VARIE 16/7/2013, 16 luglio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SUL CASO DEL KAZAKO
ROMA - Giuseppe Procaccini, il capo gabinetto del ministro dell’Interno Angelino Alfano, si è dimesso. La decisione è arrivata ieri sera, dopo le polemiche che hanno investito il ruolo avuto da lui nella gestione del caso Shalabayeva. Procaccini, che avrebbe presentato una lettera al ministro in cui spiega i motivi per cui lascia l’incarico, è dunque il primo a fare un passo indietro in seguito alla vicenda, ma nonostante questo l’ex capo di gabinetto continua a difendere il vicepremier assicurando che il ministro "non sapeva" dell’accaduto. Angelino Alfano alle 18 riferirà sulla vicenda al Senato e alle 20 alla Camera.
Il ruolo di Procaccini. Il prefetto Procaccini, su indicazione di Alfano - secondo quanto è emerso finora - incontrò il 28 maggio scorso al Viminale l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov e il suo primo consigliere. Al centro della riunione Muktar Ablyazov, dissidente kazako oppositore del regime, già capo di un’importante banca kazaka, accusato di truffa e ricercato dal Kazakistan e anche da Mosca, come risulta dalla sua scheda inserita nel sito dell’Interpol. Muktar Ablyazov - dissero i diplomatici - era a Casal Palocco. Procaccini spiegò ai kazaki che la competenza era della polizia e li inviò al Dipartimento della pubblica sicurezza, da dove la segnalazione dei diplomatici fu girata alla Questura di Roma. Seguirono il blitz nella villa di Casal Palocco e la successiva espulsione, poi revocata, di Alma Shalabayeva.
Epifani: "Se vero, perché Alfano non sapeva?". Le dimissioni del capo gabinetto del Viminale Giuseppe Procaccini sono "un fatto non usuale", è stato il commento del lader del Pd, Guglielmo Epifani, ospite di Repubblica.it: "Non ricordo uno con un ruolo così importante dimissionario". Epifani, che ha insistito sulla necessità di fare chiarezza sulla vicenda, ha però sottolineato che bisogna anche capire i motivi per i quali Alfano sarebbe stato tenuto all’oscuro. Poi, però, ha detto che, nel caso risultasse che era al corrente, "va da sé che debba dimettersi". Eventuali dimissioni di Alfano potrebbero causare una crisi di governo.
Il rapporto di Pansa. Era un passaggio atteso da giorni la consegna, da parte del capo della polizia Alessandro Pansa, di un rapporto sul caso Ablyazov: sull’espulsione in tutta fretta dall’Italia di moglie e figlia del dissidente kazako. La relazione è arrivata in mattinata al Viminale. Il capo della polizia, Alessandro Pansa, poi verrà audito in commissione diritti umani in Senato, dopo l’informativa del governo. Lo ha annunciato il senatore del Pd, Luigi Manconi. Intanto la Farnesina "valuterà i termini delle iniziative da assumere presso le aurotità kazake", in particolare per capire "come l’ambasciatore abbia potuto accedere agli uffici del Viminale. Sicuramente non si è rivolto a noi", ha detto il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli in Commissione Esteri della Camera.
Franceschini: "Relazione letta in Aula da Alfano". ’’Su questa vicenda nell’interesse di tutti serve la massima trasparenza per questo il governo ha chiesto che la relazione del capo della polizia fosse resa pubblica dal ministro dell’Interno", ha detto il ministro Dario Franceschini a margine della capigruppo del Senato, annunciando che il governo ha chiesto che la relazione del capo della polizia fosse resa pubblica dal ministro dell’interno direttamente in parlamento: "la relazione del Capo della polizia sarà resa pubblica" attraverso l’informativa che il ministro Alfano renderà al Senato alle 18.
Legale di Shalabayeva: "C’erano elementi per sapere". "In questa vicenda c’è stata una violazione evidente dei diritti umani e non mi pare neppure del tutto esatto quel che si dice nel decreto di revoca dell’espulsione, cioè che non si sapessero certe cose: chi operava aveva gli elementi per sapere chi fosse Alma Shalabayeva". Lo dichiara l’avvocato Riccardo Olivo, legale della donna espulsa in Kazakistan, che oggi sarà in audizione dalla Commissione diritti umani del Senato. Il legale spiega inoltre che l’audizione, seguito di una precedente convocazione da parte della Commissione, è stata indetta "su richiesta di alcuni componenti della Commissione stessa e in particolare esponenti del Pdl, che nel precedente incontro non hanno potuto fare tutte le domande che ritenevano necessarie e hanno chiesto una nuova convocazione per approfondimenti e ulteriori quesiti".
Chi pagherà. A farne le spese potrebbero essere proprio i vertici del dipartimento di Pubblica sicurezza, del Viminale, forse anche della questura di Roma. La linea del vicepremier, che insiste nel negare ogni responsabilità, è di sacrificare un’intera linea di comando. Oltre a Procaccini, rischiano il segretario del dipartimento di sicurezza, Alessandro Valeri e il capo della polizia pro tempore, Alessandro Marangoni. Ieri Pansa ha convocato nel suo ufficio i protagonisti di questa storia. Il dossier servirà a chiarire i dettagli tecnici di una storia peraltro già ampiamente conosciuta. Ma i nodi politici restano tutti. E infatti alla politica, cioè al ministro, spetterà decidere chi "sacrificare" tra i dirigenti.
La mozione di sfiducia. Il governo aveva previsto di riferire sulla spinosissima vicenda in commissione Esteri, sulla base della relazione di Pansa. Ma il piano viene vanificato dall’arrivo della mozione di sfiducia congiunta di M5s e Sel. Il dibattito sarà dunque sulle dimissioni di Alfano.
La mozione sarà discussa e votata dall’assemblea del Senato venerdì 19
luglio a partire dalle 8,30. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama, secondo quanto riferito dalla capogruppo Sel, Lorendana De Petris al termine della riunione. La chiama per il voto iniziera’ dalle 12,30. E per il ministro i rischi sono molti. Soprattutto se dovesse passare la richiesta di un voto segreto. Nel Pdl tutti, falchi e colombe, nelle ultime ore si sono ufficialmente schierati a tutela del segretario Pdl. Ma resta da capire cosa accadrà nelle urne. Visti soprattutto i tanti mal di pancia nell’area Pd. Soprattutto nell’area renziana. E i parlamentari socialisti, secondo indiscrezioni, sono orientati a votare la sfiducia ad Alfano sostenendo, quindi, la mozione Sel-M5s. "Sulla vicenda Ablyazov è giusto fare luce. Ma vanno ricordati due fatti fondamentali. Il primo è che sul ’dissidente’ kazako pendono una serie di mandati di cattura emessi dall’Interpol. Il secondo è che la magistratura italiana con più atti ha avallato l’operato della nostra polizia. Niente speculazioni politiche, quindi. Chiarimenti sono necessari, ma gli attacchi al ministro Alfano sono assolutamente ingiustificati", è la posizione di Maurizio Gasparri, vice presidente del Senato (Pdl). "Alfano resterà al suo posto? Penso proprio di sì. Anche perché normalmente le mozioni di sfiducia individuali hanno un effetto perverso, rafforzano i governi, rafforzano i ministri contro cui sono rivolte e indeboliscono chi le fa, in questo caso Sel di Vendola e i grillini", ha detto Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera dei deputati, intervenendo a "Radio Anch’io", su Radio Uno.
Maroni: "Ministro coinvolto". ’’Non faccio valutazioni, dico solo da ex ministro dell’Interno che casi del genere erano gestiti dalla struttura con il coinvolgimento di tutti, anche ovviamente del ministro’’. Il segretario della Lega, Roberto Maroni, ha risposto così a chi gli chiedeva se ritenga che il ministro Alfano debba dimettersi per la gestione del caso Ablyazov.
Le congratulazioni kazake. A rendere complessa la situazione di Alfano c’è un ulteriore dettaglio, emerso in queste ore. Il 31 maggio, il giorno dopo l’espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia, l’ambasciata kazaka mandò un fax all’ufficio immigrazione per congratularsi per il successo e la rapidità dell’espulsione. Possibile che anche questo documento sia rimasto sconosciuto al ministro e al suo gabinetto? Ricordiamo che fu proprio Alfano, il 28 maggio al Viminale, a chiedere al suo capo di gabinetto di ricevere l’ambasciatore kazako e il suo primo consigliere per ascoltare le loro richieste. Ma - dice il responsabile del Viminale - lui non seppe più nulla di quella pratica.
Osservatorio diritti dei minori: "Grave violazione". L’osservatorio sui diritti dei minori interviene sul caso shalabayeva con una nota del vicepresidente, Antonino Napoli, nella quale si evidenzia come "lo Stato italiano abbia dimostrato che le leggi e le convenzioni sui minori sono solo carta scritta".
MANCONI SU REPUBBLICA.IT
ROMA - Secondo Amnesty International, l’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia di sei anni, Alua, ha rappresentato ’’un atto contrario al diritto internazionale, peraltro con procedura sommaria e persino sconosciuta alle nostre autorità politiche’’. La questione è che moglie e figlia di un oppositore politico del despota kazako Nazarbayev sono state espulse dall’Italia, con un provvedimento sul quale dovrà essere fatta chiarezza, verso un Paese che non da alcuna garanzia dal punto di vista della tutela dei diritti umani. Un paese dove - a detta della gran parte degli organismi internazionali - viene praticata costantemente la tortura, e dal quale il marito della donna espulsa, Mukhtar Ablyazov, era fuggito, riparando all’estero.
Un fatto oscuro, repentino, scandaloso. Ma è l’evento che ha condotto alla procedura di espulsione a risultare ancora più incredibilmente oscuro, repentino, e, per queste ed altre ragioni, scandaloso. Secondo le dichiarazioni rese alla stampa estera (Financial Times), la notte tra il 28 e il 29 maggio, Alma Shalabayeva dormiva in una villa a Casal Palocco, con sua figlia: quando, all’improvviso, fu svegliata da un forte rumore. Molti uomini picchiavano contro le finestre e alla porta. In 35 o più sono entrati in casa, ma nessuno, al momento dell’irruzione, ha capito chi fossero (non Alma né la sorella o il cognato, anch’essi nella villa). "Erano vestiti di nero. Alcuni di loro avevano catene d’oro al collo, molti avevano la barba", ha dichiarato la Shalabayeva. Cercavano Mukhtar Ablyazov, marito della Shalabayeva, miliardario kazako, accusato di numerosi reati comuni e oppositore di Nazarbayev. Ma lui non c’era e gli uomini ordinarono a madre e figlia di vestirsi e di venire via.
Le fasi prima del rimpatrio. Seguirono, a stretto giro, il trasferimento prima in una stazione di polizia poi all’Ufficio Immigrazione, quindi al Cie di Ponte Galeria. Infine all’aeroporto di Ciampino dove madre e figlia vennero imbarcate su un jet privato diretto ad Astana, capitale del Kazakhstan. Questi i fatti in estrema sintesi.
La prima svolta arriva con la sentenza del tribunale del Riesame del 25 giugno. Nell’ordinanza i giudici affermano che l’espulsione di Alma Shalabayeva si basava su un assunto che si sarebbe rivelato falso: ovvero che la signora fosse in possesso di un passaporto diplomatico contraffatto, rilasciato dalla Repubblica Centrafricana. Il Tribunale non è di questo parere: oltretutto, la Shalabayeva sarebbe in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato dalla Lettonia, paese di area Schengen, valido fino a ottobre.
Tutto quello che c’è ancora da definire. Questi i fatti ignorati dalle autorità italiane di Polizia: ed è quanto ha indotto il Consiglio dei ministri, venerdì scorso, ad annunciare la revoca del decreto di espulsione. Quella revoca, temiamo, sarà puramente virtuale. Difficile, molto difficile che si tradurrà nell’elementare atto di giustizia di consentire ad Alma Shalabayeva e a sua figlia di tornare in Italia, o in un paese più ospitale del nostro, godendo di una effettiva protezione internazionale. Ma, allo stato attuale delle cose, molte altre questioni restano da definire. Al di là delle responsabilità politiche dei Ministri coinvolti, e dell’accertamento puntuale del livello di conoscenza diretta da parte degli stessi dei fatti accaduti, resta cruciale un interrogativo: i funzionari che hanno agito, ottemperando incredibilmente alle disposizioni ricevute dall’ambasciatore kazako, erano a conoscenza della doppia identità di Mukhtar Ablyazov? Ovvero del fatto che si trattava, si, di un latitante ricercato dall’Interpol, ma anche del principale oppositore politico di un dittatore?
La malinconica sensazione. Infine, è impossibile sottrarsi ad una malinconica sensazione: Alma Shalabayeva e sua figlia hanno subito una sorte terribile, che le espone tuttora a rischi e pericoli, ma la loro vicenda non è così rara e anomala. Tutt’altro. Ogni mese, dai Centri di identificazione ed espulsione italiani, decine e decine di persone anonime, spesso senza avvocati e senza alcuna risorsa, senza alcuna tutela e alcuna relazione, vengono caricate su aerei ("vettori") e riportati in patria. In una patria da cui sono fuggiti perché perseguitati o incarcerati, minacciati o discriminati o perché, semplicemente, disperati. Centinaia e centinaia di persone che, talvolta, hanno la possibilità di esporre le proprie ragioni e di argomentare la richiesta di protezione, ma altrettante volte non sono in grado di comunicare, farsi ascoltare, chiedere soccorso. La vicenda di Ama e Alua mostra in filigrana - e attraverso una luce spietata - una moltitudine di espulsi senza nome e senza causa.
* Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato
ANDREA GRECO SU REPUBBLICA.IT - I RAPPORTI TRA ITALIA E KAZAKISTAN
MILANO — Italia e Kazakistan. Non proprio “una faccia, una razza”, ma due Stati con grandi relazioni politiche, commerciali e strategiche. Il Belpaese è da vent’anni partner privilegiato del rampante Kazakistan, specie da quando all’italiana Eni fu affidata la regia dello sviluppo del più grande giacimento di idrocarburi scoperto da un trentennio: Kashagan una bolla di materia prima grande quanto la Lombardia sotto il Mar Caspio.
Un cantiere da 150 miliardi di dollari, tra i più complessi al mondo, dove il Cane a sei zampe ha imparato — anche con ammaccature — a rivaleggiare con le grandi major mondiali. Gli scambi commerciali tra i due paesi sfioravano il miliardo nel 2012 e fanno dell’Italia il 2° partner europeo kazako, 6° al mondo.
La tendenza si è quintuplicata in dieci anni: al seguito dei pionieri Eni si sono accodate una cinquantina di medie imprese dell’indotto oil & gas e infrastrutturale, come Salini-Todini, Impregilo, Italcementi, Renco. O Unicredit, che poco prima della crisi andò a cercare fortuna rilevando Atf, quinta banca kazaka ceduta a maggio con perdita di gran parte degli 1,5 miliardi spesi.
Tuttavia è difficile spiegare quel che è capitato il 31 maggio ad Alma Shalabayeva con le cifre, o una ragion di Stato che molto consente. Per esempio la Gran Bretagna che dal 2011 offre asilo politico al dissidente-oligarca Mukhtar Ablyazov, marito di Shalabayeva, non vanta minori interessi in Kazakistan. A Kashagan la anglo-olandese Shell ha la stessa quota di Eni, il 16,8%, e nell’altro giacimento di Karachaganak British Gas detiene il 32,5% come gli italiani. La politica delle diplomazie commerciali del resto vale per molti paesi; e tutte le grandi major allignano ad Astana e dintorni. Non può bastare a spiegare.
Andrebbero esplorate piuttosto motivazioni recondite, personali, di potere, per cercare più senso a questa vicenda. O capire come l’ambasciata kazaka a Roma facesse il bello e brutto tempo, e il suo inquilino potesse telefonare più volte al ministro Angelino Alfano, poco prima del blitz di fine maggio, reclamando di incontrarlo "ora".
Una pista c’è. "Nursultan tu sei un leader molto amato dal tuo popolo. Ho letto un sondaggio, di un istituto indipendente, che ti assegna il 92% di stima e amore del tuo popolo, un consenso che non può che basarsi sui fatti". Così Silvio Berlusconi tre anni fa davanti a 54 presidenti e ministri europei, in Kazakistan per l’assemblea Osce. Eppure il presidente Nazarbaev di cui parlava, suo “amico” come Vlad Putin, è uomo vocato agli affari più che ai diritti civili. Negli Usa è considerato un cleptocrate, le cui gesta di corruzione e riciclaggio sono state perseguite dalle corti di mezzo mondo.
Il genero Timur Kulibaev è indagato anche a Milano, nell’inchiesta per corruzione Eni in Kazakistan, per cui il pm Fabio De Pasquale chiede da un anno di commissariare Agip Kco. Per la procura Kulibaev sarebbe stato il destinatario supremo di almeno 20 milioni di dollari in tangenti pagate da intermediari disonesti. La longevità dell’ultimo leader sovietico nell’ex “nazione sorella” si spiega con i suoi buoni uffici e rapporti moscoviti almeno quanto il suo potere di fornitore di petrolio e gas.
Repubblica scrisse, nel 2010, che Putin aveva aperto a Silvio Berlusconi la strada ai giacimenti di gas pre-caspici in Kazakistan. Report nel 2012 trovò testimonianze per cui a Chinarevskoye, sotto il confine russo, c’è un giacimento di 16 km quadrati, con abbastanza olio e gas da fruttare un milione di dollari al giorno, e tra i soci ci sarebbe Berlusconi. Non vi è certezza, perché la società Zhaikmunai Llp gestrice è controllata da un’omonima accomandita nell’Isola di Man, in un intrico di fiduciarie di identità inespugnabile. Quella holding nacque nel 2007, pochi mesi dopo la riscrittura degli accordi strategici tra Eni e Gazprom, che allora suscitarono timori e critiche dell’Ue e degli Usa. Berlusconi non ha mai commentato l’ipotesi. Chissà se ci pensa in queste ore, nell’ennesima visita privata a Putin.
(15 luglio 2013)
RAFFAELLA COSENTINO SU REPUBBLICA.IT
ROMA - C’è un passaggio fondamentale nella vicenda del rimpatrio forzato in Kazakistan di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua: il trattenimento, anche se breve, nel centro di identificazione e di espulsione, il famigerato CIE di Ponte Galeria. Non si tratta di un centro di accoglienza, ma una prigione amministrativa, circondata da gabbie alte cinque metri e con la sorveglianza armata di tutte le forze dell’ordine. È qui che Alma - in quei giorni da incubo - ha incontrato l’unico giudice che ha deciso di convalidare il trattenimento nel centro, dando di fatto via libera al rimpatrio coatto, perché l’accompagnamento alla frontiera da parte della polizia non può avvenire senza l’udienza con il giudice di pace.
"In casa" del ministero dell’Interno. Da anni giuristi e avvocati denunciano che materie così delicate, come il rimpatrio forzato e la privazione della libertà personale fino a un anno e mezzo nei CIE, non dovrebbero essere lasciate ai giudici di pace, che sono magistrati onorari, non togati. Uno dei problemi più gravi è il fatto che le udienze si fanno all’interno dei centri di detenzione amministrativa, come in questo caso, e quindi letteralmente "a casa" del ministero dell’Interno e della questura, che mette a disposizione i locali.
Il coraggio di un giudice di pace. Per questo motivo, a fine giugno, un giudice di pace che opera proprio a Ponte Galeria ha deciso di investire la Consulta di una situazione che mina l’imparzialità del giudice per il potere di influenza della polizia sul magistrato e lede il diritto di difesa perché il giudice "non può esaminare gli atti se non velocemente ed altrettanto velocemente decidere sulla libertà personale dei cittadini di paesi terzi". Diego Loveri, giudice di pace controcorrente, lo ha scritto nero su bianco alla Corte Costituzionale in un’ordinanza. Sollevando il dubbio di incostituzionalità su tutto il sistema del Cie, il magistrato afferma che il giudice "dovrebbe recarsi, a discrezione del potere esecutivo, presso uno dei Centri di Identificazione ed Espulsione esistenti in tutto il territorio nazionale o presso le questure, oppure presso gli aeroporti". L’ordinanza sottolinea che "di fronte ai diritti fondamentali di libertà posti in gioco, non può non assumere preminenza l’esigenza di assicurare tutte le garanzie ordinamentali e processuali a soggetti che, per la loro intrinseca condizione personale, costituiscono a tutti gli effetti soggetti deboli".
La corsa contro il tempo. Nel caso Shalabayeva, davanti agli stessi documenti della repubblica Centroafricana, che attestavano l’autenticità del passaporto sotto il nome di Alma Ayan, il cognome da nubile usato per proteggersi la vita dalle mire del dittatore di Astana, le decisioni del giudice di pace sono state l’opposto di quelle, successive al rimpatrio, del tribunale ordinario. Il giudice di pace ha detto agli avvocati della donna che la richiesta d’asilo poteva essere fatta "dopo". Ma quando, a due ore di distanza, gli avvocati sono andati al CIE per parlare con la loro cliente, la donna era già in volo per il Kazakistan.
Il paradosso. "E’ paradossale: se ci fosse stato Ablyazov al posto della moglie, avrebbe avuto molti più diritti e garanzie - ha detto uno dei legali, l’avvocato Ernesto Gregorio Valenti davanti alla Commissione Diritti Umani del Senato - Nell’ambito di un processo di estradizione lui sarebbe stato portato davanti a un giudice che avrebbe valutato anche gli aspetti dei diritti umani nel Kazakistan. Così per la signora e la bambina di sei anni non è stato. Lei in 48 ore è stata portata a Ciampino dopo un’udienza brevissima, con pochissime garanzie. E la situazione è stata ancora peggiore per la figlia Alua: questa bambina è stata portata alla mamma sotto un aereo a Ciampino, firmando un atto che è stato tradotto sotto l’aereo dal console kazako, il quale è poi salito sull’aereo con loro".
Una gestione del caso solo amministrativa. Il decreto di espulsione del prefetto, in teoria, può essere impugnato entro 30 giorni. Ma siccome il ricorso non sospende l’espulsione, di fatto - come in questo caso - la persona potrebbe già essere stata rimpatriata quando il tribunale si pronuncia. "Qui si è utilizzata quella parte della legge che consente una gestione di questa vicenda sul piano esclusivamente amministrativo, il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria è stato davvero minimo" ha sottolineato in Senato l’altro legale, Riccardo Olivo.
Le quattro visite della polizia in casa si Alma. Tra il 28 e il 31 maggio la polizia si è presentata quattro volte a casa di Alma Shalabayeva a Casal Palocco. Due perquisizioni vere e proprie, sempre senza un mandato emesso dall’autorità giudiziaria e due "visite". Il primo blitz, nella notte tra il 28 e il 29 maggio, alla ricerca del marito, il dissidente Mukthar Ablyazov, in cui la polizia si è avvalsa di una facoltà di intervento prevista nel caso di una richiesta di cattura internazionale. Per diverse ore, la signora Shalabayeva non ha capito neppure chi fossero realmente tutte quelle persone in borghese che si sono presentate nella villa.
"Erano gangster o poliziotti?" "Il collega svizzero che ci ha contattati per seguire il caso - ha raccontato l’avvocato Olivo in commissione Diritti Umani - ci ha pregato di verificare se fosse stato un intervento di gangster o di poliziotti, nel senso che si è operato in modo molto deciso e apparentemente non ufficiale: non c’è stata l’esibizione di documenti di riconoscimento, nessuno era in divisa, le macchine non erano riconoscibili". La polizia è poi ritornata il 30 maggio, all’una di notte, per fare l’affidamento della bambina alla zia. In quel momento la madre non era in casa, essendo stata trattenuta prima in questura, poi presso l’ufficio immigrazione e poi nella prigione amministrativa di Ponte Galeria. Ma non c’era nemmeno la zia, che stava parlando con i legali. "Ancora nessuno sapeva dove stesse la signora Shalabayeva, non avevamo capito cosa stava succedendo" ha detto Olivo.
Il presunto documento falso. La terza irruzione è avvenuta quando già era aperta un’indagine penale, perché si riteneva che il documento esibito da Alma, l’ormai famoso passaporto diplomatico Centrafricano, fosse falso. "E quindi c’era un giudice che si stava occupando di questo fascicolo" sottolinea ancora il legale della Shalabayeva. Questa seconda perquisizione c’è stata la mattina del 31 maggio, il giorno del rimpatrio forzato della moglie e della figlia di Ablyazov. "E’ stata molto invasiva e compiuta da un numero cospicuo di persone, che hanno portato via più di trenta oggetti, comprese le mail dell’avvocato svizzero - ha riferito Olivo ai senatori - Questi atti venivano effettuati alla presenza di due difensori del nostro studio". Ciò avveniva in contemporanea all’udienza di convalida al CIE, davanti al giudice di pace sulla questione del trattenimento. La perquisizione è durata per ore e gli agenti hanno chiesto di portare di nuovo in questura il cognato di Alma, che dopo la prima perquisizione era già rimasto quasi per un giorno negli uffici della polizia.
L’ordine di andare subito a Ciampino. "Tutta questa carovana di persone - racconta Olivo - si reca quindi in questura, compresi gli avvocati, e ci resteranno fino a sera, per verbalizzare il sequestro degli oggetti. Nel frattempo, per la quarta volta la polizia ritorna a fare visita nella villa". Trovano soltanto i due domestici ucraini, Alua di sei anni, la zia e la cuginetta di 9 anni. "In un inglese stentato, parlano con la bambina di 9 anni che fa da traduttrice per la zia di Alua, la quale parla solo russo - continua l’avvocato - e dicono che non avrebbero dovuto contattare gli avvocati e che sarebbe stato bene far riabbracciare la bambina e la mamma, in attesa in questura". Senza la presenza di un avvocato, il cameriere e autista ucraino porta via la bambina in macchina. "Questo è il modo in cui viene prelevata Alua - dice Olivo - ma lungo il tragitto viene dato l’ordine di deviare verso l’aeroporto di Ciampino, alle 13.10 circa, dove nel frattempo era stata portata Alma Shalabayeva. Non è un particolare irrilevante, era lo stesso giorno in cui noi avvocati avremmo dovuto conferire con lei dalle 15 alle 18, perché questo è l’orario previsto dal CIE, per formalizzare la richiesta d’asilo".
EPIFANI SU REPUBBLICA.IT
ROMA - Il Caso Shalabayeva, la tenuta del governo Letta, le vicende giudiziare di Silvio Berlusconi e i e futuri scenari del Pd, al centro del videoforum di Repubblica TV con il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, intervistato da Massimo Giannini. L’apertura è per la vicenda legata all’espulsione di moglie e figlia del dissidente kazako Ablyazov: "Aspettiamo la relazione del capo della Polizia, sarà fondamentale leggerla e trarne le conseguenze - premette Epifani, che però non minimizza - "Quello che è accaduto è di straordinaria gravità - sottolinea il segretario del Pd -. Sono stati violati diritti umani. Mi piacerebbe capire, ad esempio, quello che è successo dopo il blitz".
"DIMISSIONI PROCACCINI INUSUALI" - L’ultimo sviluppo riguarda le dimissioni del capo di gabinetto del ministero dell’Interno, Giuseppe Procaccini. "Il fatto che si sia dimesso non è usuale, non ricordo un fatto simile nel passato recente". Non è l’unica testa che rischia di rotolare: la situazione più delicata è legata al coinvolgimento dello stesso Angelino Alfano. "Se ci sono responsabilità vanno colpite - sottolinea Epifani -, "Se Alfano sapeva va da sé...Se non sapeva è ancora più inquietante. Un passo indietro ministro dell’Interno lascerebbe comunque poche speranze di vita all’esecutivo. "Può cadere il governo se Alfano si dimette? E’ chiaro che il Pdl trarrebbe le conseguenze".
Anche il caso Calderoli, con gli insulti al ministro Kyenge, non è chiuso. "In qualsiasi paese se ne sarebbe andato - attacca Epifani -. La verità è che non abbiamo uno strumento per sfiduciare nessuno". Probabile, invece, una mozione della maggioranza a sostegno del ministro per l’Integrazione.
LASTAMPA.IT
Roma. Dopo giorni di bufera sul caso Ablyazov il ministro dell’Interno Alfano è intervenuto in Senato per riferire sulla vicenda: «Nessuno del governo era stato informato» ha spiegato prima di iniziare a leggere la relazione scritta dal capo della Polizia Pansa.
«In nessun momento è pervenuta o è stata individuata negli archivi di polizia informazione che rilevasse lo status di rifugiato di Ablyazov» si legge nel fascicolo della Polizia.
Intanto per l’affaire Shalabayeva arrivano le prime dimissioni. Ha lasciato il capo di gabinetto del Viminale, Giuseppe Procaccini che, secondo quanto emerso, il 28 maggio avrebbe ricevuto l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov e il suo primo consigliere. Al centro della riunione Ablyazov, dissidente kazako oppositore del regime.
Siamo alla fine di maggio, il posto di capo della polizia è ancora vacante dopo la morte di Antonio Manganelli. A reggere le redini del Dipartimento è il vicario Alessandro Marangoni. Anche la sua posizione appare delicata. Sembra che Procaccini abbia girato la richiesta kazaka all’attenzione di Alessandro Valeri, capo della segreteria di Marangoni. Da qui la palla sarebbe poi finita nelle mani della questura di Roma - guidata da Fulvio della Rocca - che è intervenuta con la Squadra Mobile, dopo avere avuto dall’Interpol la conferma che il kazako è in effetti un ricercato. Qui entro in gioco un altro nome “pesante”, quello del vicecapo della polizia Francesco Cirillo, che sovrintende la Criminalpol ed è responsabile dei rapporti con l’Interpol, da cui non sarebbe arrivata l’informazione che il dissidente godeva di asilo politico a Londra.
Ognuno di questi alti funzionari, in un modo o nell’altro, ha avuto la responsabilità di non aver sentito puzza di bruciato, di non capire che non si trattava di uno dei normali casi di catture ed espulsioni che quotidianamente interessano le forze di polizia e che quindi il ministro andava tenuto al corrente dell’operazione. Intanto, il capogruppo del M5S Nicola Morra ha chiesto con urgenza la convocazione della Conferenza dei capigruppo del Senato per decidere «l’immediata calendarizzazione della mozione di sfiducia contro il ministro Alfano» per la vicenda, e il presidente Grasso ha fissato alle 15.30 la riunione.
Nella relazione di Pansa ci sono tutte le tappe del fascicolo Shalabayeva, dal blitz nella notte tra il 28 e il 29 maggio scorso in una villetta di Casal Palocco, alle porte di Roma, fino a oggi. Alfano valuterà le responsabilità dei dirigenti e dei funzionari che hanno trattato la vicenda, e prenderà i conseguenti provvedimenti: nelle alte stanze del Viminale c’è già chi si accinge a fare gli scatoloni.
IL RUOLO DI ALFANO
Da parte sua Alfano ha ribadito più volte la sua posizione: lui nulla ha saputo della piega che ha preso la vicenda con il blitz e l’espulsione-lampo della moglie di Ablyazov e di sua figlia. Quanto al peccato di «omesso controllo», la difesa è che in una struttura così grande come quella del Viminale è impossibile avere un occhio per tutto quello che accade e proprio per questo il ministro conta su una squadra che lo supporta nelle sue decisioni. Una squadra che in questo momento è sotto torchio per l’indagine che sta portando avanti Pansa.
La relazione non proporrà i nomi dei «colpevoli», ma ricostruirà tutti i contorti passaggi di quei giorni di fine maggio. Spetterà poi al ministro Alfano proporre la sanzione per i responsabili della «mancata informativa». La nota di Palazzo Chigi che annuncia la revoca dell’espulsione per Alma Shalabayeva sottolinea «la regolarità formale» del procedimento di espulsione, mentre si lamenta il fatto che il Governo, ministro dell’Interno in primis, sia stato tenuto all’oscuro. Ci sono dunque due livelli da considerare: la mancata informativa - sulla quale appunto relazionerà Pansa - e la regolarità del procedimento, asserita in un primo momento, salvo poi fare marcia indietro e revocare l’espulsione.
C’è poi la questione regolarità della procedura, salvaguardata venerdì scorso dal Governo, ma che regolare non è invece stata, nonostante il “timbro” emesso da quattro distinti provvedimenti dell’autorità giudiziaria di Roma. Restano, infatti tutti i dubbi su una serie di forzature attuate, secondo una lettura, per assecondare le pressanti richieste dell’ambasciata kazaka, Paese con cui l’Italia ha un’alleanza strategica nel settore energetico. Ma fonti di polizia replicano che l’iter è stato regolare: dai controlli fatti il 29 maggio la donna risultava una clandestina con il passaporto manomesso (poi risultato regolare) e dunque è stato seguito un iter veloce di espulsione. Solo successivamente gli avvocati della donna hanno presentato una documentazione aggiuntiva da cui risultava che aveva un permesso di soggiorno lettone valido nei Paesi Schengen con scadenza a fine ottobre.
Mentre si cerca di far luce sulle responsabilità, su un altro fronte, quello che riguarda direttamente la situazione di Alma Shalabayeva, si starebbe lavorando per un suo ritorno in Italia, che non è da escludersi. Di fatto, essendo stata revocata l’espulsione, la donna può rientrare. Le ultime righe del comunicato con cui il governo il 12 luglio ha revocato l’espulsione inquadrano bene il terreno sui cui ci si muove: «A seguito della revoca del provvedimento che verrà immediatamente resa nota alle autorità kazake attraverso i canali diplomatici - riferiva il testo - la signora Alma Shalabayeva potrà rientrare in Italia, dove potrà chiarire la propria posizione». Alcuni passi per arrivare a questo risultato sarebbero già stati compiuti.
GRIGNETTI SULLA STAMPA DI STAMATTINA FA IL RITRATTO DI PROCACCINI
Giuseppe Procaccini, prefetto di prima classe, nato a Napoli nel 1949, capo di gabinetto del ministro dell’Interno dal 2008, aspirante alla carica di Capo della polizia fino a qualche settimana fa. Di sua eccellenza Procaccini da qualche giorno vediamo la foto sui giornali e ne sentiamo parlare come di un protagonista. Già, ma chi è Giuseppe Procaccini? La risposta non è semplice: è un uomo-ombra, uno di quelli di cui si ricorda il puntiglio, la meticolosità, lo zelo nell’eseguire le indicazioni del ministro pro-tempore. Che fosse Bobo Maro-
GLI ESORDI
Nel 1990 partecipò alla firma
del trattato di Maastricht al seguito del ministro Carli
ni, o Annamaria Cancellieri, oppure oggi Angelino Alfano, chiunque si interpelli, politico o grand commis dello Stato, la risposta è sempre la stessa: «Procaccini è un uomo di fiducia».
Possibile dunque che il prefetto riceva l’ambasciatore del Kazakhstan al Viminale, il 27 maggio scorso, facendo le veci del ministro, e poi attivi l’intera catena di comando della polizia affinché si catturi un latitante kazako, senza informare il suo ministro? In fondo, il giallo è tutto qui.
Il ministro Alfano giura che lui non è stato informato. Quindi bisogna dedurre che Procaccini nel caso Shalabayeva si sia arrogato un potere non suo, inseguendo chissà quale sogno di gloria. Magari il sogno proibito di diventare Capo della polizia.
Non che fosse così lontano dai veri circoli del potere. Solo per stare agli eventi più recenti: il 12 giugno è stato lui ad aprire la Conferenza dei Prefetti, prima dell’intervento del ministro dell’Interno e del saluto del Presidente Napolitano. Si evince dallo stipendio che lo Stato gli corrisponde: quando il governo Monti pubblicò gli emolumenti dei dirigenti statali, lui era al trentesimo posto con 395.368 euro annui.
Non ci si deve meravigliare. L’uomo, dai modi sempre felpati e diplomatici, frequenta da sempre gli ambienti che contano. Era a Bruxelles nel 1990, appena quarantenne, accompagnando l’allora ministro del Tesoro Guido Carli per partecipare alla firma del Trattato di Maastricht.
In quella fase era stato distaccato alla presidenza del Consiglio e poi al ministero del Tesoro, salvo rientrare nel 1992 al ministero dell’Interno e da allora ha scalato tutte le posizioni, una alla volta.
Al ministero ha annusato il potere che si esercita in polizia quando, nel luglio 2000, fu nominato a capo della Segreteria del Dipartimento di Ps. Un anno dopo venne nominato Vicecapo della polizia, preposto all’attività di Coordinamento e pianificazione delle forze di polizia, dove rimase fino al dicembre 2006. Salvo una parentesi di due anni, corrispondente al biennio di Giuliano Amato. Poi Procaccini tornò trionfalmente in auge con il ritorno del centrodestra e l’arrivo di Roberto Maroni sostituendo nientemeno che Gianni De Gennaro, spostato alla guida dei servizi segreti.
Il ruolo di capo di gabinetto infatti non porterà sotto i riflettori, ma è immancabilmente trampolino di lancio verso successi ulteriori. E infatti, dopo cinque anni di vero potere nei corridoi più importanti del ministero dell’Interno, per quasi un anno - coincidenti con le condizioni di salute sempre più precarie di Antonio Manganelli - il nome di Procaccini non è mai mancato nei totonomine. L’uomo faceva sapere in giro di avere solidi appoggi politici. Ma secondo suo costume non si esponeva. È un raro caso, infatti, il suo, in cui il database dell’Ansa non registra una sola parola detta in pubblico. [FRA. GRI.]
DALLA STAMPA DI STAMATTINA
Per noi era la “Lady” e «basta…». L’obiettivo, del resto, non era Alma Shalabayeva. La «missione» era un’altra: scovare e monitorare i movimenti del marito, il dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. La spystory all’italiana inizia così: con un contratto. Stipulato tra un’agenzia di investigazione israeliana, che commissiona il lavoro, e un’omologa italiana che lo accetta. «Formalizzammo l’accordo il 18 maggio, ma già da un paio di giorni c’eravamo attivati. E nel giro di poche ore lo rintracciammo nella villetta in via di Casal Palocco»,
IN AZIONE DAL 18 MAGGIO
«Fummo assoldati
da una società di security israeliana»
racconta Mario Trotta, ex sottufficiale dei Carabinieri in congedo, oggi socio di maggioranza e amministratore della Sira (Sicurezza investigazioni ricerca analisi). «Gli israeliani ci indicarono la zona dove ritenevano si trovasse – spiega –. Ci fornirono anche delle foto: un po’ per i particolari tratti somatici dell’uomo e dei suoi familiari, vuoi anche per un pizzico di fortuna, la ricerca non fu particolarmente complicata». L’interesse era mirato. «Ci spiegarono che era un banchiere, che gestiva ingenti flussi di capitali. Erano interessati alle sue frequentazioni proprio in relazione a possibili operazioni finanziarie». Frequentazioni delle quali la Sira, dopo giorni di appostamenti e pedinamenti, non ebbe però alcun riscontro.
«Ablyazov usciva raramente di casa. In tutto sarà capitato cinque volte. In due occasioni per andare al ristorante: ad Ostia, proprio il 18 maggio, due giorni dopo il suo compleanno (è nato il 16 maggio 1963), e l’ultima il 26 in un locale all’Infernetto (periferia sud di Roma). Le altre destinazioni? Il centro commerciale o la palestra vicino casa, che frequentava insieme alla moglie», racconta Trotta. A portare le bambine a scuola (dove la piccola Alua e la cuginetta erano regolarmente iscritte) ci pensavano i domestici. «Stranieri anche loro, dai tratti somatici non credo kazaki». Per spostarsi usavano due diverse automobili. «Una Volvo e una Lancia Voyager, entrambe con i vetri posteriori oscurati – ricorda l’ex carabiniere –. E ogni volta che una delle due usciva dall’abitazione non sapevamo mai chi ci fosse a bordo. Così qualcuno restava di piantone alla casa, altri seguivano l’auto per verificare se a spostarsi fosse Ablyazov o la moglie». Curioso che gli israeliani si siano rivolti ad una società come la Sira, costituita il 22 febbraio e iscritta alla Camera di commercio di Roma solo il 6 febbraio. «Ma in realtà io esercito a titolo individuale dal 2008. Verso la fine del 2012 ho ottenuto la licenza civile e ho deciso di costituire la società», precisa Trotta. Certo, il curriculum è notevole. «Undici anni all’antidroga, poi nelRos dei carabinieri e una medaglia d’oro al valor civile. I servizi segreti? Mai fatto parte», assicura l’ex sottufficiale dell’Arma.
«Il contratto con gli israeliani lo abbiamo discusso qui nel mio ufficio direttamente con un loro emissario. Chi c’era dietro? Non c’erano ragioni per cui ce lo dicessero né per chiederlo noi a loro – spiega –. Non potendo operare nel nostro Paese avevano bisogno di un’agenzia italiana cui affidare l’incarico. Chiesi assicurazioni sul fatto che la persona da monitorare non fosse un esponente di corpi diplomatici, di organismi internazionali né ricercato o latitante: me le diedero e accettai». Rassicurazioni evidentemente false. «Ma non avrei in alcun modo potuto verificarle senza commettere un reato», si difende Trotta. Cinquemila euro la somma pattuita almeno per la prima fase del lavoro. «Durò circa dieci giorni e dal 28 maggio, giorno del blitz, non avemmo più notizie né contatti», racconta Trotta che ad ogni avvistamento di Ablyazov relazionava «praticamente in tempo reale agli israeliani». L’ultima volta risale al 26 maggio, dal ristorante dell’Infernetto. Una data che innesca un giallo nel giallo. Il giorno dopo, il 27 maggio, l’ambasciatore kazako, Adrian Yelemessov bussa alle porte del Viminale e il 28 scatta il blitz. La Polizia trova sul posto Trotta e i suoi collaboratori. «In quel momento ero convinto che Ablyazov fosse ancora nella casa», confessa l’ex brigadiere. «Invece…». Del dissidente kazako nessuna traccia. Volatilizzato sotto il naso di un navigato professionista di lungo corso? Trotta si fa scappare un sorriso: «Lasciamo stare…».