Alessandro De Nicola, Affari&Finanza 15/7/2013, 15 luglio 2013
QUEL SALVAGENTE PER LE SPA IN HOUSE
Nel discorso di addio alla presidenza pronunciato da Dwight Eisenhower il 17 gennaio del 1961 c’è un drammatico passaggio in cui il presidente mette in guardia dalla pericolosa influenza che il ’complesso militare-industriale’ avrebbe potuto esercitare sulle scelte di governo. Eisenhower era stato un grande generale e questa sua preoccupazione, in piena Guerra Fredda e reduci dall’esperienza del maccartismo, suscitò una certa impressione. I tempi sono più tranquilli e l’Italia è un paese dove la situazione é sempre grave ma non seria, per dirla alla Flaiano.
Leggendo il provvedimento della Corte dei Conti ligure che ha reso inutile il decreto del 2012 sulla spending review nella parte in cui impone la privatizzazione delle società pubbliche che operano solo a favore della PA, mi è tornato in mente il vecchio Ike. Al posto del complesso militar-industriale mi è apparso un moloch politico-burocratico-giudiziario che travolge qualsiasi tipo di riforma. Il caso dei servizi pubblici locali é emblematico. Le società create dai comuni per svolgerli sono inefficienti. Gli ultimi governi hanno tentato, in linea con gli orientamenti comunitari, di introdurre più concorrenza. La legge 133 del 2008 prevedeva all’articolo 23 bis l’affidamento dei servizi pubblici di rilievo economico a società private o a capitale misto con procedure ad evidenza pubblica (appalti competitivi) e che tutte le gestioni in house sarebbero cessate a fine 2011 a meno che non fosse entrato un socio privato.
Le società in house sono la longa manus degli enti locali che li controllano con un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione. A tal fine l’intero capitale deve essere pubblico e i poteri di controllo del proprietario molto penetranti. Deve trattarsi, dicono i giuristi, di una relazione equivalente ad una subordinazione gerarchica: la Giunta o il Sindaco comandano e la società in house obbedisce. Queste società possono inoltre possedere il requisito della strumentalità quando l’oggetto sociale è rivolto esclusivamente a favore degli enti proprietari per il perseguimento dei fini istituzionali, come una società il cui scopo sia quello di erogare formazione professionale ai dipendenti comunali. Ovviamente, quasi tutte le società strumentali sono in house e possono acquisire affidamenti senza gara dagli enti promotori. Purtroppo, il referendum del 2011, quello della salvezza dell’acqua di tutti, appoggiato più per viltà e calcolo politico che per convinzione dal Pd, ha cancellato l’articolo. Arriva il governo Monti. Con il comma 1 dell’art. 4 del d.l. 95 del 2012 si impone all’ente locale la vendita a gara o la messa in liquidazione delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni che ricavino più del 90% del fatturato da commesse della PA. Ma il comma 8 dello stesso articolo dispone che l’affidamento diretto di servizi a favore di società in house a capitale pubblico è ancora consentito. Se questo è vero, le società in house non vanno privatizzate e possono continuare ad evitare la concorrenza. Peccato che quelle che andrebbero vendute, le società strumentali, siano quasi tutte in house. Risultato: non si venderà niente con tanto di benedizione della Corte dei Conti ligure!
Ora, a prescindere dal fatto che il provvedimento della Corte, pur formalmente logico, tradisce lo spirito della legge, è possibile che il nostro apparato politico-burocratico abbia un tale livello di incompetenza (o forse di malafede) da sfornare dei mostri giuridici di questo genere? Nel frattempo un buon numero di Regioni ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale lamentando che il governo centrale con il decreto della spending review si è appropriato delle loro competenze: prepariamoci ad ulteriori sviluppi. La situazione è grave ma non è seria, ahinoi. I cittadini non vogliono privatizzare: preferiscono un servizio pessimo e senza concorrenza pur di affermare principi altisonanti come nel caso del referendum di ’Sorella Acqua’ che ha sfasciato anche ciò che con l’acqua non c’entrava. I partiti vogliono rimanere attaccati alla greppia delle società pubbliche, fonte di clientelismo e potere. I burocrati non sanno scrivere le leggi o fanno finta di non saperlo fare. Le Regioni non rinunciano ai loro privilegi senza combattere. I giudici volteggiano in punta di diritto e se ne infischiano della sostanza. Sui giornali continuano a scrivere una dozzina di persone che denunciano il tradimento dell’efficienza, della concorrenza, del mercato, della trasparenza. A pensarci bene non è così male. Se ci organizziamo bene, ci facciamo riconoscere come specie protetta e magari ci scappa un bel sussidio. Con l’approvazione della Corte dei Conti, s’intende.