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 2013  luglio 15 Lunedì calendario

QUANDO ERAVAMO EROI


[Niki Lauda]

«L’avete visto il circuito? ». Non lasciatevi ingannare. Questa non è una domanda. È una sentenza.
Sono le 11 del mattino di sabato 6 luglio, domani si correranno le qualifiche del Gran Premio di Germania. Un uomo senza naso, senza capelli e senza sopracciglia è appoggiato al motorhome della Mercedes. E’ il testimone di una Formula 1 che non c’è più, Niki Lauda. Solito cappellino rosso in testa, pancia un po’ troppo rotonda per l’età e l’agio, e faccia ancora più infastidita del solito per via di un paio di giornalisti giapponesi che chissà che diavolo gli hanno appena chiesto. Qualcosa su Hamilton o sulle gomme Pirelli di sicuro.
Probabilmente se gli avessero domandato cosa ha fatto ieri sera la conversazione sarebbe andata decisamente in maniera diversa.
Già, perché a Lauda, ieri sera, è capitato qualcosa di straordinario. Ha visto un film su se stesso. La propria vita in hd, girata da uno dei registi più popolari di Hollywood, Ron Howard.
Diabolici, i produttori di “Rush”, il film sulla dualità Lauda-Hunt e sul magico mondiale del ’76, hanno scelto proprio il gp del Nurburgring, lo stesso dell’incidente e delle fiamme, per organizzare l’ “evento”; hanno invitato Lauda e i suoi piloti (Hamilton e Rosberg), Ecclestone e i suoi amici e poche altre persone in vista; hanno spento le luci nella saletta, e acceso il proiettore.
Alla fine, raccontano, il vecchio Lauda è rimasto qualche minuto seduto sulla sua poltrona, in silenzio. E nessuno ha saputo dire se fosse commosso, emozionato o deluso.
Allora, era deluso?
«No, tutt’altro. Dopo la proiezione ne ho parlato con Hamilton e Rosberg che erano impazziti: non pensavano si potesse rendere in quel modo le emozioni di un pilota. Ma anche gli altri erano tutti entusiasti». (A dire il vero non tutti confermano. Due sarebbero i principali difetti: il personaggio di James Hunt sarebbe troppo affettato; e la storia sviluppandosi di gara in gara, procede a strattoni).
Dicono che il personaggio di Hunt non sia proprio fedele...
«No, non è vero. Anzi, mi è dispiaciuto moltissimo che non fosse lì con me a vederci di nuovo combattere in pista».
Ma a parte il realismo, che diamo per scontato con 38 milioni di dollari spesi, cosa ha provato a rivedersi da giovane a fare quelle cose?
«Ho pensato che un ragazzo di oggi non sa nulla — o comunque molto poco — di quello che è successo in quel 1976. Un ragazzo di oggi negli Anni 70 non era neppure nato. E forse c’era proprio bisogno di un film che glielo raccontasse. Se non si capisce quell’epoca non si apprezza quello che facevamo».
Che cosa facevate?
«Rischiavamo la vita, ogni giorno ».
Anche lei Lauda pensa che i piloti si siano trasformati da eroi a impiegati?
Fa una lunga pausa. «L’avete visto il nuovo circuito? E invece vi è mai capitato di fare un giro sul vecchio? (Il vecchio è la Nordsch-leife, i 23 km d’inferno e curve dove Lauda sfiorò la morte, ndr).
«Ci sono differenze che vanno al di là del tracciato. Il vecchio circuito era rischio allo stato puro. E quel rischio era la materia con cui dovevamo confrontarci, quotidianamente. Oggi quella pista — e dico: grazie a dio — è molto più sicura, e rappresenta quello che è diventata la Formula 1. Oggi si può sbattere si può fare a ruotate che non succede nulla. Allora, invece, si moriva. Ma, si fidi, la vera differenza non è neanche esattamente questa».
E qual è, allora?
«Vede, anche oggi in pista può succedere di tutto. Il problema è che sarebbe un imprevisto. Allora era nelle cose: noi dovevamo confrontarci continuamente con la probabilità di ammazzarci in qualche modo. Era uno dei nostri pensieri fissi. E quell’idea lì è la vera differenza. Voi dite che quelli di oggi sono degli impiegati del rischio? Io non lo so. Ma penso che se non hai quel pensiero fisso in mente, perché grazie ai progressi della F1 non ce n’è bisogno, allora cambia tutto: è inutile aspettarsi che un pilota di questa F1 sia caratterialmente uguale a me o a James Hunt, semplicemente perché è impossibile visto come è cambiato tutto».
Dica la verità, lei sarebbe affascinato da una Formula 1 come questa, dedicherebbe a uno sport del genere tutta la sua vita?
«Ma certamente sì. Se avessi corso adesso avrei guadagnato dieci volte di più e soprattutto avrei ancora il mio orecchio».