Sergio Rizzo, CorrierEconomia 15/07/2013, 15 luglio 2013
LA STORIA SENZA FINE DELLA CASSA DEL MEZZOGIORNO
Al Sud era come se fosse arrivata la Befana, scrisse Indro Montanelli nella sua famosa inchiesta del 1963 sulla Cassa del Mezzogiorno pubblicata dal Corriere. «Tuttora», chiosava, «molti di loro lo pensano perché da cent’anni non sono abituati a ricevere che Befane: un ponte qui, una strada là, un po’ di appalti, qualche ufficio dalle attribuzioni vaghe che fornisse solo un pretesto alla distribuzione di qualche impieguccio».
E a distanza di cinquant’anni da quelle parole forse Montanelli rabbrividirebbe, apprendendo che la Cassa del Mezzogiorno è ancora in qualche modo viva e vegeta. Sta dentro il ministero dell’Agricoltura, sotto forma di un commissario ad acta. Niente a che vedere, beninteso, con quel mostro che cominciò con la costruzione delle grandi opere pubbliche, delle reti idriche e stradali essenziali per tentare di agganciare il Sud al resto del Paese, per finire distribuendo soldi a pioggia a iniziative spesso discutibili. E nemmeno con il suo erede, quell’Agenzia del Mezzogiorno che nel 1986 ebbe in dote 120 mila miliardi di lire: la più imponente e fallimentare iniezione di denaro pubblico nelle aree meno sviluppate del Paese da quando esiste lo Stato unitario. Una esperienza troncata all’improvviso, vent’anni fa, il 3 aprile del 1993, dal ministro Beniamino Andreatta. «La discontinuità fu violentissima e, per molti versi, drammatica. Molti interventi furono bruscamente interrotti, a partire dalle agevolazioni alle attività produttive: per anni si è trascinata la questione degli incentivi alle imprese che avevano la domanda di finanziamento bloccata in uno dei passaggi dell’iter istruttorio» rievoca l’ex amministratore delegato di Sviluppo Italia Carlo Borgomeno, che di quella stagione fu tra i protagonisti, nel suo bel libro L’equivoco del Sud appena pubblicato da Laterza.
Il 3 aprile del 1993, dunque, l’Agenzia che aveva sostituito la Casmez viene chiusa. Contestualmente comincia la liquidazione, che si profila complicatissima. Tanto per cominciare, ci sono le opere da completare: 1.080 progetti di opere idriche per poco meno di 3 miliardi di euro, poi ridotti a 510 milioni. E per come vanno le cose in Italia, dove le liquidazioni durano secoli fra carte bollate e contenziosi, era naturale che in appena vent’anni non si fosse riusciti a mettere la parola fine.
In questo caso, però, è successo anche altro. Perché al commissariato che ha sostituito l’Agensud, collocato all’interno del ministero dell’Agricoltura, sono stati negli anni attribuiti sempre maggiori compiti. Con una legge del 1995, quello di seguire i nuovi interventi irrigui nelle aree depresse: un miliardo 40 milioni. Grazie a una serie di delibere del Cipe, poi, sono arrivati altri 453 milioni per «progetti promozionali nel settore del Mezzogiorno interno», la forestazione delle zone a rischio idrogeologico della Campania e perfino la valorizzazione dei prodotti agricoli tipici. Niente da dire: il ministero è quello giusto, l’Agricoltura. Ma perché la valorizzazione dei prodotti tipici debba essere competenza di un commissariato, è mistero. Per non parlare della concessione dei contributi alle produzioni mediterranee di qualità: 10 milioni. Mentre finora il capitolo «valorizzazione» ha assorbito un impegno finanziario di ben 131,7 milioni. L’ultima iniziativa è di un mese fa, con l’apertura delle «Strade della mozzarella».
Non bastasse, un provvedimento del governo di Mario Monti della scorsa estate meglio noto come «decreto sviluppo» ha attribuito al commissario dell’Agensud competenze sugli impianti idroelettrici «connessi alle opere irrigue». Incarico preso assolutamente sul serio: i consorzi di bonifica dal Sud al Nord hanno già proposto di realizzare 211 impianti. Una nuova assicurazione sulla vita, considerando la rapidità con la quale procedono di solito le opere idriche.
Il commissario Roberto Iodice, ingegnere idraulico di Santa Maria Capua Vetere, funzionario del ministero dell’Agricoltura esperto in infrastrutture irrigue, conosce bene la materia. Di proroga in proroga, ha compiuto dieci anni di mandato: la nomina risale al 2003, quattro governi e cinque ministri fa.
Sergio Rizzo