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 2013  luglio 14 Domenica calendario

MARIA, LA RAGAZZA CHE SI FINSE MASCHIO PER GIOCARE A SQUASH E SFIDARE I TALIBAN


NON ti fanno mai veramente giocare con la scusa dell’Islam. Ti liberano per un attimo, poi devi tornare prigioniera. Inshallah. La primavera araba per lo sport femminile è uno sport ad ostacoli, spesso un miraggio. Perché anche i muscoli mettono paura, danno indipendenza come i libri e le matite. Le chiamano le campionesse di Allah.

SERVONO per farle sfilare alle Olimpiadi, e mostrare che sotto l’hijab c’è tutto: non solo arretratezza, ma voglia di recuperare. Però dura un attimo, il tempo di un clic. La quotidianità è un’armatura medioevale che t’impedisce di misurarti.
Tante donne per partecipare (anche alle prime maratone) si sono travestite da uomini, la stessa Ondina Valla, prima azzurra a vincere un oro olimpico, a Berlino nel ’36, negli 80 ostacoli, disse che meritava anche i Giochi di Los Angeles nel ’32, «ma non mi portarono perché il Vaticano fece sapere che non stava bene far viaggiare una ragazza in nave con degli uomini». Ci provano le ragazze a fare sport, ma spesso vengono fermate, anzi arrestate. Elham Ashgari, 32 anni, campionessa di nuoto iraniana, è costretta ad andare in acqua con una tuta da sommozzatrice che pesa 6 chili. Una zavorra. E nonostante l’hijab acquatico sia stata approvato dai giudici, quando nuota in mare, viene fermata dal motoscafo della polizia. «Si intuisce la forma del corpo femminile». Ma va? Allora la si investe, così impara.
Hamdiya Ahmed lanciava il giavellotto con il velo, sotto lo sforzo gridava «Allah», e piangeva. Perché in un altro mondo le altre potevano fare sport. Ahmed a 28 anni nuotava, cavalcava, tirava bene la palla a canestro. Si allenava tre volte a settimana. Ma viveva in Iraq dove le campionesse non hanno storia. Dove lo sport non è sogno privato, ma incubo di stato. Ahmed nuotava bene? Facesse la bagnina in piscina: era lì che serviva. E così per vent’anni lei è stata a palazzo: a trafficare con gli asciugamani. Signore, serve niente? Signore, va tutto bene? Signore, Saddam Hussein. Ai dittatori piace mettere i campioni a servizio.
Anche il calcio femminile islamico sta cercando di smarcarsi da un terzino feroce. Per ora siamo a un compromesso. La centravanti non avrà il velo, ma solo una cuffietta. Non è mica da questi particolari che si giudica una giocatrice. Provateci a fare un tiro al volo o un dribbling con il velo che s’impiglia sulla finta. E per di più con la tuta. Nel calcio maschile fino a poco tempo fa le donne non erano ammesse nemmeno come spettatrici, infatti ci andavano vestite da uomo. La prima partita all’aperto tra due squadre femminili in calzoncini e maglietta si è giocata nell’ottobre 2003, a Teheran, ma solo con pubblico di donne. L’Iran ha organizzato due Giochi femminili islamici, nella quarta edizione: 18 sport, 1300 atlete, 43 paesi. Gare solo per donne, pubblico inesistente, nessuna pubblicità. Niente foto in piscina o senza velo, e nell’equitazione niente amazzone, se insistevate vi facevano riprendere il cavallo. Una ragazza senegalese che si pavoneggiava prima della sfilata nelle sue scarpe dorate si beccò uno schiaffone dalla capodelegazione. Appena il velo scivolava via, c’era subito chi te lo faceva notare con un rimprovero.
Nel nuoto permesso il costume intero, vista l’assenza di sguardi indiscreti, solo donne e niente foto, pena sequestro del rullino. Ma poco è meglio di niente. E lo sport almeno serve per fare un giro nella vita.