Dario Di Vico, Corriere della Sera 14/07/2013, 14 luglio 2013
DAL CINEMA ALLE APP, LE NUOVE MOSSE PER ATTRARRE TURISTI
Il governo Letta non ha avuto tempo per dedicarsi ai problemi del turismo, altre erano le priorità. Però non sarebbe male affrontare l’estate con maggior piglio, sfruttare la stagione congeniale per spingere nuove iniziative e tentare di creare posti di lavoro. Insomma, giocarsela. Anche perché alle attrattive naturali e artistiche si sta affiancando un altro canale di offerta, rappresentato dal ricchissimo cartellone di manifestazioni culturali e dagli innumerevoli festival che le amministrazioni locali hanno messo su. Una scelta (giusta) Letta l’ha fatta accorpando Beni culturali e Turismo, ma non è sufficiente, ci vogliono anche buone idee di business. Quali potrebbero essere?
Il consiglio che dà Massimo Bergami dell’università di Bologna, che come consigliere economico dell’ex ministro Piero Gnudi ha lavorato alla stesura di un piano strategico, è di puntare sui viaggiatori internazionali. Secondo una stima divulgata ieri dalla Confartigianato la crisi costringerà 7,8 milioni di italiani a rinunciare alle ferie estive e quindi non può venire da lì uno stimolo di mercato. Nel mondo fortunatamente il numero dei turisti aumenta al tasso medio del 4% l’anno. Una buona fetta (400 milioni di persone) sceglie come destinazione l’Europa Occidentale e i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, luoghi non lontani dall’Italia. «Se vogliamo intercettare questi flussi dobbiamo abituarci a costruire un’offerta diversa per ciascun segmento di viaggiatori» suggerisce Bergami. Una cosa sono i turisti europei cosiddetti «affluenti» che tornano spesso, altra sono quelli che per scegliere si servono del web e ancora differenti sono i turisti dell’Europa orientale «mordi e fuggi». La necessità di costruire offerte diversificate non è stata ancora recepita dal nostro sistema e dalle singole imprese. Il 75% di chi viene in Italia è ancora catalogabile tra gli europei ma la tendenza ci dice che a crescere di più sono russi, cinesi, indiani, brasiliani e arabi.
Carlo d’Asaro Biondo, presidente europeo di Google, qualche tempo fa ebbe a raccontare in pubblico che «Italia» come brand è secondo solo alla Coca Cola nelle ricerche via Internet. Da noi però c’è la tendenza a promuovere di più la singola impresa o territorio invece che puntare sul marchio leader e su un’offerta integrata più ampia. Il nostro rischio è che i turisti cinesi si imbarchino per Venezia da Monaco (anche con il cestino del pranzo) e tornino la sera a dormire nella città bavarese. Come si fa allora ad attrarre i turisti con maggiore capacità di spesa?
In Italia sono stati contati 34 mila alberghi, in Spagna ce ne sono meno della metà ma noi fatturiamo meno notti. «Non ci servono grandi hotel ma piuttosto una capacità manageriale che oggi nelle piccole strutture familiari è bassa, anche perché troppo spesso si sovrappongono investimento immobiliare e gestione turistica, due mestieri diversissimi tra loro» dice Bergami. La strada è quella di investire sui piccoli alberghi riqualificandoli e mettendoli in rete. Lo si può fare in senso orizzontale o verticale e vale anche per la ristorazione. Se in una zona del Paese, mettiamo la penisola Sorrentina, esiste un’elevata concentrazione di ristoranti stellati, tendono a viversi un po’ come concorrenti mentre dovrebbero raccontarsi come un distretto leader del food e mettere insieme risorse per promuoversi. Una recente ricerca condotta dall’università di Bologna su 350 tour operator internazionali rivela che l’Italia è considerata «difficile da usare, faticosa». La connessione non-faticosa può partire anche da un solo punto. Ci sono produttori di vino che hanno saputo costruire attorno alla loro azienda un percorso che guida il turista in una rete territoriale per cui è stimolato a bere un buon vino sulle colline di Bologna, poi è invitato a visitare Ravenna, magari la Ferrari e via di questo passo. Anche i musei di impresa possono essere messi in rete e rappresentare un’attrattiva internazionale. Oggi invece manca persino un cartellone degli eventi, di quelli più significativi e con lunga tradizione, figuriamoci dei piccoli festival nati negli ultimi anni.
Nella promozione gli esperti suggeriscono che i film hanno una resa eccezionale, non sono pubblicità esplicita ma subliminale. L’Italia dei nostri padri deve molto a «La dolce vita» e «Vacanze romane» che mixando attori italiani e stranieri seppe accendere i riflettori su Roma. Qualcosa del genere è accaduto, sul mercato interno, con la trasposizione in tv dei racconti del commissario Montalbano e la nascita di un turismo nei luoghi della fiction. «Un’idea potrebbe essere anche quella di utilizzare i grandi cuochi italiani ai vertici delle classifiche internazionali come ambasciatori del turismo — propone Bergami —. Stanno godendo di una visibilità globale e ormai come i loro colleghi non vengono ingaggiati solo per i grandi pranzi ma anche per tenere conferenze».
La nostra forza turistica oggi si concentra sulle città d’arte (Roma, Venezia, Firenze) e dello shopping (Milano) ma il resto risulta sacrificato. Cinque regioni (Lazio, Lombardia, Veneto, Trentino, Toscana) cumulano il 75% dei pernottamenti degli stranieri, le cinque migliori regioni del Sud arrivano appena al 12%. È evidente che c’è molto da lavorare anche perché il turismo è un’industria labour intensive e le ricadute occupazionali sono molto interessanti per un Paese che ha 3 milioni di senza lavoro.
Nel frattempo occorre tener d’occhio come stia diminuendo la presa dei tour operator, il turista affluente si cuce la vacanza da solo via web mentre si servono degli agenti specializzati i viaggiatori che vengono da lontanissimo. Questa trasformazione ci prende un po’ in contropiede, siamo ancora indietro nella promozione delle singole imprese via Internet e molto pigri nella produzione di app per quei turisti che si basano sempre di più sugli smartphone. L’altra novità che viene dal web è il successo di siti come Tripadvisor che influenzano la reputazione degli alberghi e dei ristoranti soprattutto nel segmento dell’offerta media o come «A small world» nel segmento più elevato. «Per migliorare la nostra competitività turistica e recuperare il gap tecnologico c’è molto da fare nel campo delle risorse umane — conclude Bergami —. Bisogna riqualificare le nostre scuole alberghiere e formare imprenditori e manager. Con una visione integrata turismo-cultura si crea anche una via di sbocco per i laureati in discipline umanistiche».
Non sarebbe male.
Dario Di Vico