Mario Baudino, La Stampa 15/7/2013, 15 luglio 2013
DA PAUL AUSTER A DORIS LESSING, QUANDO I BIG SI NASCONDONO
Ci sono molti motivi per scrivere sotto pseudonimo, quando si è famosi e anche quando si è sconosciuti. Uno sconosciutissimo Paul Auster, per esempio, compose il suo primo omaggio alla tradizione dell’hard boiled americano con Gioco suicida ( Squezed Play ) firmandolo Paul Benjamin. Erano gli Anni Settanta, lui se ne girovagava per Parigi, senza un soldo, cercando di dare un senso al desiderio di essere scrittore. «L’ho fatto per denaro - spiegò vent’anni dopo -, è un libro illegittimo». Ma Auster è un maestro dell’autofiction, e i suoi romanzi sono pieni di pseudonimi ed eteronimi che fanno più o meno le stesse cose. A ogni buon conto, il libro è da tempo pubblicato (in Italia da Einaudi) col suo vero nome. Anche John Banville, scrittore irlandese raffinato e coltissimo, a volte diventa - guarda la coincidenza - Benjamin Black, scrive polizieschi (ma da noi pubblica tutto - da Guanda - anche lui col solo vero nome) e si lascia fotografare addobbato un po’ da gangster.
C’è spesso nella scelta dello pseudonimo - quando non è forzata, come nel caso ovvio di Natalia Ginzburg, antifascista e ebrea, che pubblicò nel 1942 la prima edizione di La strada che va in città sulla vita al confino col marito Leone Ginzburg firmandosi Alessandra Tornimparte - una componente di beffa, un gioco col lettore ma soprattutto col mondo letterario. Alberto Pincherle divenne Alberto Moravia nel lontano ’29 pubblicando Gli indifferenti presso la fascistissima casa editrice Alpes (e per di più a pagamento). Elena Ferrante, la misteriosa autrice di E/O, riesce da sempre a tenere segretissima la sua vera identità. Anni fa uno studioso la identificò con una certa sicurezza nello scrittore napoletano Domenico Starnone, ma la tesi non ha mai preso veramente piede. Uno scrittore olandese, Arnon Grunberg, ha cambiato nome per vincere due volte un premio dedicato all’opera prima: forse sulle tracce del «maledetto» Romain Gary - pseudonimo di Roman Kacew, che nel ’56 vinse il Goncourt e dopo quasi vent’anni, semidimenticato, lo conquistò di nuovo come Emile Ajar.
Doris Lessing, ovviamente già famosissima, mandò invece agli editori un romanzo firmato Jane Somers. Lo rifiutarono in massa, e quando infine riuscì a pubblicarlo, l’eco fu assai scarsa. Ne scrisse allora il seguito, rese pubblico il caso e raccolse le due opere ovviamente col proprio nome, per dimostrare che «niente ha più successo del successo». Era nato Il diario di Jane Somers , uno dei suoi libri più famosi.