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 2013  luglio 15 Lunedì calendario

«AMO GLI ANIMALI. E POI IL MIO ERA UN GIUDIZIO ESTETICO E NON POLITICO» —

«Adesso non posso proprio. Scusi, ma inizia la MotoGp. Ci sentiamo più tardi…». Domenica pomeriggio. Roberto Calderoli risponde al telefono. Tranquillo, sta nella villa di Mozzo che ospiterebbe il mezzo zoo di cui lui stesso ha parlato alla festa leghista di Treviglio sabato, preambolo dell’offesa al ministro Cécile Kyenge, paragonata a un orango. Ebbene. Un paio d’ore dopo il primo tentativo, il vicepresidente del Senato torna raggiungibile. «Valentino Rossi è arrivato terzo e non primo, ma ci accontentiamo». Non fa una piega, mentre fuori sulle sue parole tira la bufera.

Moto Gp? Non sembra preoccupato del polverone.
«Francamente non lo capisco, se non in termini politici. Io sabato ho chiarito le posizioni leghiste rispetto al ministro, che era appena stata a Bergamo, segnalato i problemi della provincia con i clandestini. Ora si dibatte su una frase estrapolata dal contesto».

Su una frase razzista.
«Ho fatto una premessa al comizio, cioè il mio amore per gli animali. Lì — sbagliando, lo ammetto — ho esplicitato un pensiero: citare l’orango era un giudizio estetico che non voleva essere razzista. Mi lasci spiegare. Io ho una mia forma mentis: quando conosco una persona, faccio paragoni estetici con un animale. Per tutti».

Incoraggiante…
«Non so. Però è così. Io vedo il presidente Letta un po’ come un airone: le gambe lunghe, zampetta nella palude. Il vicepresidente Alfano? Forse un po’ rana. Il ministro Cancellieri? Mi dà l’idea del San Bernardo, che è pacioso ma sa anche mordere…».

Senatore, non crede di peggiorare la sua situazione?
«Non importa. Fabrizio Saccomanni, dell’Economia, l’ho sempre visto come Paperon de’ Paperoni che sotto le ali ha i miliardi. Il titolare degli Affari europei Enzo Moavero Milanesi lo vedo pavone, con il riporto fa la coda. Per ciascuno ne ho una…».

Anche per se stesso?
«Ovviamente sì. Io mi sento orso, ma mi definiscono un maiale per via del porcellum. Ecco, in questa logica sulla Kyenge non voleva esserci alcunché di razzista».

È pentito di quelle parole?
«Mi è spiaciuto che, di un intervento di 45 minuti tenuto davanti a 1.500 persone, tutto si sia ridotto alla questione dell’orango. Molto è montato ad arte. Ricordo che il governo deve risolvere questa settimana la posizione di un paio di ministri dopo che una persona che aveva tutto il diritto di stare in Italia è stata rispedita dove ci sono pericoli da cui andava protetta. Qualcuno dovrà spiegare. E qui sì che delle dimissioni ci saranno davvero».

Il pasticcio kazako. Di preciso con chi ce l’ha?
«Non si è capito da chi è stata gestita la cosa, se dal ministero dell’Interno, degli Esteri. Letta ha promesso la verità. Alfano è un mio amico, ma se dovesse aver sbagliato, è giusto dia le dimissioni. Così come se l’errore è nato agli Esteri la Bonino, che pure è un’amica, dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. Non per un giudizio estetico, ma per fatti».

Il «giudizio estetico» è arrivato dal vicepresidente del Senato.
«Da vicepresidente del Senato io rispondo del mio comportamento in Senato. Ho un duplice ruolo: istituzionale e politico. Mi muovo di conseguenza. Se non va bene, si metta la regola che chi ha un ruolo in un partito non può fare il vicepresidente del Senato».

Ma mezzo Parlamento chiede le sue dimissioni. Cosa dice?
«Il giorno che dovessi pronunciare una frase sconveniente in Senato, sarò il primo a dimettermi. Ciò che accade fuori lo giudicano il mio partito e soprattutto gli elettori».

Ha detto che la sua è stata una «battuta da comizio». È come dire che ai vostri comizi certe cose sono normali.
«Li ha mai sentiti i comizi degli altri? Si dice anche di peggio. Comunque mi pare assurdo che per fare un governo si debbano scegliere ministri tedeschi o del Congo».

Cécile Kyenge è italiana, però.
«Ha la cittadinanza italiana, è diverso. Ma secondo lei parla in un italiano corretto? A chi la ascolta, il giudizio…».

A proposito del suo partito, ha sentito Maroni?
«Certo. Insieme invitiamo il ministro Kyenge alla Bèrghem Fest di agosto, dove mi potrò scusare di nuovo personalmente se si è offesa, a un dibattito sull’immigrazione. Con Maroni concordiamo: il polverone copre i problemi del governo e della questione kazaka».

Due settimane fa Bossi le dà del democristiano, contesta la Lega diventata «partito delle cravatte» di Maroni governatore lombardo, ora lei sale sul palco e dopo un lungo periodo di fair-play lancia invettive che soddisfano (in teoria) la pancia del Carroccio. È malizia vederci una tattica precisa?
«Io i comizi li faccio a braccio. Sono estraneo ai tatticismi. Però ho ricevuto una montagna di telefonate, messaggini e commenti. I militanti dicono: la Lega torna a fare la Lega».

Ma la Lega è questa?
«Quella dei giudizi estetici, no. Quella che dice chiaramente come la pensa sulle sue battaglie, come i clandestini, sì».

Anna Gandolfi