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 2013  luglio 13 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO KAZAKHISTAN


REPUBBLICA.IT

ROMA - Alma Shalabayeva "non è in prigione o agli arresti domiciliari", ma ha obbligo di residenza ad Almaty perché "sotto inchiesta sul rilascio del passaporto per il marito e i familiari in cambio di tangenti". La precisazione, sulle condizioni della moglie del dissidente kazako Muhktar Ablyazov, espulsa dall’Italia il 31 maggio, arriva dal portavoce del ministero degli esteri kazako. "Tutti i diritti e le libertà della signora - ha aggiunto il rappresentante di Astana - come previsto dalla legislazione kazaka e dalla legge internazionale, sono pienamente rispettati e garantiti dalle forze dell’ordine del Paese".

La dichiarazione di Astana smentirebbe quanto comunicato in precedenza da uno degli avvocati della donna, Vincenzo Cerulli Irelli, secondo cui Alma e sua figlia Alua, si troverebbero "agli arresti domiciliari in casa del padre di lei".

Dopo il dietrofront del governo Italiano, che ieri ha revocato l’espulsione della donna, evidenziando una grave mancanza d’informazione all’esecutivo e annunciando un’indagine interna, il legale ha inoltre fatto sapere che madre e figlia "non hanno subito maltrattamenti".

"GRAVE IRREGOLARITÀ FORZE POLIZIA" - "Per raggiungerla - ha spiegato l’avvocato - abbiamo dovuto prendere contatto con un console in Kazakistan. Non ci risultano ulteriori pericoli per la signora ma suo marito è il maggiore oppositore del regime e questo ci fa temere per il futuro".

"E’ importante - ha detto ancora il legale - che i riflettori su questa vicenda restino accesi". La vicenda rischia di avere anche ripercussioni politiche sul governo, con l’annuncio di una mozione di sfiducia M5S-Sel nei confronti del ministro dell’Interno, Angelino Alfano. "Il nostro governo si è mosso subito con il governo kazako per il bene della signora - ha aggiunto Cerulli Irelli - da questo punto di vista siamo tranquilli ma resta il fatto della gravissima irregolarità delle nostre forze di polizia compiuta all’insaputa del governo".

"Ieri sera - ha spiegato l’avvocato - il governo ha annullato il provvedimento di espulsione, insomma ha preso atto dell’illegalità dell’operazione di polizia. A oggi non risulta che ci sia stata una responsabiltà politica".

APPELLO DI ABLYAZOV A LETTA - Intanto a rivolgere un appello al presidente del Consiglio, Enrico Letta, è direttamente Ablyazov sul quotidiano La Stampa. "Caro mister Letta - scrive il dissidente - grazie per questa decisione coraggiosa, ma adesso temo che Nazarbayev reagirà mandando mia moglie Alma in prigione e la mia bambina Alua all’orfanatrofio". Un invito a non abbassare l’attenzione. "Alma e Alua ora si trovano in una situazione di grave pericolo - sottolinea Ablyazov - detenute dal regime di Nazarbayev che le tiene in ostaggio al fine di usarle contro di me".

FARNESINA NON ERA AL CORRENTE - La Farnesina, invece, ha fatto sapere di essersi immediatamente attivata con il Kazakistan per aiutare la signora Alma Shalabayeva e di aver ottenuto un "impegno scritto" dalle autorità locali affinché rispettino "tutte le prerogative e i diritti della signora". Le stesse fonti hanno tuttavia sottolineato che il ministero non era al corrente del provvedimento di espatrio. Il fax della Farnesina del 29 maggio alla Questura di Roma si limitava a rispondere se Shalabayeva avesse o no copertura diplomatica.
La richiesta fatta dall’ufficio immigrazione, fanno sapere dalla Farnesina, faceva riferimento alla signora Alma con il suo nome da ragazza e non dava alcuna indicazione che potesse fare risalire al dissidente kazako. "Non potevamo fare - sottolineano fonti del ministero - nessun collegamento tra questa signora, indicata con il suo nome da ragazza e di cui ci veniva solo chiesto se godesse o meno di copertura diplomatica, e la moglie di Ablyazov".
RELAZIONE ENTRO 2-3 GIORNI - Si conoscerà, comunque, tra due-tre giorni la relazione del capo della polizia Alessandro Pansa, dopo l’indagine richiesta da Palazzo Chigi per chiarire i passaggi e le circostanze che hanno portato all’espulsione.
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BONINI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA

ROMA
SONO dodici diverse fonti — inquirenti, legali, ministeriali e di polizia — che consentono una prima ricostruzione di dettaglio di quanto accaduto tra la mattina del 27 maggio e la sera del 31, quando, all’aeroporto di Ciampino, Alma Shalabayeva, moglie del dissidente, sale insieme alla figlia Alua sulla scaletta dell’aereo che l’indomani mattina la riporterà ad Astana.
28 Maggio. Kazaki in Questura
Il 28 maggio, dunque. La storia comincia da qui. Quel martedì mattina, i due kazaki che si presentano in Questura nell’ufficio del capo della Squadra Mobile Renato Cortese, non stanno nella pelle. Sono Andrian Yelemessov, l’ambasciatore in Italia, e il suo primo consigliere Nurlan Zhalgasbayev. L’agenzia privata di investigazioni Syra, che ha i suoi uffici a Roma, per un compenso di cinquemila euro, ha individuato per conto del Regime di Astana la casa in via di Casal Palocco 3 dove si rifugerebbe il dissidente Mukhtar Ablyazov. I kazaki prospettano a Cortese “un colpaccio”. L’arresto di un uomo che dipingono come un pezzo da 90. «Tra i più pericolosi ricercati dall’Interpol». I due, per suonare ancora più convincenti, agitano pezzi di carta che
vendono come proprie informazioni di intelligence e polizia e che dipingono l’uomo come «pericolosissimo ». Abituato «a girare armato ». «Fiancheggiatore e finanziatore del terrorismo».
Cortese non sa chi diavolo sia Ablyazov. Spiega ai kazaki che nel nostro Paese si può arrestare qualcuno in forza di un provvedimento legittimo. Non di una soffiata. Consulta la banca dati della Polizia in cui quel nome non compare. Una ricerca internet potrebbe dire qualcosa di più su colui che, dal 2001, ha assunto il ruolo di oppositore del presidente Nazarbaev. Ma il Capo della Mobile, su insistenza dei kazaki, chiama la nostra divisione Interpol al Viminale. Il funzionario dall’altro capo del telefono lo conforta. Nella loro banca dati, quel Mukhtar «ha il bollino rosso». Sulla sua testa, pende un mandato di cattura internazionale kazako per appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato. E la telefonata deve confortare Cortese se è vero che, nel pomeriggio, proprio dall’ufficio Interpol arriva un fax che certifica e sollecita alla Mobile l’ordine di cattura internazionale. Del suo status di rifugiato politico ottenuto a Londra non una sola menzione. La circostanza non è burocraticamente presente nella banca dati dell’Interpol, dunque «non esiste».
Kazaki al Viminale
La solerzia dell’Interpol e il remente
pentino via libera dato a Cortese hanno una ragione. Il pomeriggio del 28, l’ambasciatore kazako e il suo primo consigliere salgono anche i gradini del Viminale e vengono ricevuti da un alto dirigente del Dipartimento di Pubblica sicurezza, di fronte al quale ripetono il siparietto della Questura. E devono suonare convincenti, perché vengono rassicurati sul fatto che il blitz ci sarà.
Ad horas.
Chi è il dirigente? Informa il ministro Angelino Alfano? Fonti qualificate del Viminale, proteggendone l’identità, spiegano che «il nome del dirigente è oggetto dell’inchiesta interna disposta dal ministro
». «Anche perché — aggiungono le stesse fonti — quel dirigente non ritiene di dover informare il ministro, né prima, né dopo, della visita e della richiesta dei
diplomatici kazaki».
28-29 maggio. In 30 per il Blitz
E’ un fatto che la richiesta kazaka viene cotta e mangiata. Nella notte tra il 28 e il 29, dopo un rapido sopralluogo in via di Casalpalocco 3, una grande villa con giardino protetta da un muro di recinzione alto 2 metri, una trentina di poliziotti della squadra mobile, cui vengono aggregati anche agenti della Digos, fa irruzione.
La visita non è di quelle in guanti bianchi. Mukhtar Ablyazov non c’è. Perché in casa, insieme alla moglie Alma e alla piccola figlia Alua, c’è un solo uomo, Bolat Seraliyev, il cognato del “Grande Ricercato”. Viene malmenato fino a fargli sanguinare il naso (o almeno così certificherà il pronto
soccorso) e insieme alla sorella Alma finisce in una cella dell’Ufficio Immigrazione. Mentre nei borsoni della mobile finisce quanto sequestrato nella villa: 50 mila euro, dei gioielli, una scheda di memoria su cui è una foto digitale di Mukhtar che porta la data del 25 maggio.
Il passaporto diplomatico. La Farnesina
Alle 7.30 del mattino del 30 maggio, Alma Ablyazov è «una pratica ordinaria» sul tavolo del direttore dell’Ufficio Immigrazione Maurizio Improta. E come tale viene trattata. Burocratica-
macinata come le altre 7 mila espulsioni che ogni anno questo ufficio “evade”. La donna racconta di essere rimasta 15 ore senza bere o mangiare. Di non aver avuto accesso a interpreti in grado di spiegare la sua condizione. Va meglio al fratello Bolat che, accompagnato dai poliziotti nella villa di Casalpalocco, ne torna con un permesso di soggiorno rilasciato in Lettonia che lo rende legale nell’area Schengen. Anche Alma ne avrebbe uno identico. Ma non lo mostra, né dice di averlo. Consegna piuttosto alla polizia un passaporto diplomatico della Repubblica Centroafricana. Il documento viene spedito per accertamenti al “Centro falsi documentali” della Polizia di Fiumicino e, il pomeriggio del 30, l’esito è che si tratta di un «falso».
L’Ufficio Immigrazione contatta la Farnesina. E anche qui, la burocrazia cade dal pero. Nemmeno al nostro ministero degli Esteri sanno che quella donna è la moglie di un dissidente kazako. Sanno solo che, qualche anno prima, è stata proposta console onorario del Burundi in Italia. Nomina che non ha avuto corso. Ma dello status diplomatico della donna non c’è traccia. Insomma, per quanto li riguarda e dunque per la polizia ce ne è abbastanza
per espellerla.
Errori materiali. Un solo dubbio
Il 30 pomeriggio, mentre Alma riesce a incontrare per la prima
volta gli avvocati dello studio Vassalli- Olivo, incaricati della sua difesa da uno studio di corrispondenza di Ginevra, il suo destino è già segnato. Il prefetto di Roma Pecoraro vista il decreto di espulsione predisposto dall’Ufficio immigrazione. E poco importa che contenga un paio di significativi errori materiali. Che, nel prestampato, sia rimasta barrata la casella dei precedenti penali (che Alma non ha). E che la donna risulti “già entrata clandestinamente in Italia” nel 2004 dal Brennero (in realtà la segnalazione di polizia riguarda un suo arrivo ad Olbia insieme al marito per una vacanza). Alla vigilia dell’udienza del giudice di Pace che deve decidere dell’espulsione, il pm Eugenio Abbamonte e il Procuratore Giuseppe Pignatone, sollecitati dagli avvocati dello studio Vassalli che prefigurano le ricadute “umanitarie” di quell’espulsione, chiedono all’Ufficio Immigrazione un supplemento di documenti. Che arriva ed è sufficiente al loro nulla-osta.
La sera del 31, «tutte le carte sono a posto», secondo la regola aurea che muove la burocrazia italiana e la libera da ogni responsabilità. Alma Shalabayeva viene consegnata insieme a sua figlia alle autorità kazake all’aeroporto di Ciampino. Il Paese è precipitato in un affaire internazionale di evidente gravità. Ma nessuno sembra saperlo.
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CUSTODERO SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
ALBERTO CUSTODERO
ROMA
— Il Governo, che di chiara di essere stato tenuto all’oscuro dell’allontanamento di Alma Shalabayeva e della figlia, revoca il provvedimento di espulsione firmato dal giudice di pace, controfirmato dal tribunale ordinario e da quello dei minorenni, con il nulla osta del procuratore romano Pignatone. Ed è rissa nel mondo politico, con Nichi Vendola che chiede le dimissioni del ministro dell’Interno, il Pdl che attacca il leader di Sel e fa quadrato attorno a Angelino Alfano. Mentre i grillini annunciano che una delegazione del M5S andrà in Kazakhistan per verificare le condizioni di vita della donna. Alma Shalabayeva è là agli arresti domiciliari: rischia anni di carcere in quanto accusata di avere corrotto due funzionari (già condannati a sette anni e mezzo e a nove anni), per ottenere un passaporto. Accusa, questa, che la donna respinge, ma che riduce a
un lumicino la possibilità di un suo rientro in Italia.
Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è su tutte le furie per non essere stato informato dalla polizia che l’ambasciatore kazako s’è recato al Dipartimento di pubblica sicurezza per fare pressioni affinché venisse rimpatriata la moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov. Ieri c’è stata una lunga riunione a Palazzo Chigi per mettere a punto la posizione dell’Esecutivo sfociata con il provvedimento di revoca. «È grave — si legge in una nota di Palazzo Chigi — la mancata informativa al governo sull’intera vicenda, che comunque presentava sin dall’inizio elementi e caratteri non ordinari». Tale aspetto «sarà oggetto di apposita indagine affidata dal ministro dell’Interno al capo della polizia, al fine di accertare responsabilità connesse alla mancata informativa
».
Il governo ha deciso di revocare l’espulsione firmata dal prefetto di Roma Pecoraro delle due donne kazake dopo aver letto il ricorso presentato dai legali Vincenzo Cerulli Irelli, Riccardo Olivo e Alessia Montani. Il premier Letta, e i ministri degli Esteri Bonino
e dell’Interno si sono resi conto che nelle carte della Questura e della Prefettura molte circostanze che giustificavano l’espulsione erano false. In particolare, Alma Shalabayeva aveva un permesso di soggiorno rilasciato dalla Lettonia, paese dell’area Schengen, e quindi poteva tranmentre
stare in Italia dov’era entrata regolarmente. Perché, dunque, è stata espulsa in fretta e furia, con un’operazione fatta tenendo all’oscuro i vertici politici?
Sul caso si è innestata una polemica politica, con Vendola che chiede a Letta la testa di Alfano,
mozioni di sfiducia contro il ministro dell’Interno sono già state presentate da Sel e M5S alla Camera e al Senato. Ma se dalle opposizioni era scontato attendersi passi del genere, ad agitare la maggioranza sono i sospetti reciproci. L’attacco parte da Daniela Santanchè: «Non prendiamo lezioni di comportamento da Sel, M5S e da una parte del partito democratico. Avviso ai naviganti: non tirate troppo la corda perché su questa vicenda si spezza». Commento duro, visto che dal pd la posizione ufficiale, quella espressa da Emanuele Fiano, si limita ad elogiare la risposta del governo, chiedendo genericamente di accertare le responsabilità.
Ma in molti nel Pdl temono che il caso Alfano possa essere la molla scatenante di un altro conflitto interno alla maggioranza, stavolta con conseguenze potenzialmente drammatiche.
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Il 5 giugno scorso il ministro della Giustizia Cancellieri, aveva commentato così. Cosa è cambiato nel frattempo?
MADRE E FIGLIA PORTATE VIA A FORZA
Alma Shalabayeva e la figlia. Sotto, il passaporto della donna, moglie di un uomo d’affari kazako dissidente dal regime autoritario che guida lo Stato dell’ex Unione Sovietica
Ablyazov principale oppositore del dittatore del Kazakistan. Ex banchiere, è stato condannato in un processo farsa. Ha trovato asilo politico a Londra

DRAGOSEI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
MOSCA — Riserva mondiale di petrolio e gas alla quale tutti i Paesi del mondo guardano con attenzione. Ma anche bastione di stabilità in una regione estremamente volatile e sicuro alleato nella lotta contro l’estremismo islamico e il terrorismo. Il paese più grande del mondo senza alcuno sbocco al mare (escluso il Caspio) è sotto il mirino delle organizzazioni umanitarie internazionali per il trattamento dei dissidenti, ma è anche nel cuore di tutte le cancellerie, da Washington a Mosca passando per Pechino e, naturalmente, per Roma.

L’uomo che assicura questi ottimi rapporti e al quale tutti i governi guardano con grande simpatia è proprio quel Nursultan Nazarbaev che viene accusato dagli oppositori di essere un despota e un tiranno, al potere da sempre in un paese più grande dell’intera Europa ma che ha soltanto 17 milioni di abitanti.

Nazarbaev viene da lontano, visto che nei suoi 73 anni di vita ha visto passare parecchia acqua sotto i ponti kazaki.

Era già nel partito comunista dell’Unione Sovietica quando Krusciov avviava il suo disgelo. Fece grandi passi avanti all’epoca di Gorbaciov, fino a diventare primo segretario del partito in Kazakistan e membro del Politburo dell’Urss. Nel 1991, all’epoca del golpe organizzato dai conservatori, si schierò con Boris Eltsin e i riformisti.

Inevitabile che la transizione lo vedesse protagonista. Da segretario, venne eletto presidente del Kazakistan indipendente. E da allora (1° dicembre 1991) nessuno l’ha spostato. La crescita del paese porta la sua firma e naturalmente è dovuta in massima parte alle ricchezze del sottosuolo. Petrolio e gas di cui il Kazakistan è uno dei maggiori esportatori mondiali.

Coi soldi, Nazarbaev ha deciso un’opera titanica, simile a quella intrapresa dal Brasile nel 1960 quando spostò la capitale da Rio de Janeiro alla neonata Brasilia. Il signore del Kazakistan decise negli anni Novanta di togliere ad Almaty (ex Alma Ata) il rango di capitale. Al centro del paese venne sviluppata una vecchia città fondata dai cosacchi e trasformata, nel 1997, nella capitale Astana (che vuol dire proprio capitale). Volenti o nolenti tutti furono costretti a spostarsi, compresi i diplomatici e i dirigenti delle grandi compagnie petrolifere mondiali che facevano affari in Kazakistan.

Si, perché gli interessi in ballo sono molti, come è facile capire. A parte i giacimenti esistenti, ci sono due enormi iniziative in sviluppo, il campo gigante di Karachaganak, dove sono custoditi cinque miliardi di barili di greggio e quello in perforazione di Kashagan che arriva addirittura a 13 miliardi di barili.

A Kashagan l’Eni ha una quota del 16,81 per cento, come ExxonMobil, Shell e Total.

I rapporti con l’Italia sono ottimi, quale che sia il governo al potere da noi. Ma anche gli altri paesi fanno a gara per non perdere colpi. Il primo ministro britannico Cameron, che pure ha concesso asilo politico al dissidente Ablyazov, il primo luglio era ad Astana.

Nella conferenza stampa seguita all’incontro con Nazarbaev, Cameron ha timidamente riferito di aver «discusso durante i colloqui la lettera di Human Rights Watch» sul trattamento dei dissidenti (torture, incarcerazioni, limiti alla libertà dei media). Ma il presidente kazako, «leader della nazione», lo ha subito bacchettato: «Grazie molte per le raccomandazioni e i consigli, ma nessuno ha il diritto di insegnarci come vivere». Cameron non ha replicato.

Il Kazakistan non è certo un campione di democrazia, ma c’è di peggio, specie in Asia Centrale. In fin dei conti Papa (come lo chiamano affettuosamente i kazaki) ha respinto una specie di plebiscito che gli voleva assicurare il potere fino al 2020. Si è limitato a far svolgere le elezioni per il parlamento (nel quale non siede nemmeno un oppositore) e a farsi nuovamente votare come presidente per cinque anni col 95,54 per cento dei voti.

Fabrizio Dragosei