Serena Danna, la Lettura (Corriere della Sera) 14/07/2013, 14 luglio 2013
MANDAMI LE TUE MAIL. LA PRIVACY E’ FINITA
Succede a volte di incontrare biografie perfette: artisti sempre coerenti con il loro personaggio e con le aspettative del pubblico. È il caso di Miranda July, 39 anni, performer, regista e scrittrice californiana, nota al grande pubblico per Me and You and Everyone We Know, film del 2005 premiato al Sundance Festival e a Cannes. Il suo percorso non contempla smagliature o imprevisti: collaboratrice della rivista «New Yorker», autrice di racconti, beniamina del cinema indie, moglie del maestro di video clip Mike Mills, migliore amica dello scrittore Rick Moody e intervistatrice della star di Girls Lena Dunhan. July era hipster prima che la parola hipster diventasse l’etichetta per identificare i giovani alternativi della nuova (sedicente) contro-cultura americana.
Per il suo ultimo progetto, We Think Alone, commissionato dal Magasin 3 Stockholm Konsthall, l’artista, occhi blu e boccoli neri, ha aperto le porte del suo mondo pastello alle celebrità, chiedendo ad alcuni personaggi famosi di rendere pubbliche le mail inviate ad amici, parenti e collaboratori su temi che spaziano dal denaro alla rabbia. A partire dal 1° luglio, per venti settimane, gli iscritti al progetto — al momento ottantamila persone — riceveranno, ogni lunedì, via mail, gli scambi privati della star di Hollywood Kirsten Dunst, del campione della Nba Kareem Abdul-Jabbar, degli scrittori Sheila Heti e Etgar Keret, delle fashion designer Kate e Laura Mulleavy, della fotografa Catherine Opie, del fisico Lee Smolin, dell’artista Danh Vo e di Lena Dunham. In attesa del terzo invio — in arrivo domani, lunedì 15 luglio — i primi due hanno già suscitato ironie e commenti. Si è appreso, ad esempio, che la regista di Girls ha dovuto rinunciare con molti rimpianti a un divano da 24 mila dollari o che la protagonista di Spider Man è riuscita a vendere per sette mila dollari la sua automobile usata a un’amica. Si scopre ancora che, secondo il campione Kareem Adbul-Jabbar, per diventare un bravo giocatore di basket è necessario «studiare molto e prendere buoni voti al college perché né i soldi né solo la pallacanestro rendono la vita interessante».
July, all’anagrafe Miranda Jennifer Grossinger, assicura che nella scelta di coinvolgere personaggi famosi non c’entra il voyeurismo né la fascinazione popolare per il mondo dello spettacolo. «Avevo bisogno di nomi che catalizzassero l’attenzione delle persone sul progetto e le stimolassero a partecipare», ammette al telefono dalla sua casa di Los Angeles, dove vive con il marito e la figlia. «Non mi interessa la cultura delle celebrità, spero di portare il pubblico a metterla in discussione: all’inizio penseranno che Kirsten Dunst è "una persona normale" ma, forse, quando il numero di informazioni crescerà, cominceranno a capire qualcosa di lei come individuo».
All’origine dell’idea di We Think Alone c’è l’enorme curiosità di Miranda July: «Mi piace osservare come si comportamenti gli amici in mia assenza: le espressioni che utilizzano, il tono, la confidenza. Per questo chiedo spesso di inviarmi la loro corrispondenza elettronica. È come assistere a un incontro dal marciapiede opposto e provare a interpretare le dinamiche». Ossessioni personali a parte, il progetto — che inizialmente doveva chiamarsi Privacy — porta con sé una riflessione più ampia su come le nuove tecnologie stanno cambiando il concetto di intimità: «La tua idea di privacy arriva oggi a definire la persona che sei — spiega —. Internet richiede un ruolo attivo nel decidere il grado di privato della propria esistenza: lo spazio da condividere con gli altri, quello dedicato a pochi, quello per se stessi». La scrittrice racconta che, durante la stesura del progetto, amici e collaboratori si sono naturalmente divisi in due categorie: da un lato, i fanatici della non-condivisione, convinti che la propria attività online vada sempre protetta da occhi indiscreti, dall’altro, i radicali della partecipazione, persuasi, al contrario, che nel nuovo mondo il concetto stesso di intimità passi dalla partecipazione. Mentre i creativi discutevano in studio, l’ex dipendente della Cia Edward Snowden rivelava al mondo che la National Security Agency americana spia i cittadini attraverso Internet e telefoni. July, obamiana di ferro, non è turbata dalle rivelazioni: «Sono sicura che quelle informazioni servono a garantire la sicurezza mia e degli americani. Ciò che davvero mi spaventa è il ruolo delle corporation che, a differenza dei governi, non hanno interessi pubblici».
Il contesto teorico capace di spiegare una visione così «pragmatica» della privacy è quello indicato dalla filosofa della New York University Helen Nissenbaum. Nel tentativo di interpretare lo zeitgeist, Nissenbaum ha elaborato la teoria dell’integrità contestuale, l’idea che nella società dell’informazione non esista una sfera privata e una pubblica, ma una pluralità di spazi, ciascuno con le sue regole. Le domande sui nuovi confini dell’intimità non riguardano solo il rapporto con l’altro: «L’immersione nello schermo mi avvicina o mi allontana da me stessa?», si chiede l’autrice che, quando scrive — come in questo momento in cui è alle prese con un libro —, utilizza programmi che bloccano l’accesso a Internet per evitare distrazioni: «Il mio istinto naturale è quello di lasciarmi travolgere dal flusso del web ma poi, quando sono concentrata sulla scrittura, ho bisogno di trovare uno spazio che sia tutto mio: lì scopro una relazione nuova con me stessa».
July è un’artista nativa digitale. Non ha dovuto apprendere tecniche o studiare libri per capire le potenzialità del web: «Nel caso di We Think Alone sfrutto la meravigliosa opportunità offerta da Internet di espandere i confini temporali e spaziali di una performance, portandola ogni lunedì direttamente nella casella di posta di decine di migliaia di persone». «Gli altri» sono sempre stati un elemento fondamentale dei suoi progetti artistici: «Mi piace portare il pubblico nei miei lavori, farlo partecipare alla realizzazione dell’opera». Da questa passione è nato Learn to love you more, un portale, diventato poi un libro e parte della collezione permanente del museo d’arte contemporanea di San Francisco, che ha messo insieme i contributi auto-prodotti di 10 mila persone. Per sette anni i partecipanti hanno eseguito le indicazioni dell’artista (tra le varie: «riproduci la conversazione telefonica a cui vorresti assistere»; «dai un consiglio al te stesso del passato»; «fotografa i tuoi genitori mentre si baciano») fornendo testi e materiale audio-video. Per It Chooses You, pubblicato da McSweeney’s, July ha invece intervistato gli inserzionisti di Penny Saver, una rubrica di annunci di Los Angeles, con l’obiettivo di conoscere le storie che si nascondono dietro a un oggetto da vendere (o da comprare).
Gli sconosciuti non sono sempre benevoli con l’artista californiana: al pari di molti personaggi di successo, Miranda July si è attirata le attenzioni dei cosiddetti haters, i fomentatori di odio sempre alla ricerca di vittime da insultare sul web. Online sono parecchi i luoghi dove si addensa il fastidio per la regista di The Future (la sua seconda opera non ancora distribuita in Italia) considerata da alcuni espressione di un anticonformismo patinato. July sembra non esserne turbata: «Quando fai qualcosa che viene percepita come una rottura dei soliti schemi, attiri per forza antipatie. Il nuovo, l’insolito fanno paura a molti. L’ho messo in conto e non mi spaventa». Con lo stesso orgoglio, rivendica di sentirsi rappresentante di un nuovo femminismo «legato alla naturalezza di essere imperfetta». «Il termine femminismo — spiega — non indica più grandi teorie, battaglie, negazioni ma è uno strumento per orientarsi nella quotidianità».
Serena Danna