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 2013  luglio 16 Martedì calendario

BERLINO, IL BOGOTA’ STA CHIUDENDO

Anche gli hotel fanno parte della storia di una città, il Ritz a Parigi, il Savoy a Londra, il Waldorf Astoria a New York, il Gritti a Venezia, ma è difficile salvarli quando invecchiano e diventano poco economici, anche se i segni del tempo fanno parte del loro charme. A Berlino è scomparso il Palast Hotel che era l’albergo delle spie, nel settore orientale della metropoli.
Ora a ovest sembra condannato a morte l’Hotel Bogotà, che ha appena mezzo secolo di vita, ma che si trova in uno storico palazzo, edificato nel 1911, nella Schluterstrasse al numero 45, una traversa dalla Kurfuerstendamm, il grande viale dove si trovano i negozi delle firme più prestigiose, da Chanel a Armani a Gucci. E, questo, forse, è la causa della sua fine: i prezzi degli affitti sono stratosferici e un albergo demodée non è più abbastanza redditizio. Il proprietario ha disdetto il contratto d’affitto e con l’anno venturo dovrebbe giungere la fine. Al suo posto verranno aperti degli uffici.
Quando tornò nella sua Berlino, dopo 45 anni d’esilio, nel 1983, Helmut Newton tornò al Bogotà e esclamò: «Nulla è cambiato.» Nel palazzo, all’ultimo piano, da ragazzo aveva imparato l’arte della fotografia. «Vi ho trascorso i due anni più belli della mia vita», ricordava Newton.
Qui dal 1934 si trovava l’atelier della fotografa di moda Yva, nome d’arte dell’ebrea Else Ernestine Neulaender-Simon, che aveva assunto Helmut come apprendista, poi promosso assistente. Nel ’38, Newton fuggì a New York, Yva rimase e il primo giugno del 1942 venne, arrestata dalla Gestapo e il 13 deportata insieme con il marito Alfred Simon nel campo di sterminio di Sobibor, e qui della coppia si perdono le tracce. Chi scende al Bogotà può visitare l’ultimo piano dove sono esposte alcune macchine fotografiche di Yva e molte sue foto.
Il palazzo venne arianizzato ed espropriato dai nazisti, che vi installarono la Camera della Cultura, diretta da Hans Hinkel. Charlie Chaplin diede il suo nome al Fuehrer nel Grande Dittatore. Nel ’45, dopo la disfatta, sempre negli stessi uffici, gli alleati aprirono la sezione per il controllo degli artisti che avevano collaborato con i nazisti: tra gli altri, l’attore Gustav Gruendgens, la cui storia è raccontata nel romanzo Mephisto di Klaus Mann, e Wilhelm Furtwaengler, il direttore d’orchestra preferito da Hitler, il cui controverso rapporto con il potere, ha ispirato il film A torto o a ragione. Nel 1964, il palazzo venne affittato e trasformato in un hotel con 115 camere da Heinz Rehwald, che lo chiamò «Bogotà», in segno di gratitudine, perché negli anni Trenta era sfuggito ai nazisti emigrando in Sud America. Salvare un albergo in nome della memoria? Molti artisti, pittori, attori, scrittori stanno firmando un appello per preservare il Bogotà, ma le speranze sono poche. Il proprietario trova «poco elegante» anche il vetusto baldacchino che protegge l’ingresso esattamente come cinquant’anni fa.