Filippo Facci, Libero 11/7/2013, 11 luglio 2013
È LA PROVA: I GIUDICI FAN CIÒ CHE VOGLIONO
È vero, sulla carta è tutto giusto e regolare, anzi: una giustizia che faccia ogni sforzo per evitare la prescrizione, e rientrare nei tempi previsti dalla legge, beh, dovrebbe essere lodata.
Un cittadino che sia sottoposto a tre gradi di giudizio in un solo anno (anzi meno, in 10 mesi) diventerebbe soltanto lo specchio di una giustizia esemplare, il contrario di quella che la Corte Europea purtroppo condanna continuamente per la lunghezza dei suoi procedimenti.
Il punto è che il cittadino in questione si chiama Silvio Berlusconi, specchio di un’altra cosa: di un’eccezione assoluta, della determinazione della magistratura a condannarlo con ogni mezzo discrezionale possibile e a farlo sparire dalla politica, ovviamente entro i perimetri di legge. Qui non si discute di merito, di innocenza o di colpevolezza, di giudizi e pregiudizi: si discute del particolare cittadino Silvio Berlusconi l’uomo delle leggi ad personam che la Magistratura sta processando con una determinazione ad personam.
Sul piano formale, ripetiamo, è tutto giusto e regolare: la Corte di Cassazione avrebbe l’obbligo di esaminare anzitutto i processi a rischio prescrizione (come quello di Berlusconi per i diritti Mediaset) e perciò esiste una Sezione feriale della Cassazione aperta da luglio in poi, cioè nel lungo periodo in cui i magistrati di norma non fanno un tubo perché godono delle ferie più estese d’Italia. Ma piantiamola di parlare come se questa sezione esaminasse tutti i processi indifferibili del Paese: anche qui va tutto discrezione.
Sta qui il paradosso: il formidabile e inaspettato rispetto della regola teorica quella che in dieci mesi giudica un cittadino nei tre gradi finisce per esaltare Berlusconi ancor più come eccezione. Perché la regola vera e corrente, come sappiamo, è quella dei sette anni medi per mandare in primo grado un processo per usura (a Milano) e dei cinque anni medi per un penale in primo grado (nel resto d’Italia) e degli otto-trent’anni per un rito civile, dei sette anni e mezzo per un divorzio, dei quattro anni per un’esecuzione immobiliare. La Corte Europea ci condanna per questo: per la giustizia ordinaria, quella che riguarda i cittadini con altri nomi e cognomi.
Poi ecco, c’è Silvio Berlusconi e una giustizia che il cittadino normale non vedrà mai: quella che ha fatto filare il primo grado del processo Mills per ben 47 udienze in meno di due anni, facendo lavorare i giudici talvolta sino al tardo pomeriggio e nei weekend. Quella che vide render note le motivazioni della sentenza entro 15 giorni (e non entro i consueti 90) così da permettere che il ricorso in Cassazione fosse più spedito che mai. Il presidente della Prima sezione penale, anche nel processo per i diritti Mediaset, lesse il dispositivo della sentenza e poi immediatamente anche le motivazioni (per due ore) secondo una procedura d’urgenza più che legittima, certo, ma semplicemente rara per procedimenti di tale complessità.
Non c’è soltanto Silvio Berlusconi, certamente: c’è tuttavia la discrezionalità della magistratura nel dare impulso ai processi che preferisce. Ci sono i giudici che hanno chiuso il caso Cogne in tre anni, e, in generale, che corrono come lepri ogni volta che i giornali ne scrivono. Per tutto il resto, per la giustizia ordinaria che riguarda noi mortali, parte la lagna: manca la carta per le fotocopie, il cancelliere è in malattia, la segretaria è in maternità.
Berlusconi è fortunato: tutto questo gli viene risparmiato. Si potrebbe anche sostenere che sia giusto, e che, essendo un cittadino particolare, urga maggior chiarezza sulla sua integrità morale e penale.
Ma non è quello che dicono e scrivono in giro: dicono e scrivono, in questi giorni, come se come se nella giustizia italiana i procedimenti e i provvedimenti avessero tempi fatali, preordinati, senza corsie di sorpasso, senza pratiche che passino da sotto a sopra la pila, come se non fosse vero che un giudice può tenere sul tavolo dei provvedimenti per quattro mesi come per quattro ore, come se la sezione feriale della Cassazione che molti non avevano mai sentito nominare sino a ieri fosse un passaggio banale e abitudinario. Non lo è. È soltanto un dettaglio, in più, della determinazione della Magistratura a farla veramente finita con Berlusconi.