Maria Latella, Il Messaggero 14/7/2013, 14 luglio 2013
BONINO: «IL 2 GIUGNO DISSI AD ALFANO: SEGUI PERSONALMENTE IL CASO»
Dopo un grande dolore, dopo una sconfitta bruciante, c’è chi si chiude in casa, chi parte per un lungo viaggio e dopo scrive un best seller come «Ama, mangia, prega». E chi se ne va al Cairo, impara l’arabo e aggiunge tasselli importanti al percorso che l’ha portata qui, tra marmi freddi e spazi luminosi. Alla Farnesina insomma. Seconda donna a ricoprire la carica (la prima fu Susanna Agnelli) e primo ministro degli Esteri italiani capace di interloquire in lingua araba. Il dolore da cui parte questo colloquio risale al 2001, alla sconfitta elettorale di quell’anno. «Ero capolista con Luca Coscioni. Fu una sconfitta bruciante. Uno si mette là, piange un po’...». Davvero ha pianto? «Uhh». Era parlamentare europeo, decise di prendere un periodo sabbatico. «Ne parlai con Marco (Pannella ndr), mi sostenne nel progetto. E ad agosto 2001 mi trasferii al Cairo».
Ma è di un’altra parte di mondo che Emma Bonino si sta occupando in queste ore. La città si chiama Astana, capitale del Kazakhstan ed è il luogo dove si trova Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muchtar Ablyazov, prelevata con la figlia Alua da agenti della squadra mobile di Roma nella villa di Casalpalocco. La vicenda è esplosa a livello internazionale. Come la stessa Bonino ha osservato giorni fa, l’Italia rischia «una figura miserabile». Il governo Letta ha revocato l’espulsione, stabilendo che la Shalabayeva può tornare, ma il caso è tutt’altro che chiuso. Il ministro sotto accusa è quello degli Interni, Alfano. Come Emma Bonino, non ne sapeva niente. Ma per lui sarà più difficile spiegare come sia stato possibile tenere all’oscuro il ministro dell’Interno. Possibile? La domanda alla quale si dovrà rispondere è perché mai il capo della squadra mobile abbia deciso di non avvertire nessuno.
LA MAIL SU ALMA
Emma Bonino avrebbe conosciuto i fatti per telefono e grazie a una mail inviatale da un’organizzazione impegnata nella difesa dei diritti umani. «Fatta verifica con i servizi, risultava che la Farnesina era stata contattata dall’ufficio immigrazione di Roma per verificare se Alma Ayan godesse o no della immunità diplomatica». Verifica negativa. Consapevole della pericolosità dell’affaire, il ministro degli Esteri mette sull’avviso Angelino Alfano. Incontrandolo il 2 giugno alla festa della Repubblica lo avverte, come si fa tra colleghi: «Segui personalmente la vicenda, Angelino». Lei stessa ora ribadisce che la Farnesina «ha fatto tutto quel che poteva fare. La signora Shalabayeva è stata ricevuta al consolato di Almati e continuiamo a seguire la cosa con vari incontri con gli avvocati della signora». Quattro magistrati quattro a Roma hanno convalidato le procedure. Emma Bonino conosce troppo bene gli effetti di un caso internazionale per non immaginare che qualcuno pagherà. Che qualche testa cadrà. L’impressione è che toccherà alla polizia chiarirsi e chiarire all’esterno.
EGITTO COME LA SIRIA
Fino a pochi giorni prima, l’emergenza era la situazione egiziana. In tutta quella parte del mondo è in corso una guerra tra sciiti e varie anime dei sunniti. «Quel che si è visto in Siria, sta succedendo ora in Egitto. Lo scontro è interno al mondo arabo e non è scoppiato per ragioni religiose». Rivali per impadronirsi di risorse preziose, dal gas al petrolio, sciiti e sunniti si fanno la guerra, oggi come trent’anni fa, con tutto il seguito di fazioni e sottogruppi.
L’Europa dovrebbe schierarsi da una parte o dall’altra? E dopo? «La cosa da fare è evitare che l’Egitto precipiti in una guerra civile. Provando a convincere il nuovo governo a includere anche esponenti dei i Fratelli mussulmani, risolvendo in modo adeguato e rapido il caso Morsi, e mettendo fine ad arresti arbitrari per cominciare So che sia sul fronte dell’economia che su quello istituzionale il precedente governo non era stato particolarmente positivo, ma l’Egitto è sull’orlo del baratro».
Lei è il ministro europeo che conosce meglio quel mondo. Al Cairo c’è rimasta per cinque anni. Il portiere del palazzo dove viveva non riusciva a inquadrarla. Una volta veniva a prenderla un’auto blu, un’altra arrivavano ragazzi in motorino. Indagava: «Lei lavora all’Onu? No. Suo marito quando arriva? «Guardi, da 40 anni sono senza marito. Dubito di trovarlo adesso». Andarsene al Cairo a 50 anni passati per studiare l’arabo e lenire una feroce delusione, rientra nell’imprevedibilità del personaggio. «Sono curiosa, una secchiona per passione. Conoscere una lingua è conoscere una cultura. L’arabo lo scrivi da destra a sinistra, richiede tutta una speciale applicazione. Io facevo arabo classico, quello di Al Jazeera per capirci». Andare a scuola le piace ancora. E ha saputo usare al meglio quelle che definisce «le due grandi scuole che mi consentono di fare oggi il lavoro di ministro degli Esteri». La prima è durata e dura da 38 anni: quasi 40 anni di allenamento con i radicali. «Promuovere democrazia e diritti umani significa anche essere professionali. Capire quando devi fermarti, studiare i dossier seriamente».
LA FAMIGLIA RADICALE
Nella costruzione di un ministro degli Esteri è stato ovviamente utile l’esperienza del partito radicale transnazionale. «Un partito piccolo, povero, senza struttura. È grazie a questi limiti che ho imparato a usare Internet già a fine anni Ottanta. Avevamo aderenti da Mosca a Cuba e mica potevo passare ore al telefono, con quel che costava. Ricordo ancora le prima mail. Era il 30 dicembre 1991 io stavo da sola a Belgrado, e Pannella con Cicciomessere, Strik Lievers ed altri era ad Osiek, per solidarietà con i croati contro i serbi. Ci scrivevamo attraverso certi computer pesanti dieci chili». Secchiona ed educata al senso del dovere. Ma anche al senso della famiglia. Lei ne ha due. La famiglia radicale e quella biologica, rimasta a Brà. «I legami con mia sorella, con mio fratello, con i miei nipoti, sono fortissimi. Insieme all’affetto per Marco. Sono stati i grande asset della mia vita». Adesso è chiamata a una prova in un ministero chiave, importante anche per le imprese italiane. Questo governo ha gente che può aiutare l’Italia a rimettersi in marcia? Colpetto di tosse. «Questo governo nasce per agire su due fronti: economia e riforme istituzionali. Sta cercando di fare il suo mestiere al riparo di coltelli volanti». Da radicale presumo che la Bonino sia contenta del fatto che Berlusconi sostenga i referendum. A lui naturalmente interessano quelli sulla giustizia.
BERLUSCONI E I REFERENDUM
Il ministro degli Esteri si accende di vis politica e spiega che «i referendum radicali non hanno alcuna incidenza sulle vicende giudiziarie di Berlusconi. Spero che li sostenga perché convengono al Paese. Dal punto di vista dei suoi problemi non gli saranno utili ma visto che già una volta li ha fatti fallire, c’è da augurarsi che non ripeta l’errore». Sarà la situazione difficile, ma a guardarlo da fuori, a scrutare il linguaggio del corpo, il governo Letta non sembra un governo di amiconi. Lei con chi ha legato? «Soprattutto con Enrico Letta e con Annamaria Cancellieri». Come mai? Altra stretta nelle spalle. «Che ne so. Succede... Anna Maria si occupa di giustizia in modo coraggioso e per me, da radicale ,questo è importante. Poi, si sa, le simpatie sono di pelle. Chi sono io e come mi colloco I miei colleghi di governo lo sanno. Di me si sa tutto, forse soltanto il numero di scarpe è ignoto». Per chi pratica il giornalismo di dettaglio, il numero è "39". Un’altra cosa nota è la sua ambizione. Giuliano Ferrara non gliela perdona. «Se la Bonino va al Colle mi seppellisco» aveva scritto due mesi fa. Il ministro degli Esteri si accende una sigaretta. E senza muovere un solo muscolo, senza evocare il nome del piu noto dei suoi antipatizzanti ufficiali, concede gelida il suo De profundis: «L’ambizione applicata a un uomo è una virtù, e a una donna no? C’è rimasto in giro qualche stereotipo, mi pare». Ferrara stereotipo? La cosa non gli piacerà.