Barry Eichengreen, Il Sole 24 Ore 14/7/2013, 14 luglio 2013
IL GRAN GIOCO DELLE VALUTE
La Federal Reserve americana e la Banca popolare cinese hanno poco in comune, ma nelle ultime settimane hanno vissuto esperienze analoghe (e non piacevoli).
La crisi di indigestione della Fed è cominciata quando il presidente Ben Bernanke, nella sua conferenza stampa del 19 giugno, ha avvisato che la Fed avrebbe ridotto gli acquisti di titoli a lungo termine se l’economia fosse continuata a migliorare (nello specifico, se la disoccupazione fosse scesa sotto il 7%). Ai mercati azionari è venuto un mancamento, i rendimenti dei titoli di Stato Usa si sono impennati e le valute dei mercati emergenti si sono indebolite per paura che i flussi di capitali dagli Usa potessero interrompersi.
La reazione è stata così allarmante che alcuni funzionari della Fed si sono sentiti in dovere di spiegare che dire che la Fed poteva tirare il freno sulla politica di allentamento quantitativo non era la stessa cosa che dire che l’avrebbe interrotta. Il momento e il modo in cui avrebbe ridotto gli acquisti di titoli a lungo termine sarebbe dipeso dai dati in arrivo. In particolare, nulla garantiva che prima della fine dell’anno sarebbe stata raggiunta la soglia del 7% di disoccupazione.
Sempre il 19 giugno la Banca popolare cinese ha deciso di non fornire ulteriore liquidità ai mercati creditizi nazionali, in seria difficoltà. Il tasso di interesse che le banche cinesi praticano fra loro per prestiti a breve termine aveva cominciato a salire due settimane prima, quando si era sparsa la voce che due medi istituti erano insolventi. Il tasso interbancario era salito dal 5 a quasi il 7%. Gli investitori si aspettavano che la Banca intervenisse per impedire che i tassi salissero ulteriormente e rallentassero la crescita dell’economia.
Invece la Banca popolare cinese non ha mosso un dito, preoccupata che gli istituti di credito stessero erogando prestiti con troppa leggerezza a costruttori e grandi aziende di proprietà statale (che in molti casi coincidono). Il timore delle autorità monetarie era che le banche, attraverso i loro fondi di gestione patrimoniale, si indebitassero eccessivamente sul mercato overnight per finanziare investimenti ad alto rischio.
Anche in Cina la reazione dei mercati è stata violenta. Lo Shanghai Composite, il più importante indice di Borsa nazionale, è crollato. I tassi interbancari sono schizzati su del 25%, sollevando preoccupazioni sulla stabilità del sistema finanziario.
Non era quello che le autorità cinesi si aspettavano. Come i colleghi della Fed, anche i funzionari della Banca popolare cinese hanno sentito la necessità di chiarire e fare marcia indietro. Hanno rassicurato gli investitori che avrebbero «guidato i tassi di interesse di mercato verso un intervallo ragionevole», e hanno fatto seguito all’annuncio con iniezioni di credito.
Nessuno dei due episodi ha migliorato la reputazione delle Banche centrali coinvolte. Il 19 giugno non sarà "una data segnata dall’infamia", ma non sarà ricordato come un giorno felice dalle autorità monetarie.
Anche le Banche centrali dovrebbero imparare dagli errori. Quali sono gli insegnamenti da trarre?
L’episodio del 19 giugno ricorda che le strategie di comunicazione delle Banche centrali rimangono un work in progress. La Fed ha provato più volte a spiegare le sue politiche, ma se poche parole, relativamente anodine, possono innescare una reazione tanto forte, allora gli investitori rimangono incerti, se non confusi, sulle intenzioni della Banca centrale Usa.
La Banca popolare cinese se l’è cavata peggio, non avendo fatto nulla per preparare i mercati alla sua nuova strategia antispeculazione. Le autorità cinesi stanno cercando di trasformare lo yuan in una valuta internazionale di prima classe, ma l’episodio del 19 giugno ha ricordato che la Banca centrale e le autorità che decidono la politica economica hanno molta strada da fare prima di riuscire a trasmettere la necessaria fiducia nella moneta e in loro stesse.
Un secondo insegnamento è che le Banche centrali fanno bene a non reagire in modo esagerato alle notizie più insignificanti. Le dichiarazioni della Fed che lasciavano intendere la fine delle politiche di allentamento quantitativo erano fondate, apparentemente, sugli ultimi miglioramenti dell’economia. Ora che i mercati hanno reagito negativamente, qualche investitore comincia a preoccuparsi che l’economia, per effetto di questo panico, possa andare peggio. La Fed dovrebbe aspettare di avere molti più dati prima di correggere la sua politica o la sua retorica.
La Banca popolare cinese sembra aver reagito in modo esagerato ai dati che indicavano un boom del credito bancario. Alcuni dati erano fuorvianti, perché provocati da un cambiamento dei parametri normativi che aveva fatto emergere prestiti nascosti. Le autorità monetarie avrebbero fatto meglio ad aspettare altri dati, per capire se si trattava di una tendenza o di un’anomalia.
L’ultimo insegnamento è che la politica monetaria è un’arma spuntata per affrontare i problemi dei mercati delle attività. In assenza di inflazione, sono stati soprattutto gli allarmi su nuove bolle speculative che hanno spinto la Fed a ridurre i suoi acquisti di titoli a lungo termine. E a indurre la Banca popolare cinese a invertire bruscamente rotta sono stati i timori per i prezzi degli immobili.
È giusto preoccuparsi delle bolle, ma quanto successo il 19 giugno negli Usa e in Cina ricorda che le bolle devono essere un problema degli organismi di vigilanza. Le Banche centrali non possono permettersi di ignorarle, ma devono fare molta attenzione a non reagire troppo in fretta. Hanno cose più importanti a cui badare.
(Traduzione di Fabio Galimberti)