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 2013  luglio 14 Domenica calendario

L’INVENZIONE DEL TURISMO


Questa è una breve storia (semiseria) del turismo. Parte dalla sua “invenzione” che compie centocinquant’anni e si snoda attraverso altre quattro tappe fondamentali che l’hanno reso quel che oggi, in piena stagione delle vacanze, è sotto gli occhi di tutti.

1863. Il viaggio organizzato
Costò dieci sterline a testa. Parteciparono in centotrenta. Partirono dall’Inghilterra e soggiornarono per due settimane in Svizzera. Sotto la guida della prima agenzia di viaggi del pianeta: Thomas Cook. Fu la svolta. Sancita, oltre un secolo dopo, da un celebre spot: «Vacanze fai da te? Ahi ahi ahi». In verità può valere anche il contrario: «Vacanze organizzate? Ahi ahi ahi». Molto dipende dagli stili di vita e dai modi di pensare. C’è chi guarda con ribrezzo le carovane e chi compatisce i solitari.


Il mutamento fu concettuale: sembrò ispirarsi all’idea di democrazia, nella sua variante realizzata (ossia, leggermente bacata). In sostanza: si individua qualcun altro a cui delegare le scelte, poi ci si muove in massa secondo le sue direttive. A questo ente supremo tocca decidere dove si va e per quanto tempo. Le sue incarnazioni sul territorio sono solitamente ridicole: premier imbarazzanti o capibranco con l’ombrello che indicano la prossima meta. Fu come se Cook avesse attuato Schopenhauer passando dal mondo come volontà al mondo come rappresentazione. Nella prima accezione attraversi il pianeta seguendo istinti, desideri, libere intuizioni, Nella seconda ti adegui a una configurazione predeterminata che ti mette al riparo dall’imprevisto (in teoria) e ti rifila il già visto (da altri prima e dopo di te, alla stessa identica maniera). Rassicurante o agghiacciante, di nuovo, a seconda delle opinioni. Di certo, come le successive innovazioni, allargava il numero dei possibili viaggiatori, costringendoli però a sottoscrivere un patto leonino che imponeva loro una metamorfosi. Per partire e tornare dovevano diventare turisti. E dire al rientro non più «sono andato a …», ma «mi hanno portato a...».

1950. Il villaggio turistico
Fu un pallanuotista belga, Gerard Blitz, ad avere l’idea, reduce da un villaggio olimpico: metti insieme un bel po’ di persone in un luogo ameno, organizza qualche gioco, una mensa e sta’ a vedere. Poco meno di sedicimila franchi dell’epoca e per due settimane trecento fortunati poterono inaugurare a Maiorca il primo Club Med. In realtà strutture simili erano già sorte, ma invece di una società per azioni le dirigeva un partito. La variante di Blitz teneva conto anche di questo fondamento. Nel villaggio-partito si cerca di impartire una disciplina. I turisti diventano adepti di un’ideale di vita che può apparire utopico, ma è sicuramente socialdemocratico. Il villaggio allude alla Città del sole di Tommaso Campanella. Batte moneta propria: denti di squalo, perline, tappi che sostituiscono le valute non solo degli abitanti, ma del luogo stesso. Crea delle gerarchie. Impone dei rituali. In una prima evoluzione assume i contorni del raduno di una setta. Gli animatori si atteggiano a guru e come quelli mietono conquiste per il solo fatto di conoscere i riti e i segreti. Chi entra lascia fuori la vita precedente e fa voto di fedeltà alla catena. L’anno prossimo, non necessariamente stessa spiaggia, ma stesso operatore, stesse cerimonie, stessi buffet. Nell’evoluzione successiva il villaggio diventa globale e rispecchia la forma per eccellenza di questa categoria: la televisione. L’italiano Fiorello incarna questo passaggio. Momento clou: il cruciverbone della sera. Quando il pazzo norvegese Breivik irrompe sull’isola di Utoya e massacra decine di ragazzi accampati in un villaggio creato dal partito socialdemocratico impersona in una mascherata delirante la rivolta nichilista e violenta contro ogni forma di organizzazione sociale, ogni governo dello spazio e del tempo, soprattutto quello libero. È paradossale, terribilmente.

1973. Lonely Planet
Si chiamava Across Asia on the cheap. La scrissero marito e moglie: Tony e Maureen Wheeler. Fu stampata e distribuita in proprio. Equivocando il testo di una canzone (diceva questo lovely, amabile, non lonely, solitario, pianeta), lui battezzò la casa editrice con un nome buffo. Esistevano già altre guide, ma questa divenne La Guida. Legioni di turisti si spostarono seguendo la Bibbia Gialla, come venne ribattezzata. Nessuno era mai stato così affidabile nel rappresentare il mondo. Il problema, volendone trovare uno, fu che il mondo, una volta rappresentato, non poteva più cambiare, neppure in meglio. Sono stato in un hotel di Alessandria d’Egitto che la Guida definiva ricco di fascino decadente, sebbene con asciugamani poco puliti. C’era tutto: il fascino e l’asciugamano zozzo. Se un turista veniva lì, aveva già accettato la condizione. Beduini nel deserto yemenita rifiutarono la trattativa sul prezzo di un trasporto in cammello: «Quaranta dollari, è scritto sulla Lonely Planet». Ha cristallizzato il pianeta, almeno fino all’edizione successiva. È diventata l’alternativa presunta al viaggio organizzato. O vai in gruppo con Cook, o da solo, ma sulle orme di Wheeler. Invece di seguire l’ombrello milioni di persone hanno attraversato il pianeta con la faccia conficcata nella guida: «Dice di andare a bere nel bar all’angolo, poi di curiosare nel negozio di vinili dall’altra parte della strada». In Allegro Occidentale Francesco Piccolo usa un’immagine perfetta, quella di un turista che, guida in mano, osserva una fotografia e cerca di farsi riprendere esattamente in quello stesso punto, identico panorama alle spalle. Ha attraversato il mondo, ha viaggiato dentro una guida.

1981. Il volo low cost
Una mattina di giugno si alzò nei cieli d’America un aereo della Southwest che percorreva una rotta interna. Sembrava uguale agli altri, ma era la rivoluzione. La deregulation dei cieli aveva aperto le rotte a qualunque iniziativa concorrenziale e quella dei prezzi bassi era la prima, inevitabile mossa. Sarebbero seguite alcune sciagure, in senso più estetico che cronachistico: i velivoli da fumetto con colori e fattezze disneyane, le Topolino dell’aria; le lotterie a tremila metri di Ryan Air; gli underbooking che determinano voli fantasma; il check in fai da te riservato ai solutori più abili. Le linee low cost hanno avuto, come ogni innovazione, vantaggi e svantaggi. Da un lato ci hanno consentito di capire qualcosa in più sulla vita e noi stessi. In particolare hanno ribadito, esemplificandolo, il concetto di superfluo. Fare una valigia e poi togliere. Ridurre i bagagli a uno, possibilmente a mano. Eliminare seconde sacche. È un esercizio virtuoso. Alla fine quel che è rimasto fuori era già fuori. E la vita continua, più leggera e facile. Il lato oscuro del low cost è lo stesso della democrazia: ma dobbiamo votare/volare proprio tutti tutti? E una testa un voto, un sedere una poltrona? Siamo sicuri? Il dubbio si affaccia quando, nel bar di un hotel di Riga, incroci una dozzina di inglesi arrivati da Manchester per una tregiorniduenotti no stop che prevede caccia coi pallettoni di vernice nei boschi, lap dance e pillole antisbornia nel pacchetto (vedi alla voce viaggio organizzato).

2000 Trip Advisor
Poi arrivò Internet. E niente più fu come prima. Nemmeno il turismo. La rete diede il potere alla masse e le masse se lo presero. Con Trip Advisor tutti contribuirono alla guida collettiva universale. Todos caballeros e tutti recensori. Il giudizio venne ritenuto più affidabile perché la fonte più vicina. Uno come noi, che toglieva una stella perché a colazione la brioche era rancida o segnalava quale dei proprietari era più affabile. Trip Advisor e i siti fratelli hanno lo stesso limite che ha tutta la Rete. Troppe informazioni equivalgono a nessuna. Troppi informatori comportano informatori fasulli. Per scegliere un hotel sarà sbagliato affidarsi all’agente di viaggio che mai c’è stato, fidarsi ciecamente della Guida o di una rivista specializzata (che incensa solo gli inserzionisti), ma perdere ore a leggere valutazioni di ignoti incontentabili ha più senso? E quanti tra questi, come si scoprirà, non sono pagati per dare o togliere punti? Internet ti convince di poter governare la complessità con un clic. Molto spesso è quello dell’interruttore della luce che si spegne e ti lascia nell’oscurità in balia di animatori (vedi alla voce villaggio turistico) non del tutto lucidi. Finisce che vai sul sito di Thomas Cook e il cerchio si chiude. O quasi. Nella sua autobiografia Tony Wheeler, mister Lonely Planet, racconta che infinite volte viaggiando si è perso. Lui, l’Uomo Guida. Sarà capitato anche a voi: smarrendovi trovate ciò di cui avevate bisogno. Non si chiama turismo, neppure viaggio. È la vita.