Rita Fatiguso, Il Sole 24 Ore 14/7/2013, 14 luglio 2013
CINA, INQUINAMENTO VICINO AL PUNTO DI NON RITORNO
PECHINO. Dal nostro corrispondente
Questa è polvere che non si può nascondere sotto il tappeto. Il sito cinese www.pm2d5.com misura in tempo reale il livello di polveri sottili, pm2.5, presenti nell’aria delle città della Cina offrendo un quadro drammatico della situazione. Nuvole nerissime, nessuna metropoli si avvicina a quota 20, considerata, all’estero, la soglia critica per densità di particelle killer.
Shijiazhuang, nell’Hebei, segnatevi questo nome, tocca quota 217.1 microgrammi per metro cubo, è la città meno salubre del Paese seguita, in una sorta di tour dell’orrore, da Bao Ding con 190 e Han Dan con 185.6 Pm2,5.
Pechino, la capitale, è costretta ad assorbire i miasmi di questo trio che gli fa da corona, portandola in classifica al 14esimo posto con un livello preoccupante, 118,9 contro i 74,3 di Shanghai che è "appena" al 48esimo posto sulle 70 città monitorate.
La qualità della vita in Cina ha, ormai da tempo, una dimensione incomparabile con il resto del mondo. Tracce di intolleranza allo status quo non si trovano nei cassetti di centri di ricerca o nei dossier elaborati da chissà quale organo di controinformazione, basta andare in una qualsiasi edicola: la stampa cinese dedica al tema dell’inquinamento spazi di approfondimento un tempo impensabili. La classifica delle città vittime assediate dalle polveri sottili è il cuore di una lunga inchiesta del settimanale Caijing, famoso per le sue inchieste in grado di far cadere teste eccellenti. Ma anche quotidiani più compassati come The Economic Observer non fanno sconti, e rivela che se a Pechino e Tianjin dal 2006 a oggi il consumo di carbone non è aumentato, nell’Hebei, vale a dire nel triangolo nero della classifica dei pm2.5 è cresciuto del 40%, partendo rispetto alle altre due città da un consumo sei volte più alto. Non bastassero le cifre, c’è la foto di un gruppo di operai che vanno in bici al lavoro immersi in una densa nebbia, alla loro sinistra una fabbrica alta appena due piani sputa fumo nero dal comignolo.
Proprio ieri il governo cinese, dopo vibrate proteste della popolazione, ha cancellato un progetto per la costruzione di un impianto di uranio nella città di Jiangmen.
Nel 2011, ben 9.900 persone, scrive The Observer sono morte a causa del carbone utilizzato da 196 fabbriche inquinanti, 1.200 a Tianijn, il conto più salato è - chi poteva dubitarne? - dell’Hebei con 6.700, la provincia che da sola ha consumato nel 2011 ben 300 milioni di tonnellate di carbone. Ma il carbone rappresenta solo il 17% delle polveri sottili, il 22% è legato al traffico, il 16% alla polvere, altrettanto all’attività industriale, il restante 29% ad altre cause non meglio identificate.
Com’è intuibile, i media cinesi offrono una tale messe di informazioni da far impallidire lo studio pubblicato sulla prima del Financial Times che ha innescato le smentite di China daily sul taglio delle aspettative di vita causate dallo smog e che al Sud sarebbero più lunghe di cinque anni e mezzo rispetto al Nord.
L’inquinamento passa nel naso e nei polmoni di tutti. Il 27 giugno scorso in seconda lettura è stato esaminato dal National People’s congress standing committee il progetto di riforma della legge sulla prevenzione e controllo dell’aria che, se sarà approvato, comporterà penali molto salate fino a 200mila yuan per le aziende inquinanti ma dubbi rimangono sulla rappresentanza legale nel caso di class actions. Sempre China daily riporta che 10 milioni di ettari pari all’8,3 per cento della terra arabile sono contaminati, specie nella parte bassa del fiume Yangtze. Dall’aria, all’acqua.
Shenqiu è un villaggio dell’Henan che ha visto crescere in maniera esponenziale le morti legate all’inquinamento, nel 2010 ben 1724 vite, la percentuale di donne colpite da tumore ai polmoni è venti volte più alta rispetto agli anni Settanta. La causa acclarata è l’acqua del fiume Huahie, in grado di raddoppiare il tasso di mortalità a Shenqiu.
"Un villaggio del cancro", è stato il ministro della protezione ambientale a coniare il termine. Dal 2004 in poi sono state adottate misure incisive, molte fabbriche sono state chiuse. Ma, niente, se il Chinese center of desease control and prevention ha appena messo il fiume Huahie sul banco degli imputati, i danni fatti in trent’anni continuano a seminare morte, il legame tra l’acqua e le malattie, purtroppo, c’è e non accenna a spezzarsi. Ecco il dramma del Governo di Pechino: non ha il potere di cancellare il passato, ma deve costruire il futuro.