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 2013  luglio 15 Lunedì calendario

QUELLE TRE LETTERE DI SANGUE SCRITTE SUL DIVANO: E N Z

Una donna massacrata con 23 coltellate. Gli ambienti-bene di una città di provincia in subbuglio. Un giallista che a distanza di tempo riapre il caso. Una squadra di carabinieri in gamba che si schianta sul muro di mezze verità e ammiccamenti in puro stile siciliano. Ci sono tutti gli ingredienti del giallo perfetto. Ma questo non è un romanzo di Camilleri, manca il lieto fine, manca il nome dell’assassino. L’omicidio di Antonella Falcidia, docente universitaria e ginecologa, resta irrisolto dopo 23 anni. Il principale e unico indiziato, il marito Vincenzo Morici, primario di chirurgia all’ospedale di Taormina, nei primi giorni di giugno è stato assolto in appello, nonostante il procuratore generale avesse invocato una pena di 30 anni. “È la fine di un incubo” ha detto Morici. Resta il delitto perfetto.
È IL 4 DICEMBRE 1993. Immaginate una donna sola, in casa. Sono le 23. Il marito è via per impegni di lavoro a Nicosia, in provincia di Enna. La signora si chiama Antonella Falcidia e fa parte della buona borghesia di Catania. La sua famiglia ha una lunga tradizione medica: molti bimbi etnei sono nati nella clinica Falcidia. La casa dei coniugi è in via Rosso di San Secondo, dove inizia la collina di una città tanto bella quanto violata dalla mala politica e dalle violenze delle cosche mafiose. Antonella Falcidia incontra la morte in modo brutale: qualcuno la aggredisce, si accanisce su di lei con un coltello. Se la dottoressa grida, chiede aiuto, non la sente nessuno; non ci sono segnalazioni ai numeri di emergenza. È il marito a dare l’allarme. Quando i carabinieri entrano in casa, il corpo è in salotto; porta blindata e finestre non hanno segni di effrazioni. Le prime tracce rilevate dalla Scientifica sono dei capelli biondi, lunghi, e una impronta di scarpa che ha calpestato il sangue della vittima. Il giallo inizia così. Catania è abituata alla violenza, la vive con indifferenza. Nel capoluogo c’è Cosa Nostra, ma anche altri clan, così basta uno screzio e inizia la guerra: fra il 1989 e la metà dei ’90 la città avrà un record con più di 100 morti ammazzati all’anno. C’è una squadra di carabinieri al Reparto Operativo, sottufficiali in gamba e ufficiali giovani e preparati. Cattureranno pure alcuni dei latitanti classificati come “imprendibili”. Insomma, investigatori avvezzi a muoversi in situazioni complicate. Niente da fare dinanzi al delitto Falcidia: la buona borghesia parla con fastidio di ciò che accade nel proprio ambiente. In questo contesto, Vincenzo Morici si reca quasi ogni pomeriggio dagli ufficiali del Reparto Operativo. Vuol sapere se ci sono novità. Anche se le cronache riportano qualche presunto spiraglio nelle indagini, o l’intervista al criminologo che fornisce una sua lettura, lui chiama il cronista, per avere i particolari. I carabinieri e la Procura sono convinti che l’assassino è in famiglia. Possibile movente: una relazione extraconiugale del dottore, apertamente contestata dalla moglie. Esiste la fantomatica bionda? Non è chiaro, così come non sono chiare le prove contro Morici.
Nel 2006 lo scrittore di noir Carlo Lucarelli parla del caso insoluto e mette in evidenza degli elementi che possono essere valorizzati; il Ris ha strumenti che quindici anni prima non si immaginavano neppure. La Procura ritiene di avere tutti gli assi a disposizione: uno di questi è una scritta, tre lettere abbozzate con il sangue mai notate prima, a formare la parola “E N Z”. Come Enzo. Enzo Morici. La vittima ha indicato il marito come assassino, dicono gli inquirenti. Il procuratore aggiunto durante una conferenza stampa ricostruì la dinamica indicando un omicida freddo e calcolatore: Morici aveva impugnato un coltello da cucina, colpito 22 volte; accortosi che la vittima era ancora viva mentre lavava in cucina l’arma del delitto, tornava indietro tagliandole la gola. Prima di morire, Antonella Falcidia aveva fatto in tempo ad imprimere sulla stoffa di un divano le tre lettere.
MORICI RESTA in carcere 25 giorni. Torna in libertà grazie al Riesame: mancanza di indizi. Al processo (rito abbreviato) il Gup resta su questa linea: non ci sono prove contro il medico. Il ricorso in appello è del 2011: l’impianto dell’inchiesta è lo stesso. Morici ha ucciso la moglie per essere stato scoperto in una relazione extraconiugale. La lite finale, quella finita con 22 coltellate e un taglio mortale, è da addebitare alla gelosia della vittima, donna che gli stessi inquirenti definiscono “autoritaria e rigorosa”, per nulla disposta a sopportare le “corna”. Come in un episodio di Law and Order, dopo la fase investigativa la sfida finale è nelle aule di giustizia. A disposizione del Procuratore generale pure la relazione di un esperto di medicina legale, Biagio Guardabasso, che si sofferma sulla tecnica dell’assassino; quelle ferite ripetute indicano una specie di tortura “per ottenere una confessione oppure qualche concessione”. E poi la ricostruzione minuziosa in cui l’accusa fa emergere le falle della tesi difensiva. Antonella Falcidia è morta intorno alle 23: a chi avrebbe aperto la porta a quell’ora? E poi l’alibi. Morici ha sempre indicato la testimonianza di un collega, Salvatore Campagna, con lui nella trasferta di Nicosia. Campagna in due interrogatori affermò di aver salutato Morici alle 22,30. Poi anticipa di trenta minuti, quindi alle 22, forse 22,10; in questo modo – sostiene la Procura – Morici avrebbe fatto in tempo a tornare a Catania, uccidere la moglie, imbastire depistaggi. La difesa parla di suggestioni e sottolinea che si sono lasciate per strada altre prove come i capelli biondi e l’impronta di una scarpa sportiva Adidas: una scarpa di misura 43, mentre Morici porta il 41. Sentenza: viene confermata la sentenza di primo grado. Per Morici finisce un incubo. L’assassino resta libero. Il delitto perfetto. E Taormina ha sempre il suo primario. Perchè questo non è un romanzo di Camilleri.