alla base di ogni cambiamento?

«Capacità di reddito e investimenti in innovazione»

Crede in questo pullulare di start-up per creare nuova imprenditoria?

«Se ne parla molto, ma non possiamo immaginare giovani in Italia che intraprendono senza un sistema finanziario di supporto. Il venture capital concepito dagli Usa è fatto in modo tale che su 10 iniziative 7 spesso vanno male ma con le restanti tre ci si ripaga di tutto. Questo significa che noi dobbiamo, prima di tutto, modificare il nostro sistema di fallimento».

Cosa pensa del piano del governo contro la disoccupazione giovanile?

«Tutto quello che si fa è buono. Ma bisogna dare il quadro di difficoltà e sacrifici in uno scenario lungo che faccia capire di che grado è la trasformazione che dobbiamo vivere».

Un modello?

«La Germania sta assumendo da tutto il mondo persone con qualifiche molto elevate. Il loro ministro del Lavoro ha calcolato che nei prossimi 15 anni perderà 6 milioni di lavoratori causa invecchiamento. Anche per noi il tema della demografia va affrontato. Anche se la Germania è ormai irraggiungibile».

Perché l’impresa in Italia procede zavorrata?

«Perché fuori ci sono dinamiche qui non proponibili. Caterpillar ha fatto investimenti ingenti in Arizona con grandi contributi: i lavoratori che lavoravano a 42,50 dollari l’ora oggi in Arizona lo fanno per 12. Se aprissi ora una fabbrica a Padova potrei farlo solo assumendo persone a condizioni diverse da quelli attuali».

Rapporti e ruolo dei sindacati?

«Ho sempre avuto rapporti perfetti col sindacato e stiamo cercando di investire in Italia per non perdere le radici. Ma questo significa spendere di più e dare flessibilità al lavoro. Abbiamo una fabbrica in Germania con 120 persone dove il costo del lavoro è del 50% superiore a qui, ma funziona perché ha produzioni dove la competenza è alta dal primo all’ultimo operaio. E’ in questa direzione che si deve andare».